L`Europa riscopre il mondo arabo

Tunisia, Egitto, Marocco. Le dittature amiche

Ignacio Ramonet
  Nel mondo arabo, l`unico dittatore era Saddam Hussein. Tunisia ed Egitto erano paesi amici, freni al fondamentalismo, Stati moderati. In pochi giorni, i francesi (così come gli italiani) riconoscono di non aver dato il `giusto peso` alle sofferenze dei popoli della riva sud del Mediterraneo, che hanno dimostrato di non essere né masse sottomesse a satrapi corrotte, né folle isteriche possedute dal fanatismo religioso.
Condividi su facebook
Condividi su whatsapp
Condividi su email
Condividi su print

Una dittatura la Tunisia? L’Egitto una dittatura? Con i media che ora si riempiono la bocca della parola “dittatura” riferendosi alla Tunisia di Ben Ali e all’Egitto di Moubarak, i francesi si sono dovuti chiedere se avessero sentito o letto bene. Quegli stessi media e quegli stessi giornalisti non avevano forse, per decenni, affermato che questi due “paesi amici” erano “Stati moderati”? Nel mondo arabo-musulmano, il vile appellativo di “dittatura” non era riservato esclusivamente (dopo la distruzione della “spaventosa tirannia” di Saddam Hussein in Iraq) al solo regime iraniano? Come? C’erano dunque altre dittature in quella regione? E i nostri media, nella nostra esemplare democrazia, l’avevano tenuto nascosto?

Ecco, in tutti i casi, una prima illuminazione che dobbiamo al popolo in rivolta di Tunisi. La sua prodigiosa vittoria ha liberato gli europei dalla “retorica dell’ipocrisia e della finzione” in vigore nelle nostre cancellerie e sui nostri media. Costretti ad abbassare le maschere, fanno finta di scoprire ciò che noi sappiamo da tempo, [1] che le “dittature amiche” non sono altro che questo: regimi dittatoriali. In materia, i media non hanno fatto altro che seguire la “linea ufficiale”: chiudere gli occhi o guardare altrove confermando l’idea che la stampa è libera solo nei confronti dei deboli e delle persone isolate. Nei riguardi del sistema mafioso del clan di Ben Ali-Trabelsi, Nicolas Sarkozy non ha forse avuto la sfacciataggine di affermare che in Tunisia “c’era una disperazione, una sofferenza, una sensazione di soffocamento cui, bisogna riconoscerlo, non abbiamo saputo dare il giusto peso”?

Non abbiamo saputo dare il giusto peso” in 23 anni… Malgrado la presenza sul posto dei servizi diplomatici più prolifici di qualsiasi altro paese al mondo. Malgrado la collaborazione in tutti i settori della sicurezza (polizia, esercito, servizi segreti…). Malgrado le visite periodiche di alte cariche politiche e mediatiche che ne hanno fatto, in maniera disinibita, il proprio luogo di villeggiatura [2]… Malgrado la presenza in Francia di dirigenti in esilio dell’opposizione tunisina tenuti a distanza, come la peste, dalle autorità francesi e a cui per decenni, è stato praticamente impedito l’accesso ai mass media, rovina della democrazia.

In realtà, questi regimi autoritari hanno avuto (e continuano ad avere) la protezione compiacente delle democrazie europee a dispetto dei propri valori e con il pretesto che costituiscono un baluardo contro l’Islam radicale [3]. La stessa cinica motivazione usata dall’Occidente, all’epoca della guerra fredda, per sostenere le dittature militari in Europa (Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia) e in America Latina, con il pretesto di impedire così l’arrivo del comunismo al potere.

Che bella lezione danno le società arabe in rivolta a quelli che, in Europa, le descrivevano solo in termini manichei: o come masse docili sottomesse a satrapi orientali corrotti, o come folle isteriche possedute dal fanatismo religioso. Ma ecco che emergono all’improvviso, sugli schermi dei nostri computer o dei nostri televisori (grazie anche all’ammirevole lavoro di Al-Jazeera), preoccupate del progresso sociale, per niente ossessionate dalla questione religiosa, assetate di libertà, esasperate dalla corruzione, contro le disuguaglianze e reclamando democrazia per tutti, senza eccezione.

Lontani da caricature binarie, questi popoli non costituiscono per nulla una sorta di “eccezione araba” ma sembrano simili, nelle loro aspirazioni politiche, al resto delle società urbane moderne illuminate. Un terzo dei tunisini e quasi un quarto degli egiziani navigano regolarmente in Internet. Come afferma Moulay Hicham El Alaoui: “I nuovi movimenti non sono più caratterizzati dagli antichi antagonismi come l’anti-imperialismo, l’anti-colonialismo o l’anti-secolarismo. Le manifestazioni di Tunisi e del Cairo erano prive di qualsiasi simbolismo religioso. È una rottura generazionale che confuta la tesi dell’eccezionalità araba. Inoltre, sono le nuove tecnologie di comunicazione su Internet che animano questi movimenti. Questi propongono una nuova versione della società civile dove il rifiuto dell’autoritarismo va di pari passo con la lotta alla corruzione [4].”

Sia in Tunisia che in Egitto, soprattutto grazie ai social network, le società si sono mobilitate molto rapidamente e sono riuscite a travolgere i poteri in tempo di record. Prima ancora che i movimenti avessero avuto modo di “maturare” e di favorire l’emergere di nuovi dirigenti al loro interno. È una delle rare volte in cui, senza leader, senza organismi dirigenti e senza programma, la semplice dinamica dell’esasperazione delle masse è stata sufficiente a far trionfare una rivoluzione.

È un momento delicato e le grandi potenze senza dubbio stanno già lavorano, soprattutto in Egitto, per far avverare il detto “tutto cambia perché niente cambi”, secondo il vecchio adagio del Gattopardo. Quei popoli che conquistano la propria libertà devono tenere a mente l’avvertimento di Balzac: “Si ucciderà la stampa come si uccide un popolo, donandole la libertà [>5]”. Le “democrazie di facciata” sono infinitamente più abili delle antiche dittature ad addomesticare un popolo, in piena legittimità. Ma questo non giustifica per niente il mantenimento di queste ultime. Né deve frenare l’ardore di far cadere una tirannia.

Il crollo della dittatura tunisina è stato così rapido che gli altri popoli magrebini e arabi hanno concluso che queste autocrazie – tra le più antiche al mondo – fossero in realtà profondamente marce e non fossero altro che “tigri di carta”. La dimostrazione si è avuta anche in Egitto. Di qui questa impressionante sollevazione dei popoli arabi, in Giordania, nello Yemen, in Algeria, in Siria, in Arabia Saudita, in Sudan e in Marocco che fa inevitabilmente pensare alla grande fioritura delle rivoluzioni in tutta Europa nel 1848.

In Marocco, una monarchia assoluta in cui il risultato delle “elezioni” (sempre truccate) è stabilito dal sovrano che designa secondo il suo volere i ministri detti «della sovranità», alcune decine di famiglie vicine al trono continuano ad accaparrarsi le principali ricchezze [6]. Le notizie diffuse da WikiLeaks hanno rivelato che la corruzione ha raggiunto inverosimili livelli di indecenza, superiori a quelli della Tunisia di Ben Ali, e che le reti mafiose portavano sempre al Palazzo. Un paese in cui l’uso della tortura è generalizzato e la censura della stampa costante.

Eppure, come la Tunisia di Ben Ali, questa “dittatura amica” gode di moltissima indulgenza da parte dei nostri media e della maggior parte dei nostri responsabili politici [7]. Questi minimizzano i segnali che mostrano l’inizio di un “contagio” della rivolta. Già quattro persone si sono immolate dandosi fuoco. A Tangeri, Fez e Rabat hanno avuto luogo manifestazioni di solidarietà con le rivolte di Tunisia e d’Egitto [8]. Prese dalla paura, le autorità hanno preventivamente deciso di sovvenzionare gli alimenti di prima necessità per evitare le “rivolte del pane”. Grandi contingenti di truppe sarebbero stati ritirati dal Sahara Occidentale e inviati in tutta fretta verso Rabat e Casablanca. Il re Mohammed VI e alcuni collaboratori si sarebbero recati di proposito in Francia, il fine settimana del 29 gennaio, per consultare degli esperti del ministero dell’interno francese in materia di mantenimento dell’ordine [9].

Anche se le autorità dovessero smentire queste due ultime informazioni, è chiaro che la società marocchina segue con entusiasmo gli avvenimenti di Tunisia e d’Egitto, pronta a unirsi all’impeto di fervore rivoluzionario per rompere infine il giogo feudale. E a presentare il conto a tutti quelli che, in Europa, per decenni, sono stati complici delle “dittature amiche”.

 

Note

[1] Leggere, ad esempio, Jacqueline Boucher, “La società tunisina privata di parole”, e Ignacio Ramonet, “Main de fer en Tunisie”, Le Monde diplomatique, rispettivamente febbraio 1996 e luglio 1996.

[2] Nel momento in cui Mohammed Bouazizi s’è immolato dandosi fuoco il 17 dicembre 2010, quando l’insurrezione arrivata in tutto il paese e dozzine di tunisini in rivolta continuavano a cadere sotto i colpi della repressione benalista, il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoé, e la ministra degli Esteri, Michèle Alliot-Marie, hanno trovato perfettamente normale andare a festeggiare la vigilia in Tunisia.

[3] Allo stesso tempo, e apparentemente senza valutare la contraddizione, Washington e i suoi alleati europei sostengono il regime teocratico e tirannico dell’Arabia Saudita, principale sede ufficiale dell’islam più oscurantista e più espansionista.

[4] http://www.medelu.org/spip.php?article710

[5] Honoré de Balzac, Monografia della stampa parigina, Paris, 1843.

[6] Leggere Ignacio Ramonet, “La poudrière Maroc”, Mémoire des luttes, settembre 2008. http://www.medelu.org/spip.php?article111

[7] Da Nicolas Sarkozy a Ségolène Royal, passando per Dominique Strauss-Kahn che possiede un “ryad” a Marrakech, i dirigenti politici francesi non si sono fatti scrupolo di soggiornare in questa “dittatura amica” durante le scorse vacanze di fine d’anno.

[8] El País, 30 gennaio 2011 http://www.elpais.com/../Manifestaciones/Tanger/Rabat

[9] Leggere El País, 30 gennaio 2011 http://www.elpais.com/..Mohamed/VI/va/vacaciones.. e Pierre Haski, “Le discret voyage del roi del Maroc dans son château de la Oise”, Rue89, 29 gennaio 2011. http://www.rue89.com/..le-roi-du-maroc-en-voyage-discret…188096

* da http://www.medelu.org/spip.php?article713 

 Questa storia è stata letta 8235 volte

La Spoon River dei braccianti

Il libro
La Spoon River dei braccianti

Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su email
Condividi su whatsapp

Laterza editore

Lo sfruttamento nel piatto

Le filiere agricole, lo sfruttamento schiavile e le vite di chi ci lavora


Nuova edizione economica a 11 €

Lo sfruttamento nel piatto

Ricominciano le presentazioni del libro! Resta aggiornato per conoscere le prossime date