Hanno lasciato guerra e persecuzioni, affrontato i trafficanti di uomini, il deserto e il mare, visto morire parenti e amici, ma l`odissea dei rifugiati non è finita. Ora scappano dal nostro Paese. Si moltiplicano così i casi di rifugiati che hanno ottenuto in Italia il riconoscimento della protezione internazionale e con il documento di viaggio partono alla volta di Olanda, Norvegia, Svezia e Finlandia. Sono stanchi di sopravvivere fra gli stenti, passando per anni da un`occupazione all`altra, in condizioni che ledono la dignità umana.
Si bruciano le impronte digitali. Nei paesi del nord Europa, come richiedenti asilo, vengono accolti con una casa e un conto corrente dedicato per le spese personali, su cui le autorità versano settimanalmente alcune centinaia di euro. Dopo un periodo di tempo variabile, fra i sei mesi e un anno, vengono rispediti indietro perché si scopre che le loro impronte digitali sono state prese in Italia per la prima volta. Secondo gli accordi di Dublino, infatti non si può chiedere asilo in più di uno stato. Tanti rifugiati, soprattutto somali, si bruciano le dita delle mani nel tentativo estremo di cancellare le impronte digitali.
Da Sud a Nord. Le storie si ripetono lungo tutto lo stivale. Partono uomini soli ma anche intere famiglie. Come una coppia ghanese con due bimbe di 3 e 7 mesi che da Stignano (Rc) è andata in Norvegia, dove è nata la figlia più piccola. Rispediti in Calabria, sono tornati nel piccolo comune della locride, dove nel frattempo i progetti di accoglienza dovevano essere chiusi e una relazione ispettiva dello Sprar ha scoperto che i rifugiati vivevano “in precarie condizioni igieniche all`interno di strutture sostanzialmente fatiscenti”. In questo momento il caso più grave è quello dei 140 profughi somali che dormono in mezzo ai topi nella loro ex ambasciata in via dei Villini, a Roma, aumentati di numero rispetto ad alcuni mesi fa, proprio per il ritorno di altri ragazzi dal nord Europa.
Somali in occupazione a Torino. Anche a Torino i somali titolari di asilo politico vivono da sei mesi senz`acqua nell`ex Velena, una vecchia caserma dei vigili occupata dopo lo sgombero da via Asti. Nella palazzina in corso Chieri, zona bene della città, hanno installato la corrente elettrica per tenere acceso qualche vecchio forno come calorifero. “Una persona che ha asilo politico può dormire in strada?” chiede in continuazione A. Q., 23 anni, rimandato indietro una settimana fa dalla Svezia. Per alcuni giorni si è accampato sotto i portici della stazione di Porta Nuova. È un`umiliazione che non dimentica. Dei 240 profughi di via Asti, ce ne sono meno di 20 in occupazione. “La maggiorparte sono partiti, verso Francia, Germania e altri paesi, ancora non sono tornati” spiega Z, lasciando intendere che si aspetta a breve di vederli di nuovo in strada a Torino. Magari con in tasca un bancomat con fototessera scritto in finlandese e ormai inservibile.
Ma è solo lavoro nero anche al Nord. “Si trova lavoro solo come bracciante agricolo – racconta A., in Italia da quasi tre anni – a settembre e ottobre a Cuneo raccogliamo pesche, pere e mele, ci pagano 5 euro e 50 l`ora e stiamo nei campi 10 ore al giorno, ma solo 2 o 3 ore vengono retribuite con i voucher dell`Inps, il resto è in nero”. Così il datore di lavoro si ripara dai controlli e non paga i contributi.