Trecentocinquantacinque milioni di euro, appunto. Come prevede la legge (il decreto 195, proprio quello che istituiva la Protezione civile spa, poi stralciata), lo Stato li verserà nelle casse della Impresilo, società del gruppo Impregilo, come pagamento della costruzione dell’inceneritore di Acerra. La multinazionale (proprietà dei gruppi Gavio, Benetton e Ligresti) li ha già messi in bilancio. Si legge nella semestrale del gruppo che «in relazione alla valorizzazione del termovalorizzatore di Acerra, esso è determinato in euro 355 milioni. Il trasferimento della proprietà dell’impianto di Acerra dal gruppo Impresilo alla Regione Campania (o alla Presidenza del consiglio dipartimento di Protezione civile o a soggetto privato) dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2011.
Fino a tale momento, all’ex affidatario, competerà un canone di affitto determinato in euro 2,5 milioni al mese per una durata di 15 anni». Continua la relazione di Impregilo: «Merita opportuna evidenza il positivo collaudo definitivo del termovalorizzatore di Acerra, datato 15 luglio 2010». Impregilo è sotto processo al Tribunale di Napoli, insieme con Antonio Bassolino. L’ex governatore campano nel 2002 firmò il contrattocapestro che assegnava al colosso delle costruzioni l’intero ciclo dei rifiuti (due termovalorizzatori e sette impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti, il cosiddetto cdr). Il cdr doveva essere ricavato solo dal 32 per cento della spazzatura, la parte con maggiore potere calorifero e non inquinante.
Ma siccome quelle balle erano, per la società privata, vero e proprio oro, una specie di conto in banca – bruciarle permette di intascare i contributi ecologici Cip6 – Impregilo preferì metterci dentro di tutto, anche i rifiuti “tal quale”. A causa della decisione di costruire l’inceneritore in una delle aree più inquinate al mondo, ad Acerra, i lavori del termovalorizzatore ritardano e tra il 2006 e il 2008 il sistema va in tilt. Gli impianti di cdr fanno milioni di finte ecoballe di “tal quale”, che vanno a finire in depositi temporanei mentre la spazzatura si accumula nelle strade. Nel 2008 arriva Bertolaso e con la bacchetta magica risolve il problema. Mette, in deroga alla legge, in funzione l’inceneritore, nonostante l’assenza di un collaudo definivo.
E nello stesso decreto 90 scrive: «È autorizzato presso il termovalorizzatore di Acerra il conferimento ed il trattamento dei rifiuti aventi i seguenti codici: 19.05.01 parte di rifiuti urbani e simili non compostata; 19.05.03 compost fuori specifica; 19.12.10 rifiuti combustibili (Cdr: combustibile derivato da rifiuti); 19.12.12 altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, non contenenti sostanze pericolose; 20.03.01 rifiuti urbani non differenziati; 20.03.99 rifiuti urbani non specificati altrimenti». Tutto ciò in deroga alla Via, Valutazione di impatto ambientale, del 2005 che imponeva di bruciare solo il “vero” cdr. La gestione del termovalorizzatore viene affidata alla Partenope ambiente, controllata dalla lombarda A2a.
Spiega il sindaco di Acerra, Tommaso Esposito: «L’impianto nasce per bruciare il cdr e nel corso degli anni con le ordinanze in deroga del presidente del Consiglio finisce per bruciare un’altra cosa: brucia tritovagliato, spazzatura con due o tre giorni di vita. È come mettere il diesel in una macchina a benzina». Succede che il motore si rompe. E se ne accorgono anche i fidati collaudatori nominati da Bertolaso per dare il via libera definitivo all’impianto e sbloccare così i fondi di Impregilo. Nella relazione di collaudo del 16 luglio 2010 si legge che «l’originario sistema di evacuazione scorie si è rivelato inadeguato ad assicurare la continuità di funzionamento del forno (…) per la presenza di percentuali di ferro a volte di notevole dimensione», a causa del fatto che il progetto originario prevedeva di bruciare «cdr senza contenuti ferrosi».
Nei verbali di marzo la commissione rileva che il sistema di monitoraggio delle emissioni, in particolare «il valore relativo alla portata di fumi al camino», non funziona correttamente. A maggio, durante una verifica dei collaudatori salta la rete elettrica, bloccando il ventilatore di estrazione dei fumi. A febbraio del 2010 i commissari notano che «in alcuni conferimenti il rifiuto risultava visibilmente bagnato» e chiedono alla Protezione civile di «conferire all’impianto un rifiuto con minore umidità».
Poi, il 4 febbraio 2010, il gestore della rete elettrica, Terna, sospende l’acquisizione di energia dal termovalorizzatore: le reti ad alta tensione non reggono e il guaio si ripete anche il 6 e il 7 febbraio. Nel gennaio 2010 invece, salta una guarnizione sulle linee del vapore, bloccando l’impianto. Nel corso del collaudo i problemi si sprecano: capita persino «la foratura» di alcuni tubi dei surriscaldatori. Eppure, nella relazione conclusiva i collaudatori danno il via libera all’impianto. Ma sono costretti ad ammettere che «l’attività della commissione non può contemplare verifiche di durabilità di lungo termine». E che alcuni degli obblighi imposti nel 2005 dalla commissione Via non sono stati espletati dall’impresa: tra questi, «l’installazione di un portale di rilevamento radioattività», la «duplicazione del sistema di monitoraggio fumi al camino», l’«installazione di un sistema di monitoraggio in continuo del mercurio» e di un «sistema di prelievo in continuo dei microinquinanti organici». Questioni che, scrivono i tecnici, «saranno oggetto di collaudo separato». Un mezzo collaudo, dunque.
La faccenda ha convinto Tommaso Sodano, consigliere provinciale del Prc-Fds, a presentare un esposto alla magistratura. Denuncia il mancato rispetto di molte prescrizioni, i frequenti blocchi degli impianti (gli ultimi risalenti a poche settimane fa) e chiede il sequestro dell’inceneritore. Ma chi sono gli uomini che hanno dato il via libera all’impianto? C’è il presidente, Gennaro Volpicelli, responsabile dell’Arpac, l’Azienda ambientale regionale che dovrebbe monitorare ordinariamente l’impianto. Scelta che, secondo il geologo Franco Ortolani, dimostra un evidente conflitto di interessi. Se Volpicelli, come capo dell’Arpac, notasse irregolarità non rilevate dal collaudo, dovrebbe quindi sanzionare se stesso.
Ci sono poi uomini fidati della Protezione civile: Gian Michele Calvi è il capo del consorzio For case, il costruttore delle new town aquilane. Indagato dalla Procura della Repubblica aquilana per il mancato allarme della commissione Grandi rischi del 30 marzo 2009, è stato – dopo la promozione del re della cricca Angelo Balducci a presidente del Consiglio superiore delle opere pubbliche – mandato sui cantieri del G8 alla Maddalena a controllare che tutto fosse a posto. Presidente della fondazione Eucentre di Pavia, Calvi è un esperto non di rifiuti ma di ingegneria sismica. Tra i collaudatori c’è anche Marcello Fiori, dirigente della Protezione civile, ex commissario nominato da Bertolaso alla gestione dei beni archeologici di Napoli e Pompei, su cui ha aperto un fascicolo di indagini la Procura di Torre Annunziata in seguito a un esposto della Uil.
Fiori è laureato in lettere. Ha invece la laurea in giurisprudenza un altro funzionario della Protezione civile inviato al collaudo di Acerra, Isabella Annibaldi, capo dell’ufficio del contenzioso. Tre dipendenti del commissario che ha fatto edificare l’inceneritore, Guido Bertolaso. Cui fanno da contraltare solo altri due esperti, Carlo Botti, ingegnere dell’emiliana Hera, e Giuseppe Viviano, collaboratore dell’Istituto superiore di sanità. Anche il segretario della commissione, un geologo, Roberto Pizzi, ha spesso lavorato con la Protezione civile, ad esempio a L’Aquila nell’emergenza del fiume Aterno.
«Dobbiamo essere vigili, perché quando l’inceneritore andrà a pieno regime potrebbero crearsi nuovi problemi», conferma il sindaco di Acerra, Esposito. Il quale deve sopportare sul suo territorio, a pochi passi dall’inceneritore, anche un deposito di ecoballe. «Ci avevano promesso 3 milioni all’anno di compensazioni e la bonifica dell’area. Lo prevede un verbale di intesa con la Protezione civile. Non abbiamo visto un euro. Pacta sunt servanda, dicevano gli antichi». Ma i romani, inventori del diritto, come potevano immaginare l’arrivo, duemila anni dopo, del messia Guido Bertolaso?