“Facebook Revolutions”, il nuovo eBook pubblicato da terrelibere.org

Dalla Tunisia all’Egitto, le nuove ribellioni nate con la Rete

Redazione terrelibere.org
  Twitter, Facebook e YouTube non sono il movimento, ma gli strumenti del movimento. Hanno permesso di abbattere un regime pluridecennale, feroce e liberticida. Nelle piazze, gli attivisti avevano in una mano la bandiera, nell’altra il cellulare. Foto, post e tweet hanno incendiato gli animi e sconfitto la censura. Un pirata informatico è diventato ministro. Un rapper ha cantato la rivoluzione da YouTube. Niente sarà più come prima. E non solo nel mondo arabo.
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La rivoluzione, ovviamente, l’hanno fatta le persone nelle strade. Opponendo i loro corpi alla repressione e pagando anche con la vita. Ma in una mano avevano un cartello o una bandiera, nell’altra il cellulare. Un largo movimento di massa è cresciuto a causa della sofferenza delle persone in un preciso contesto politico, economico e sociale. Twitter, Facebook e YouTube non sono il movimento, però sono stati gli strumenti del movimento.

 Senza questi mezzi non ci sarebbe stata la “rivoluzione dei gelsomini”, rapidamente propagata a effetto domino in Egitto. I social media hanno permesso la diffusione di informazioni, video e fotografie. Hanno aggirato la censura e hanno connesso le persone all’interno dello stesso paese, da un paese all’altro, con l’opinione pubblica internazionale.

 Il ritorno dell’hacker

 Alla fine sono tornati, e sono stati decisivi. I famigerati pirati, attivisti superesperti e ancora circondati da un alone di mistero. Sono intervenuti in Tunisia, per attaccare gli strumenti del regime o disinnescare i mezzi della censura. Una lotta di mosse e contromosse che alla fine è risultata vittoriosa.

Ma soprattutto è stata una vittoria della Rete, e la rivincita di quella controcultura repressa e trascurata che nasce negli anni passati e che oggi rivela tutto il suo potenziale nella lotta per la democrazia. Facebook è oggi lo strumento più diffuso e comune, ma se domani dovesse cambiare o sparire non sarà difficile mettere su un network analogo e non controllabile. In Tunisia abbiamo visto il primo pirata informatico diventare ministro.

La rete è stata concepita “senza testa” per prevenire in ambito militare gli effetti di un attacco nucleare, al tempo della guerra fredda. Ma oggi è proprio questa caratteristica che ne impedisce il controllo.

Che sorpresa

A vertice di Davos li hanno chiamati “cigni neri”. Eventi imprevedibili ma ad alto impatto. Nel 2010 la crisi finanziaria, l’anno dopo le rivoluzioni arabe. Dalla Tunisia all’Egitto, le proteste popolari di massa hanno parlato una sola lingua: basta regimi dittatoriali, la gente comune vuole libere elezioni e democrazia.

I manifestanti hanno alzato più volte lo stesso cartello: “Game Over”. Segno della consapevolezza che quelle immagini sarebbero arrivate ai sostenitori internazionali dei despoti che comandano da decenni.

Ma anche la società civile europea, in particolare quella italiana, è rimasta spiazzata. Eppure la Tunisia è lì a un passo. Una parte della Sicilia (oltre che Lampedusa) si trova più a sud di Tunisi. Molti sono rimasti fermi alla sindrome dell’invasione e allo spauracchio del pericolo islamico. Tutti gli altri ai luoghi comuni delle parabole, una società di illusi ammaliati dalle televisioni occidentali che simulano un falso benessere (nel frattempo è cresciuta Al Jazeera, che guardano tutti, creando una delle società più informate del pianeta).

Altri si sono concentrati sugli “sbarchi dei disperati”, immaginando masse affamate, povere e sostanzialmente ignoranti. Nessuno ha capito cosa stava fermentando dall’altra parte del Mediterraneo. Una società giovane, istruita, desiderosa di cambiamento, abituata all’uso delle nuove tecnologie. Soffocata da regimi dittatoriali, crudeli, ma amici dell’Occidente. Gli occidentali, alla fine, sono rimasti impreparati perché hanno creduto alla favola di masse amorfe, attratte al più dai richiami dei muezzin.

Il minareto elettronico

E oggi tutti si chiedono: saranno gli islamici, magari i fondamentalisti, ad approfittare della caduta dei regimi filo-occidentali? Nessuno può dire cosa succederà. Sicuramente le rivolte non sono figlie dello spirito fondamentalista, anzi si contrappongono – di fatto –  al tradizionalismo. Le connessioni in tempo reale aprono nuovi orizzonti, e i social media sono nemici di società chiuse. I giovani in piazza sono gli stessi che si definivano avventurieri e pensavano al viaggio nel Mediterraneo che poteva concludersi con la morte o il sogno europeo.

Come ha scritto la Repubblica, i giovani rivoluzionari arabi “bussano all`ingresso, negato, della modernità anziché al portone della moschea”. Curiosamente, il titolo dell’articolo diceva il contrario: “Tornano in scena i partiti islamici”. E’ difficile sconfiggere i luoghi comuni e gli schemi consolidati. Ma sarebbe bello – magari tra breve – andare al Cairo o a Tunisi come si va a Parigi e Londra. E scambiarsi di persona la stessa energia che adesso passa attraverso gli elettroni.

 

Per approfondire:

1. Il blog “Speciale Tunisia. I giorni della rivolta

2. La scheda del libro su Terrelibere.org

 

Il libro elettronico

 Raffaella Cosentino, Facebook Revolutions – Dalla Tunisia all’Egitto, le nuove ribellioni nate con la Rete, terrelibere.org edizioni. Libro elettronico. Febbraio 2011.

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