Due giorni in cui ogni passo parla: ricorda i morti, fa bilanci, protesta. Sulle spalle dei messinesi in marcia un inverno infernale: dodici mesi di frane e sfollati ovunque, da Giampilieri a San Fratello. Da una costa all’altra della sua grande provincia Messina si sgretola, 37 persone muoiono, migliaia perdono le loro abitazioni. Un anno dopo sono ancora senza casa.
Soldi non ce ne sono. Servono per il Ponte, per fare i sondaggi sul terreno, per entrare nei condomini con le trivelle, e ogni trivella, secondo indiscrezioni, costa10 mila euro al giorno: «I soldi siano impiegati per la difesa del territorio, quella di oggi sarà una giornata di rabbia e indignazione», fa il punto Gino Sturniolo, motore della Rete No Ponte. Un anno fa i soldi non spesi – ma chiesti – per mettere in sicurezza la montagna sopra Giampilieri, travolgevano la vita di questo paese, il più colpito. Si snoda tutto in salita o in discesa: dipende da dove lo si osserva.
Se lo si guarda da L’Aquila, è in salita. I siciliani di “new town” non ne vogliono sapere, e per questo sono disposti ad aspettare. Vista così Giampilieri è un buon esempio. Salendo, si cammina con piedi piantati per terra. Non si scorda come si camminava un anno fa: tre metri sopra l’orrore. Con gli stivali al ginocchio ogni appoggio era sabbia mobile da cui si usciva temendo di aver pestato il viso, le braccia, le costole: la vita appena persa da qualcuno.
Da questa impetuosa melma vennero fuori avvinghiati in un abbraccio straziante i due fratelli Maugeri, poco più che ventenni. Riemersero dopo due settimane di ricerca i corpi ancora troppo piccini dei fratelli Lonia, 4 e 2 anni. Oggi si conquista agili una piazza in piena defibrillazione: un prefabbricato come bar, i più anziani sulle panchine, i ragazzi che escono da scuola rianimano un paese che pesa 29 morti sul cuore. I segni di vita ci sono, hanno riaperto due macellerie, il supermercato, la parrucchiera – Katia – una bottega di alimentari, un bar, la farmacia e due ristoranti. Se si alza lo sguardo, le colline mostrano le lacrime piante dal cielo, le rughe profonde scavate dall’acqua sul volto e sulla storia che sovrasta questa porzione del mondo. E si scorgono gli interventi della protezione civile: «Sono stati spesi 140 milioni, 80 milioni dalla Regione, solo 60 dallo Stato: una proporzione assurda. E sui Nebrodi va ancora peggio», commenta Filippo Panarello, deputato regionale del Pd, nato e cresciuto a Giampilieri.
Gli fa eco Gaetano Sciacca, ingegnere capo del genio civile: «Dallo Stato solo briciole». Ci vorrebbero «almeno altri 180 milioni», ribadisce Raffaele Lombardo. Con queste briciole, da gennaio in poi – prima non s’è mosso nulla – si contano 8 interventi in fase di completamento, altri dieci ancora agli albori. Più che il riassetto idrogeologico delle colline, operazione che richiederebbe troppo tempo, si procede per creare vie di scorrimento per l’acqua. Nella zona più degradata che va da via Puntale a via Vallone saranno demolite le case, verrà fatta un’incisione sulla terra per permettere all’acqua di fare il suo corso. Ecco cos’è infatti successo a Giampilieri un anno fa. Bertolaso parlò di abusivismo, «e fece di questa una tragedia di serie B», punzecchia Panarello.
Ma di abusivismo non si può parlare: «Le regole dell’uomo sono state rispettate», spiega Sciacca. Ma altre regole, «quelle della natura», no. L’esempio è nella vicina Scaletta Zanclea. Un torrente è tornato oggi alla luce, era stato completamente ricoperto per costruire il residence “Le rocche”. Per la copertura del primo lotto del torrente «Il Ministero dell’ambiente aveva stanziato 900mila euro nel 2005», spiega Gabriele Avigliani, consigliere comunale di Scaletta. Che coprire quel torrente fosse pericoloso l’avevano denunciato gli stessi abitanti, tra loro pure la signora Carmela Barbera, 85 anni, che un anno fa, pochi mesi dopo la denuncia, morì: non trovò modo di rifugiarsi dal fango che scorreva impetuoso sul torrente ricoperto dal cemento, e affogò.
Bisogna guardare verso su, consentire il naturale decorso dell’acqua verso il mare: «Per riuscirci abbiamo chiesto il parere degli abitanti che hanno votato a favore delle demolizioni», spiega ancora Sciacca.
I giampiliroti sono informati: la mostra dell’architetto Marco Navarra da ieri, per esempio, – già presentata alla biennale di Venezia – illustra ogni progetto e ogni intervento già realizzato o da realizzare. Godono del supporto degli artisti, che da Milano a Giampilieri hanno dato vita al museo del fango: «Un modo per ripulire anche l’immaginario», spiega l’artista Michele Cannavò. Ma questo paese è stato salvato soprattutto dai suoi giovani: «Si sono riuniti e sono usciti con un manifesto: salviamo Giampilieri», racconta Corrado Manganaro presidente del comitato omonimo. Il vigore della nuova generazione, ma forse anche quel timbro da serie “B”, che ha allontanato gli appetiti più propagandistici del governo, hanno salvato questi luoghi dalla scomparsa. I “giampiliroti” lo sanno, per questo non si lamentano.
Eppure un anno fa erano mille gli sfollati – 1600 contando anche quelli degli altri paesi vicini – di questi solo 300, cioè quelli residenti in zona verde, sono rientrati. Cento si trovano ancora negli alberghi, e gli altri ricevono un indennizzo, misero: 300 euro al singolo, 400 in coppia, 500 a chi supera i 65 anni o è portatore di handicap. Se si guarda, infatti, dall’alto, la prospettiva è da vertigine. Dal 2001, Nino Lonia aveva preso casa nella parte alta del paese. Lì viveva con la moglie, Maria Letizia Scionti.
Otto anni di sacrifici, per mettere a posto la casa, poi sono arrivati Lorenzo e Francesco. Lonia guarda da quella casa lì in alto che fu la prima a cadere: «Voglio solo sapere chi non ha messo in sicurezza il territorio prima. I sacrifici di mia moglie non devono andare perduti. So che lei e i miei piccoli non torneranno più: ma voglio la casa che avevo, solo lì li ritroverò». E come Lonia, i “No Ponte” oggi guardano dall’alto di chi pontifica sullo Stretto. Hanno marciato in ricordo di quell’alluvione, perché da lì si vede solo un paesaggio: una voragine in cui affogano soldi sottratti a persone con l’anima a lutto e il cuore in tempesta: ché ogni goccia versata dal cielo fa eco alla morte.
Scaletta Zanclea. La donazione per il paese compra le divise dei vigili
È uno dei comuni più indebitati d’Italia. Tanto indebitato che i vigili urbani non possono uscire per strada: sono senza divise. Ma c’è una soluzione: i soldi per gli alluvionati, quelli donati sul conto corrente aperto dopo l’1 ottobre, indirizzati espressamente agli alluvionati di Scaletta Zanclea. Ecco come sono stati utilizzati i soldi nel piccolo comune, 2mila abitanti. Erano 75mila euro, di questi 50mila erano stati donati dal gruppo Conad con un singolare vincolo: la ristrutturazione della Chiesa del Carmelo. «Sebbene la chiesa possa godere dei soldi della curia», nota Gabriele Avigliani, consigliere comunale di Scaletta. Ne restano così 25mila, di questi il consiglio e il sindaco Mario Briguglio ne impegnano 4800 per pagare le divise (2500 euro) e l’assicurazione dei mezzi donati dalla protezione civile. Questo nonostante l’esproprio delle case demolite, che ha fruttato al Comune 600mila euro: «Il Comune di Scaletta – continua Avigliani – da questa alluvione ci ha più guadagnato che perso».