Queste che scrivo sono poche note che nascono dal confronto con alcuni compagni tunisini, ma non hanno nessuna pretesa di particolare affidabilità. In attesa di recuperare documenti e analisi più significative é solo un tentativo di assemblare informazioni su una rivolta che nella sua dimensione e nei suoi effetti sta sorprendendo gli stessi tunisini, specie quelli emigrati.
In Tunisia infatti, fin dall`indipendenza del 1956, a differenza dell`Algeria, non si era mai visto niente di simile! Leggiamo sui giornali di “leader dell`opposizione”, di “partiti”, ma nel regime di Ben Ali non c`era nessuno spazio per un`opposizione democratica, ne si è manifestata in altro modo una resistenza organizzata di particolare rilievo. E neppure, come invece è accaduto in altri paesi dell`area, è emersa una borghesia religiosa che contendeva a quella statale la guida del paese e la gestione delle risorse petrolifere.
Nelle ultime elezioni Ben Ali ha vinto con oltre il 95% dei voti. L`unico partito era praticamente il suo, il Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD). Il suo oppositore alle elezioni, nell`unica comparsata in tv, dichiarò che se fosse stato eletto, avrebbe voluto presidente Ben Ali perchè era l`uomo giusto per la Tunisia…
Ci sono stati dei movimenti, un dissenso intellettuale anche molto profondo nei giornali e nelle università che evidentemente si è qui saldato con la rabbia, i bisogni e l`insoddisfazione popolare, ma che in passato era molto prudente perchè in Tunisia si poteva finire in galera per anni anche per un sito internet inviso al governo! La gestione del petrolio è principalmente in mano straniera (tanto che la benzina costa tantissimo in Tunisia), mentre il gruppo Trabelsi, che ha accaparrato gran parte delle ricchezze del paese, dalle compagnie aeree all`edilizia, è la famiglia della moglie dell(ex) Presidente.
Lo stesso primo ministro Ghannouchi, che oggi si è autopromosso presidente ad interim promettendo elezioni anticipate tra sei mesi, è stato un uomo di Ben Ali per quasi vent`anni ed è probabilmente per questo che la gente non si fida e la rivolta per ora ancora continua. Anche se è difficile in questo momento identificarne con chiarezza gli obiettivi finali.
Secondo le persone che ho ascoltato, la protesta, nata dall`insofferenza di una generazione ricattata dalla crisi, si è saldata ed estesa sulla parola d`ordine comune delle dimissioni di Ben Ali, intese come fine del suo regime autoritario. Ed ora potrebbe rimanere paradossalmente spiazzata proprio dalla rapidità con cui questa rivendicazione si è avverata (almeno per quanto riguarda la cacciata del Presidente). Tanto che il sospetto assai diffuso è stato che la fuga all`estero fosse l`ultimo escamotage concordato da Ben Ali con Ghannouchi e i militari di fronte all`incalzare dirompente della sollevazione. Ma la tentata fuga degli stessi familiari della first lady, considerati la principale mafia economica del paese e fermati dalla polizia all`aeroporto, potrebbe significare che almeno una parte del regime è stata davvero messa fuori dai giochi. Magari come capro espiatorio per la rabbia popolare. Che è davvero straordinaria!
Ieri, dopo le promesse in Tv di nuove elezioni, di abbassamento del costo del pane, di dimissioni del ministro dell`interno, di abolizione della censura, i sostenitori di Ben Ali erano stati chiamati in piazza a festeggiare, per siglare in questo modo la tregua nell`immaginario popolare. Ma stamattina centomila persone hanno quasi assaltato il ministero dell`Interno, mentre molti dei militari erano riluttanti a trasformare la repressione durissima di questi giorni in una mattanza e forse in una guerra civile. E` stato a quel punto che Ben Ali ha compreso che non c`erano più margini e si è rifugiato all`estero, grazie soprattutto all`aiuto della Libia.
E` difficile analizzare il ruolo nella rivolta delle soggettività organizzate. Sicuramente c`è stato un ruolo importante del sindacato, che in Tunisia è rimasta una delle organizzazioni più importanti ma per decenni subalterna al potere governativo. Nella contestazione molta parte della burocrazia sindacale è stata spiazzata dal protagonismo dei sindacalisti della base e dalle loro file potrebbero emergere anche personaggi di riferimento della rivolta. Hamma Hammami, portavoce del non autorizzato “partito comunista dei lavoratori”, arrestato e poi scarcerato in questi giorni, sembra essere un riferimento importante soprattutto nel mondo dei movimenti universitari. Ci sono vari giornalisti che godono di molto rispetto tra la popolazione per essersi esposti quando era del tutto sconveniente. Paiono abbastanza fuorigioco, al momento, i movimenti religiosi in un paese in cui l`Islam politico non ha mai trovato grande fortuna: lo stesso comunicato di Al Quaeda che provava a cavalcare mediaticamente la protesta, trova su facebook migliaia di risposte sdegnate. C`è infine il Partito democratico progressista, con la sua leader May Eljeribi, che i media mainstream occidentali sembrano voler accreditare come il “principale partito d`opposizione”, probabilmente perchè considerato il più vicino ai propri interessi. Ma il consenso reale è davvero un concetto discusso e discutibile, dopo anni di sostanziale semiclandestinità nell`attività dei partiti.
E` l`obiettiva difficoltà, in queste prime ore, a radiografare un movimento di rivolta che covava sotto la cenere di un regime apparentemente forte ma socialmente delegittimato e che è esploso sotto i colpi della crisi economica. Con una grande partecipazione di giovani e giovanissimi (l`età media del paese è del resto assai bassa), con un ruolo fondamentale dei social network e dell`attivismo informatico negli sviluppi della protesta, con gravi squilibri e discriminazioni tra varie regioni, con un livello di scolarizzazione importante.
Un movimento che non può rifarsi a una lunga tradizione di esplosioni sociali come la vicina Algeria e che di conseguenze non ha leader “storici” a cui richiamarsi, ma ha sicuramente nella mente la lotta dei minatori di Gafsa del 2008. Fu la prima crepa tra il regime e il paese, particolarmente visibile anche per la feroce repressione che ne seguì.
Non è semplice perciò fare ipotesi sugli sviluppi. Sarà già importante vedere se la mediazione di Ghannouchi e l`assicurazione di elezioni anticipate con l`uscita di scena di Ben Ali basterà oppure invece la rivolta continua. E in tal caso se continuerà il coprifuoco (attualmente dalle ore 17 alle 7) e i poliziotti proseguiranno a sparare. Sarebbe il segnale più rilevante della continuità del regime!
Difficile immaginare un golpe esplicito dei militari o anche un loro interim transitorio, perchè sarebbe un fatto del tutto nuovo fin dall`indipendenza del 1956.
Per quanto riguarda le potenze occidentali, sicuramente la questione tunisina è al centro dell`attenzione e degli interessi di molte cancellerie. Che cercheranno in ogni modo di condizionare e guidare i nuovi equilibri istituzionali e la selezione del nuovo/vecchio establishment della Tunisia. Per garantire gli ingenti interessi petroliferi in primo luogo. Tutti, anche quelli che fino a ieri erano i tutori di Ben Ali, al momento plaudono formalmente alla rivolta “democratica” per pagarvi il prezzo minore e auspicare la soluzione più gattopardiana. Attualmente gli americani hanno il controllo dell`estrazione del sottosuolo con la concessione formale per decenni, mentre commercialmente ha un ruolo rilevante pure l`Eni, grazie al fatto che Craxi e il Sismi furono determinanti nell`ascesa di Ben Ali. La Francia mantiene invece una fortissima colonizzazione culturale è una significativa presenza economica, ma era molto più vicina al vecchio presidente. Non è quindi un caso che le tv francesi assai seguite in Tunisia, come France24, in questi giorni abbiano dato grande spazio ed eco alla rivolta, aiutandola a diffondersi. E che, a quanto pare, Sarkozy si rifiuti di accogliere Ben Ali in Francia (e che lo stesso stia tentanto di arrivare in Italia, ma i perdenti difficilmente sono amati…).
E` evidente che la capacità del movimento di elaborare e far emergere i propri obiettivi sociali e politici, di esprimere forme di (auto)organizzazione rappresentative e affidabili, sarà determinante per difendere la sua stessa autonomia, il futuro della Tunisia e la portata di questo eccezionale avvenimento. Al quale potrebbero fare da eco nuovi scenari in Algeria, annunciati dalle proteste in questi giorni.
Arriva così nel Mediterraneo il primo grande segnale di quanto l`attuale crisi economica, per quanto drammatica, possa essere anche l`occasione per cambiare in profondità gli scenari sociali e politici. La rivolta tunisina, con in prima fila giovani, precari e studenti, capace di coordinare la rabbia popolare e il protagonismo dal basso grazie anche alle nuove potenzialità democratiche della comunicazione in rete, si lega potenzialmente al ciclo di proteste che sta attraversando l`Europa pur nell`ovvia diversità dei contesti.
Il Mediterraneo è uno spazio politico reale blindato da una frontiera fittizia e crudele ma continuamente bucata. Il futuro non è scritto!