`Ndrangheta. La questione Polsi

Chiesa e sindaci, pensiero comune: “I giornalisti rovinano l’immagine”

Raffaella Cosentino
  A un anno di distanza dal summit di `ndrangheta ripreso dall`operazione "Crimine", c`è chi propone che le celebrazioni al santuario di Polsi vengano interrotte o che ci sia un segno tangibile di rottura. Chiesa e sindaci, nei fatti, fanno quadrato. Il problema sono i giornalisti. L`obiettivo diventa la difesa di una fantomatica "immagine". "A noi non importa se a Polsi avvengono summit di mafia", dice il vescovo.
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Polsi, santuario mariano nel cuore dell`Aspromonte. Luogo di culto ma anche sfondo del summit annuale delle `ndrine. Sulla questione, la levata di scudi soprattutto nella locride, è stata generale. Il settimanale locale “La Riviera” risponde al vaticanista del Tg2 Enzo Romeo che sulle pagine dello stesso giornale invitava a una chiusura simbolica del santuario con queste parole: “Offriamo il segno forte e tangibile che essere cristiani significa dare il sangue per i fratelli e non diventare fratelli col sangue”. Tempo dopo, sulla rivista della locride viene ospitato un articolo dal titolo a caratteri cubitali “La Madonna di Polsi arrestatela”. Sommario: “E` una provocazione, vogliamo vedere la Madonna con le manette ai polsi su corriere.it e al telegiornale”. Il primo settembre, vigilia della festa, anche il primo cittadino di Gerace, presidente del comitato dei sindaci della locride, Salvatore Galluzzo, si scaglia contro “l’attacco insensato della stampa leghista e i commenti insulsi di giornalisti improvvisati”. In una lettera aperta sostiene che Polsi è un “luogo sacro, violentato prima dalla ‘ndrangheta, poi dalla stampa nordista e dalla becera stampa del sud”.

Ecco che la difesa di un luogo simbolo per la storia e la tradizione contadina passa per una pericolosa associazione tra ‘ndranghetisti e giornalisti, grave perché viene da un rappresentante delle istituzioni. Riferisco queste affermazioni a Prestipino, che risponde così: “In Calabria esiste il problema del silenzio, cioè che di queste cose non se ne parli. E’ un trend culturale dire che se si parla di mafia si danneggiano queste regioni. Nascondere i problemi è una scelta che non porta lontano”. L’analisi del magistrato parte dalle indagini per arrivare a un importante problema culturale. “Con la nostra indagine, abbiamo dimostrato che in quel luogo si riunivano i capi della ‘ndrangheta –spiega – questa è un’organizzazione segreta, ma che non si nasconde. Si mostra, funziona perché si mostra. Ha bisogno di comandare stando fra la gente, facendosi vedere. Il controllo sociale, la presenza è un fatto attivo”.

Proprio per questo motivo, le parole di papi e vescovi sono importanti. “Lasciano il segno, conferma Prestipino – nelle intercettazioni a Palermo nel 2006 ancora i mafiosi parlavano del monito del Papa ad Agrigento del 1993. Erano ancora scossi, quelle parole li avevano colpiti e a distanza di 13 anni la rabbia e il risentimento non erano passati”. Gliela fecero pagare. Dopo quel discorso di Wojtyla che metteva non solo la Chiesa, ma proprio il Vaticano in prima linea contro la mafia, lo scontro divenne frontale. A fine luglio di quell’anno Cosa Nostra fece saltare in aria le due autobombe davanti alle chiese romane di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro e a settembre fu ucciso padre Puglisi. I responsabili condannati per le bombe, le stragi e per l’omicidio del sacerdote di Brancaccio sono gli stessi: i fratelli Graviano.

Secondo Prestipino, sul rapporto tra mafia e chiesa, non c’è grossa differenza in Sicilia e in Calabria. “In entrambi i casi è una situazione molto complicata, una realtà variegata con comportamenti diversi, ci sono i fatti positivi, ad esempio uno degli animatori di Reggio Non Tace è un padre gesuita”.

D’altronde, per la ‘ndrangheta alcune icone religiose sono al fondamento di summit mafiosi e di affiliazioni e battezzi, come San Michele Arcangelo e la Madonna di Polsi, le cui immagini infatti vengono piazzate all’inizio di alcuni video YouTube molto seguiti che inneggiano alla ‘ndrangheta, “Onorata società, padre figlio e spirito santo, basata su regole di rispetto e omertà,” e glorificano i boss come eroi, tra santini e processioni.Può la Chiesa limitarsi a prenderne solo le distanze?

L’omelia di Polsi

Se Giovanni Paolo II aveva lanciato un vero anatema chiamando il ‘giudizio di Dio’ sui mafiosi responsabili di avere violato il comandamento ‘non uccidere’, il vescovo di Locri, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, nella cui diocesi ricadono San Luca e Polsi, richiama invece davanti ai mafiosi la figura della “Chiesa che allarga le braccia”, disposta ad accogliere le pecorelle smarrite che tornano sulla retta via. Nell’omelia pronunciata il 2 settembre davanti a fedeli e telecamere, il vescovo afferma che Polsi “è luogo violato e profanato da conterranei e fratelli di fede, che hanno tradito la fede vera, pretendendo assurdamente di ricevere dalla Vergine Maria la benedizione sui loro patti illegali, sui loro progetti non certamente a favore della vita, sulla spartizione di un potere ingiusto”.

Il Corriere della Sera nota giustamente che il vescovo non pronuncia mai la parola ‘ndrangheta. La visione di questa omelia è quella di una chiesa che prende le distanze, come il Papa a Palermo, che dice: “mafia e vangelo sono incompatibili”. Il vescovo è cosciente di avere l’attenzione dell’Italia in quel momento. “oggi gli occhi sono rivolti su di noi, aspettando da questo mio discorso una forte ed energica presa di posizione. C’è forse attesa di che cosa dirà il Vescovo”. E a questo punto il passaggio cruciale: “Cari fratelli, se anche oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l’anno scorso le Forze dell’ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria espresso nell’antichissima statua di pietra qui conservata e riascoltare le parole con le quali S. Paolo parla del mistero dell’Incarnazione”.

Subito dopo, ritorna anche nelle parole del vescovo il problema dell’immagine mediatica, segno di una mentalità radicata anche nella chiesa.  Come se il problema dei summit della ‘ndrangheta a Polsi fosse la forma, cioè che avvengano a Polsi, deturpandone l’immagine di luogo di fede, e non la sostanza, vale a dire che quegli incontri decidano patti efferati di sangue e di morte. Quindi il vescovo si rivolge in modo contorto ai giornalisti, chiedendo di evidenziare al contrario che Polsi è un luogo di fede. Dice: “ Gli occhi di chi vuole scrutare e passare al vaglio della critica mediatica questo nostro incontro di preghiera, volgano gli occhi su di voi, carissimi fedeli, sulla vostra fede, sulla vostra pietà, sulla vostra speranza riposta in Maria e tramite lei nel Signore.” Poi di nuovo il distinguo tra noi e loro, segno che la Chiesa mette un argine, tra il male di là e il bene di qua. La mafia vista come un corpo estraneo e sconosciuto.

“Se altri vengono qui con l’illusione di poter dare un significato religioso alle loro attività illegali, che nulla hanno da condividere con la nostra fede cristiana, o a trasmettere poteri che sono espressione non dell’amore di Dio, è un problema loro e non nostro: questo sia chiaro una volta per sempre”. Il problema al centro dell’omelia è quello dell’immagine del santuario, dunque dell’immagine della Chiesa cattolica e con essa della Calabria intera, “che non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine di terra del male e dell’illegalità”,  violata e profanata in ciò che aveva di più sacro: la fede e la devozione. Da qui deriva la posizione assunta dal vescovo che in conclusione dice: “non mi lascio suggestionare da inviti a compiere gesti plateali, utili solo a costruirmi sui media nazionali e internazionali l’effimera immagine di lottatore e salvatore, immagine ahimè della durata di un solo giorno, ma che non costruisce nulla di positivo”. Ricordando le parole di Prestipino, invece, l’esperienza insegna che i gesti plateali del pontefice precedente non furono ‘effimeri’. Sembra più forte la preoccupazione di proteggere il santuario e il vescovo, che quella di difendere la sacralità e dignità della vita, calpestate dagli ‘ndranghetisti.

Secondo Augusto Cavadi, teologo e autore del libro Il Dio dei mafiosi, (edizioni San Paolo) “il vescovo ha detto in maniera un po` zoppicante una cosa giusta e una cosa sbagliata. La cosa giusta è  che non si può criminalizzare un`intera popolazione per colpa di minoranze criminali. La cosa sbagliata è che la parte `sana` della società (e i cattolici si autocollocano, ovviamente, da questa parte della barricata) non ha nessuna responsabilità per i delitti della parte `malata`: questo è troppo comodo oltre che falso. Ci sono settori della società meridionale mafiosi e settori mafiogeni”. Abbiamo chiesto a Cavadi un’opinione anche su una chiusura simbolica del santuario. “Personalmente sarei stato d`accordo con la proposta del “gesto plateale”, ma rispetto l`opinione contraria del vescovo e del sindaco di non voler chiudere  – neppure un giorno, neppure a scopo dimostrativo – il santuario di Polsi. Quello che non condivido è l`assenza di un`alternativa: che cosa si è pensato di mettere in opera per urlare la condanna (civile e cristiana) della `ndrangheta?”.

In un articolo sull’archivio Stop ’Ndrangheta, la scrittrice calabrese Francesca Viscone, autrice di saggi sulla ‘ndrangheta, scrive riguardo all’omelia di Morosini: “Leggendola, mi è sembrato di trovarmi di fronte ad una Chiesa che si chiude in se stessa, che si rinchiude nella torre d`avorio della fede-contemplazione dell`ultraterreno […]. Morosini non ha mai parlato di giustizia, di come riparare al male fatto, risarcire le vittime, pagare il proprio debito con la società. “ E ancora: “Non me la sento più di credere – o di sperare –  con Morosini che la storia di Polsi la facciano i fedeli. Purtroppo le immagini che avremmo preferito non vedere, fanno anch`esse la storia di Polsi e non possiamo certamente chiudere gli occhi davanti a questa realtà, né incolpare i media se diffondono notizie di realtà orrende.” 

Continua: “Possiamo mai dire a qualcuno, non mi importa niente di quello che fai a casa mia? Sono fatti tuoi se confondi il diavolo con Dio, se profani sì la mia fede, ma anche e soprattutto il mio diritto alla vita, ad una vita dignitosa e umana? Perché Morosini, uomo saggio e di grande cultura, ha scelto questa formula per parlare ai mafiosi?” Viscone sottolinea che l’omelia non è solo un discorso rivolto al mondo dei fedeli, trasmesso dai giornali diventa un messaggio sociale. “eclatanti furono le parole di Giovanni Paolo II in Sicilia. Destarono scandalo le parole di Gesù nel tempio. Di rotture abbiamo bisogno, non di abbracci; di schiaffi, non di carezze. Se vogliamo cambiare il corso della storia, non possiamo solo conciliare, mediare. Dobbiamo sì dialogare, capire, ma è necessario porre condizioni, con fermezza. Ribadire che chi non collabora con le istituzioni democratiche non avrà salvezza”.

Secondo don Pino Demasi, sacerdote di Libera con base a Polistena (Rc) “la chiesa non deve farsi strumentalizzare, bisogna impedire ai mafiosi di entrare nei comitati delle feste patronali e di portare le statue dei santi (come all’affruntata di sant’onofrio, nel vibonese) e poi è chiaro che debba farsi carico di formare le coscienze sul territorio, nell’omelia di Polsi manca la parte sui costruttori di giustizia che però Morosini aveva detto a Gioiosa Jonica qualche giorno prima per San Rocco”. I luoghi però sono importanti. Lo ribadisce anche il vescovo, che alcuni giorni fa, il 29 settembre, per la festa di San Michele Arcangelo patrono anche della Polizia di Stato celebra proprio a Polsi la messa organizzata dalla Questura di Reggio Calabria per lanciare un messaggio forte. 

Questa volta il vescovo usa l’omelia per parlare dei santini di San Michele che usano gli ‘ndranghetisti per i nuovi battezzi  “Chi giura su questa immagine nei riti di iniziazione di alcune associazioni criminali. Ancora una volta un uso distorto e vergognoso della religione, che non ci stancheremo mai di condannare e dal quale vogliamo si allontanino i nostri giovani”. Qualcosa sulle critiche all’omelia del 2 settembre è arrivato alle orecchie di Morosini. Perfino il magistrato Giuseppe Leotta, consulente della commissione parlamentare antimafia si era detto ‘perplesso’ delle parole del vescovo, durante un incontro pubblico a Roma.

Morosini afferma nell’omelia di essere stato frainteso. “Se nella mia azione pastorale non mi importasse di quanto succede sul territorio, non impronterei le mie omelie, soprattutto quelle ai giovani durante le cresime, al richiamo del rispetto della legalità e alla condanna dei mali del territorio, quali l`usura, il traffico e lo spaccio della droga, le estorsioni, i taglieggiamenti, le intimidazioni ecc. Questi mali ci interessano, e come! Che in questo Santuario non avvengano raduni illeciti o spartizioni di poteri criminali, ci interessa, e come! Solo che non bloccherò mai l`attività religiosa che qui si svolge per paura che qui avvengano tali incontri o per protestare contro di essi. Né impronterò mai la condanna del crimine allo stile delle piazze e spesso dei media. Qui, in un luogo sacro, un Vescovo condanna non per distruggere la persona, ma per redimere, come ha fatto Gesù  nella sua predicazione e azione”. Questa la posizione del vescovo e, ancora una volta, niente parola ‘ndrangheta nell’omelia.

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