Le storie dei migranti che pagano i contributi ma non ottengono i documenti

Vite bloccate, come la sanatoria truffa

Raffaella Cosentino
  Lo scorso 14 ottobre duemila migranti hanno manifestato a Roma contro la sanatoria-truffa e per i loro diritti. Non se n`è accorto nessuno. “Giocano con noi come a football, avanti e indietro dalla questura”, protestano. Tra i manifestanti, anche dei bengalesi vittime di aggressioni razziste. Uno di loro, assalito a Tor Bella Monaca, lancia un appello al sindaco Alemanno: “Le ferite mi hanno rovinato, aiutatemi”
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Roma – Vite bloccate, come la sanatoria. “Ho 35 anni e non posso sposarmi, da 8 anni non torno al mio paese, scrivi, scrivi il mio nome: Nazrul, io non ho paura”. Il ragazzo originario del Bangladesh si avvicina durante il sit in organizzato dagli immigrati in piazza della Repubblica. “Giocano con noi come a football, avanti e indietro dalla questura”, dice. Ha un lavoro come badante in una famiglia italiana nella capitale, ha fatto domanda per la sanatoria ormai un anno fa, ma ad aprile la sua regolarizzazione è stata bloccata dalla questura perché aveva già avuto un foglio di via. “Questa cosa non era scritta nella legge che ha stabilito la sanatoria per colf e badanti, non si possono cambiare le leggi così, io sto pagando i contributi. A chi vanno le mie tasse?”, spiega Nazrul.
Oltre centomila casi in tutta Italia tra lavoratori stranieri che come Nazrul hanno un contratto regolare ma sono stati bloccati da un precedente decreto di espulsione e altri che sono stati truffati pagando fino a 3 mila euro per un contratto come colf o badante. Gli italiani hanno intascato i soldi e si sono dileguati. Per chiedere di sbloccare questi permessi e di regolarizzare anche chi lavora nell’edilizia e in agricoltura,  circa duemila immigrati da tutta Italia hanno sfilato lo scorso 14 ottobre, in corteo da Piazza della Repubblica fino all’Esquilino. Tra striscioni e volantini c’erano frasi come queste: “Bambino immigrato nato in Italia è italiano, chi dice il contrario è padano” oppure “Governi terroristi, lavoratori terrorizzati”. Molti i cartelli contro la “sanatoria – truffa”.
I manifestanti hanno bloccato via Cavour, sedendosi lungo tutta la strada dalla stazione Termini fino all’incrocio con piazza Esquilino. Il corteo era scortato dalle forze dell’ordine. All’arrivo nella piazza, un gruppo di alcune decine di immigrati musulmani, guidati da un imam con il megafono, ha pregato con un rito islamico in mezzo alla piazza, davanti alla chiesa di Santa Maria Maggiore, nel quartiere Esquilino.
Tante le testimonianze di violenze subite in Italia. Bilal è un bengalese che fino al 28 novembre dell’anno scorso lavorava come benzinaio sulla via Prenestina. Una giornata che è rimasta scolpita nella sua memoria e sul suo corpo, con due fori di proiettile sopra il ginocchio sinistro e un altro alla mano destra. La stazione di servizio in cui lavorava è stata rapinata da un uomo armato al momento di conteggiare l’incasso a fine giornata. Bilal ha affrontato il rapinatore a mani nude e il risultato sono le ferite e un foglio di via. E’ finito in ospedale, è stato identificato dalla polizia ed espulso. C’è una profonda commozione anche negli occhi di Bhuya Golam Hossain, anche lui originario del Bangladesh, ma titolare di carta di soggiorno. Vive a Tor Bella Monaca con la moglie e tre figli dai 3 ai 17 anni d’età.
Bhuya è uno dei bengalesi vittime di feroci aggressioni razziste avvenute a Roma negli ultimi anni. Nel 2007 ritornava verso casa con le buste della spesa nelle mani, quando è stato colpito ripetutamente da un branco di cinque ragazzi italiani con i volti coperti dai cappucci. Ricorda benissimo. Prima un pugno in fronte, poi un calcio ai fianchi e un altro al collo. Dopo il pestaggio, è rimasto sanguinante sull’asfalto. Prima lavorava come domestico e poi ha fatto l’ambulante. Per tanto tempo dopo l’aggressione, denunciata ai carabinieri, non ha più potuto lavorare né guidare per le ferite riportate. Questo ha ridotto la sua famiglia sul lastrico. “Sono tutto rovinato” dice mentre mostra sul volto e sul corpo i segni del pestaggio. “Mi sono rivolto ai servizi sociali e poi ho scritto una lettera al sindaco Alemanno, ma non ho mai avuto risposta, chiedo aiuto e una licenza per un posto di vendita fisso” è il suo appello al primo cittadino della Capitale.

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