Messa in sicurezza del territorio

La Sicilia frana. I soldi vanno al Papa e al Ponte

Manuele Bonaccorsi e Alberto Puliafito
  Fondi bloccati. Gli abitanti delle montagne chiedono che il denaro stanziato per il Ponte sullo stretto venga destinato alla messa in sicurezza. Dopo il danno, la beffa- Due milioni di euro: questo il costo della visita di Benedetto XVI a Palermo, il 3 ottobre. Soldi spesi in Sicilia con appalti assegnati dalla Protezione civile in tutta fretta, mentre la terra non smette di franare.
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Un anno fa c’era Giampilieri. Il 1° ottobre ricorreva l’anniversario della terribile frana del 2009: 37 morti e Guido Bertolaso che tuonava contro l’abusivismo, in un paese in cui, a detta di tecnici, abitanti, responsabili del Genio civile, di abusivo non c’era proprio nulla. Ma il dissesto idrogeologico, nel territorio siciliano, c’è anche dove non arrivano le telecamere delle televisioni.

San Fratello. «Ogni volta che piove, per me è una notte insonne». La signora Bettina Nicolosi non ha paura dei tuoni. Teme che la sua casa possa scivolare a valle, come è già accaduto ad altri mille abitanti di San Fratello, dopo la frana del 14 febbraio: 50 milioni di metri cubi di terreno che hanno cominciato a muoversi, distruggendo abitazioni, scuole, chiese, sul versante che il piano regolatore del paesino del messinese, arroccato sui Nebrodi, stava per individuare come zona di espansione.
Un terzo di San Fratello è oggi un paese fantasma, popolato solo da qualche anziano, che torna davanti alla sua vecchia abitazione, sfidando il pericolo di crolli, tra le crepe che spaccano il terreno e le facciate delle case.

«Cosa aspettano a dare inizio ai lavori, che caschiamo giù anche noi?», si chiede Bettina, che dal 14 febbraio, dopo pranzo, ogni giorno scende a controllare se un chiodo, piantato davanti al portone della sua abitazione, si è inclinato, a segnalare che la catastrofe non è ancora finita, che la frana avanza, lenta e inesorabile. «Hanno iniziato i lavori un mese fa, ma solo lì, sotto quella casa che sta sull’orlo della frana», dice indicando il piccolo cantiere, distante appena un centinaio di metri. Accanto al macchinario che sta installando la palificazione, uomini del Dipartimento di Protezione civile. «Dovrebbero arrivare fin qui, mettere in sicurezza tutto il costone. Avevano promesso che non ci avrebbero abbandonato: quando è venuto in paese, subito dopo la frana, Bertolaso me lo aveva detto di persona. Invece è tutto fermo. Che fa il sindaco?»

Salvatore Sidoti Pinto, primo cittadino di San Fratello, la scorsa settimana ha chiamato ancora una volta la Protezione civile di Palermo, che supporta il Commissario straordinario Raffaele Lombardo nella gestione dell’emergenza frane. «Mi hanno detto che la gara per i lavori di consolidamento slitterà di un’altra settimana – spiega il primo cittadino – a causa della visita a Palermo del Papa». Le copie di Avvenire sul tavolo segnalano che il primo cittadino della città che diede i natali alla famiglia di Bettino Craxi non è certo un mangiapreti. Ci tiene a nascondere lo sconforto per l’ennesima risposta negativa: «Be’, se si tratta solo di una settimana, la benedizione del Pontefice ci aiuterà a recuperarla in breve tempo». Ma il suo sguardo lascia trapelare più fede in Dio che fiducia nello Stato.

Castell’Umberto. Quattromila abitanti sparsi in poche contrade di montagna, tra orti e noccioleti. In mille vivono nella frazione di Sfaranda, dove la terra si è mossa qualche giorno dopo San Fratello, all’inizio di marzo. Ha distrutto una chiesa, le scuole elementari e costretto alla fuga un centinaio di cittadini. Che quel costone fosse instabile lo si sapeva da tempo, spiega il sindaco Alessandro Pruiti Ciarello: «Nel 2005 eravamo riusciti ad aggiudicarci uno stanziamento di 6 milioni per la messa in sicurezza», racconta il sindaco. «Siamo riusciti a spenderne solo uno, gli altri soldi non li abbiamo mai visti. In quel punto, dove abbiamo fatto i lavori, le case non sono crollate. E ora ho un’altra preoccupazione: che prendano i fondi per la venuta del Papa a Palermo da quelli destinati al dissesto idrogeologico».

Per Benedetto XVI i soldi sono stati spesi velocemente, per la messa in sicurezza, invece, è tutto bloccato: «Dobbiamo aspettare che la Protezione civile ci comunichi i risultati dei carotaggi, utili a capire a quale profondità si muove la frana. Dovevano essere già arrivati, ma hanno rimandato tutto ancora di una settimana». I funzionari della Protezione civile hanno fatto capire al primo cittadino di Castell’Umberto che faranno un’analisi costi-benefici, per capire come intervenire. Lui tiene a precisare: «Bisogna fare gli interventi necessari, non una deportazione coatta».

Eppure, se la frana sarà troppo profonda il destino della frazione sarà segnato. Come già accaduto nel 1922 a Castania, l’antico abitato di Castel Umberto: i prefetti fascisti decisero allora di ricostruire il paese più in alto, e l’antico abitato è ora abbandonato, con i suoi monasteri seicenteschi, le strade di pietra e la piazza del mercato, avvolta dai rovi.
E neppure il vescovo di Patti, nella cui diocesi ricade il paese, ha mai fatto visita alla sua chiesa, distrutta dalla frana di marzo.

Caronia. Tutto fermo anche a Caronia, nonostante l’accordo di programma quadro del 30 marzo, che ha stanziato per il messinese 180 milioni di euro. Sulla frana, che ha trascinato le case per decine di metri verso valle, è tutto identico allo scorso inverno. Unico intervento, una strada ripida che scende tra le macerie e le abitazioni distrutte, spostate come sassolini dalla furia della terra. La strada servirebbe per portare a valle l’acqua. Ma gli sfollati sono soliti percorrerla per andare a cercare vestiti, album di foto, ricordi; si aggirano fra macerie, case distrutte, muri, tetti e pavimenti incastrati in prospettive improbabili: sette mesi fa, quando la terra si è mossa, non hanno avuto il tempo di portar via nulla. Non sanno se riavranno una casa, non sanno cosa sarà del lavoro che hanno perso, vivono sospesi in attesa di certezze che non arrivano.
Finora, dunque, è servita a poco la protesta di 40 sindaci dei Nebrodi, che quest’estate si sono recati a Palermo per dire al presidente della Regione, impegnato a preparare il quarto rimpasto di governo in due anni, che ogni minuto passato era sprecato. Si aspetta ancora. Ma la stagione delle piogge è già iniziata. E gli abitanti dei Nebrodi temono che la terra tornerà a muoversi.
Intanto, ieri, gli organizzatori della manifestazione “No Ponte” hanno chiesto a gran voce che i fondi stanziati per il ponte sullo stretto vengano destinati alla messa in sicurezza del territorio siciliano. Nel corteo – 5mila persone che hanno attraversato il centro di Messina – questa volta, non c’erano solo ambientalisti e gli abitanti delle zone che saranno interessate dai cantieri, dove le imprese hanno iniziato le proprie indagini sul terreno, scortate dalla polizia: c’erano anche gli abitanti delle montagne che franano. Per loro, il ponte, è la beffa dopo il danno.

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