Antimafia

Disordine e terrore. La guerra della `ndrangheta nel catanzarese

Raffaella Cosentino
  E` la guerra di tutti contro tutti. Da oltre un anno omicidi spietati davanti a decine di testimoni, con modalità spettacolari, per terrorizzare sia gli avversari che la gente comune. Omicidi tra la folla, assassini alla processione e nella spiaggia affollata. Killer col casco integrale che fuggono in moto dopo aver sparato tra la gente. La `ndrangheta non assicura ordine e regole, ma violenza endemica, sfiducia e caos.
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 “Il potere mafioso non agisce più da controllore ma da moltiplicatore dei conflitti. L’ascesa della mafia imprenditrice ha finito col realizzare l’autentica guerra di tutti contro tutti, con morti, feriti e dispersi”. Il sociologo Pino Arlacchi lo scrive nel 1983. La sua analisi non è stata compresa se questo meccanismo si ripresenta identico dopo trent’anni. In questo momento in Calabria, sulla costa jonica catanzarese, a pochi chilometri dal capoluogo, la ‘ndrangheta dopo essersi infiltrata nell’economia con il riciclaggio, le estorsioni e il controllo degli appalti, oggi conquista il territorio  con una serie di delitti eclatanti, in cui il luogo degli agguati è scelto con cura ‘spettacolare’ per dare la misura dello scontro di potere in atto. Un uomo ucciso ad agosto sulla spiaggia davanti alla moglie e al figlio di un anno. Meno di una settimana dopo un altro lo ammazzano con una pistola silenziata durante i fuochi d’artificio e feriscono il figlio di 10 anni. Ma in realtà atti così spietati si susseguono da oltre un anno.

La lunga scia di sangue inizia il 3 luglio del 2009 quando sul lungomare di Isca sullo Jonio viene ucciso Vincenzo Varano, manovale di 52 anni, presunto boss del paese, che ha da poco concluso un periodo di restrizione come sorvegliato speciale. Da questo momento la regola sono gli omicidi commessi da killer coperti con il casco integrale che fuggono in moto dopo aver sparato tra la gente. Un delitto che probabilmente avviene non a caso sul lungomare, centro degli appalti e degli interessi turistici. Sulla spiaggia in quel momento sono in corso lavori per l’erosione costiera da 800 mila euro. Su tutto il litorale del basso jonio catanzarese negli ultimi anni sono stati costruiti molti residence destinati a turisti nordeuropei che però sono rimasti in gran parte vuoti. A più di un anno di distanza, l’operazione “Free Village”, porta alla luce gli interessi dei capibastone sui villaggi turistici.

Al “Sant’Andrea”, proprio dopo l’omicidio di Varano, fa la sua comparsa Mario Mongiardo  che si presenta come referente del clan Gallace di Guardavalle. Quando gli agenti lo arrestano, il 6 settembre scorso, Mongiardo si trova al ristorante del villaggio con tutta la famiglia. Viene bloccato prima che riesca a impugnare la pistola calibro 7.65 pronta a sparare che tiene nascosta nel borsello. Il ‘Sant’Andrea’ non è un complesso fantasma, è una delle poche strutture della zona funzionanti a pieno regime, che in estate segna il tutto esaurito con circa tremila clienti, tra cui ospiti importanti di rilievo nazionale.

E’ gestito dal tour operator Iperclub, con sede a Roma. La squadra mobile coordinata dalla Dda di Catanzaro arresta Mario Mongiardo e altre quattro persone (tra cui la moglie di Mongiardo e la figlia di soli 18 anni) per estorsione con modalità mafiose ai danni della Iperclub e della società Fram Group di Taranto responsabile della selezione del personale. Secondo l’accusa, oltre alle estorsioni Mongiardo imponeva l’assunzione di personale, tra cui appunto moglie e figlia più altre dodici persone, queste ultime iscritte nel registro degli indagati per essere state assunte senza lavorare realmente. Mongiardo e Francesco Corapi (anche lui arrestato), ricostruiscono gli inquirenti, decidevano anche sulle forniture. I giornali locali riferiscono di tre direttori intimiditi e poi trasferiti solo perchè volevano controllare la qualità della merce e di un comportamento passivo delle società non calabresi nei confronti delle richieste mafiose, che in questo caso sono iniziate già nel 2003.

Tornando agli omicidi, il 24 luglio 2009 tocca a Luciano Bonelli, ucciso a fucilate nei pressi della sua abitazione a Sant’Andrea sullo Jonio. Bonelli, 35 anni, era di Isca e soprattutto era il nipote di Varano. Le esecuzioni a 20 giorni di distanza l’una dall’altra sono collegate. I due uomini evidentemente scalpitavano per rendersi autonomi dai boss di Guardavalle e dai loro alleati di Badolato. Proprio Badolato resta l’unico comune di tutta la zona in cui le armi tacciono. E’ ipotizzabile che non ci siano state famiglie mafiose decapitate perché sono rimaste al loro posto sotto i Gallace.

Lo scontro sale di livello il 27 settembre del 2009.  A Riace (Rc) durante la tradizionale processione dei Santi Cosma e Damiano che raccoglie migliaia di fedeli da tutta la regione, viene eliminato il primo ‘intoccabile’: il boss del clan dei ‘viperari’ di Serra San Bruno (VV), Damiano Vallelunga, di 52 anni. Il mammasantissima delle Serre non può perdersi la festa dei ‘santi medici’, ai quali, come dice il nome di battesimo, è molto legato. La processione parte dalla chiesa nella piazza del paese e si snoda lungo una fiera di bancarelle affollatissime con la gente che balla e prega davanti alle statue. Il tragitto si conclude davanti al santuario dedicato a Cosma e Damiano. Ed è qui, tra la folla dei fedeli, che poco dopo mezzogiorno due killer fanno la loro comparsa sul sagrato sparando a bruciapelo e uccidendo Vallelunga. Un ambulante senegalese viene ferito alla gola da una pallottola vagante. L’influenza di Vallelunga si estendeva dalle montagne delle Serre a tutta l’area costiera fino a Soverato. Chi l’ha ucciso voleva eliminae l’avversario più potente e l’ha fatto con il beneplacito delle ‘ndrine della valle dello Stilaro, vale a dire i Ruga- Metastasio – Loiero, nel cui territorio ricade Riace.

Il 23 dicembre 2009 sparisce da Soverato superiore il 29enne Giuseppe Todaro. Probabilmente un caso di lupara bianca. Il 16 gennaio 2010 viene ucciso un commerciante a Davoli Marina.        Pietro Chiefari, 51 anni, proprietario di un negozio di frutta e verdura muore in pieno centro abitato alle sette di sera. Lo attendono in strada, aspettano che salga sul suo fuoristrada  e gli sparano alla testa e al torace. Alcuni proiettili bucano le vetrine del negozio. Le tre commesse all’interno restano miracolosamente illese ed è solo un caso che non ci siano clienti. Chiefari, originario di Torre di Ruggiero, è stato coinvolto nell’inchiesta “Mithos” contro la ‘ndrina dei Gallace- Novella, come Bonelli. Meno di due mesi dopo, l’11 marzo, nelle campagne di Guardavalle un commando appostato in un casolare attende il Dahiatsu feroza di Domenico Chiefari, 67 anni, bracciante agricolo. Il fuoristrada viene fermato da una pioggia di proiettili di pistola e fucile caricato a pallettoni. I killer lo finiscono sparandogli in faccia dal parabrezza.

Gli inquirenti cercano di ricostruirne i contatti con la ‘ndrangheta. L’agguato è stato compiuto in pieno giorno, alle 7.30 del mattino. Lo stesso orario che pochi giorni dopo, il 16 marzo, segna l’appuntamento con la morte per Francesco Muccari, 35 anni e papà da una settimana. Esecuzione in pieno centro abitato per il terzo ammazzato di Isca sullo Ionio, un comune di 1200 anime. Lo aspettano a pochi passi da casa, in un vicolo del paese, mentre va a lavoro sulla sua Fiat Panda e lo sfigurano con 12 colpi di pistola e di fucile caricato a pallettoni. Il 27 gennaio un suo parente era miracolosamente sfuggito a un tentato omicidio a Guardavalle. Il suo nome è Santo Procopio, ha 27 anni, è originario di Isca e ha sposato una nipote di Muccari.

Angelo Ronzello, 26 anni, commerciante di mangimi, cade il 2 aprile a Monasterace, primo comune della provincia di Reggio Calabria al confine con Catanzaro. Era noto alle forze dell’ordine per reati legati alla detenzione di armi e di esplosivo. Suo padre, Vincenzo Antonio Ronzello era stato indagato e poi prosciolto nel 1994 per legami con i clan della zona. E’ la sera di giovedì santo, in un quartiere popolato. Ronzello cena da un amico e quando esce viene freddato con sei colpi di fucile calibro 12. A Monasterace non si vedevano morti ammazzati da vent’anni. L’omicidio colpisce la ‘ndrina dei Ruga di Monasterace, che è collegata ai Metastasio di Stilo. Ed è proprio questo clan a perdere poco dopo un esponente di spicco.

Il 21 aprile a Ferdinandea, vicino lo stabilimento dell’acqua “Mangiatorella”, in un’area montana che congiunge la provincia di Reggio Calabria con quella di Vibo Valentia, rimane vittima di un’imboscata a colpi di kalashnikov Giovanni Vallelonga, che per gli inquirenti è uno dei capibastone dei Metastasio, con i quali è imparentato. Uno dei figli di Vallelonga ha sposato una figlia di Salvatore Metastasio. Il boscaiolo 62enne è l’ennesimo morto sfigurato dai proiettili. L’uomo era già sfuggito a un tentato omicidio il 17 agosto del 1988 in una località vicina e il collaboratore di giustizia Pasquale Turrà (poi trucidato per le sue dichiarazioni) aveva accusato Damiano Vallelunga, cugino di Vallelonga, di essere uno dei responsabili dell’agguato.

Da questo episodio risalente alla ‘faida dei boschi’ degli anni Ottanta si comprende non tanto il riaccendersi di quella faida, ma il posizionamento delle famiglie negli schieramenti della ‘ndrangheta. Il contesto attuale è quello di una guerra di ‘tutti contro tutti’ per dirla con Arlacchi. Questo omicidio potrebbe dunque essere la risposta a quello di Damiano Vallelunga del settembre precedente. Nonostante i cognomi simili, i due uomini si configurano come esponenti di punta di due clan concorrenti nel predominio sulle aree montane. Una signoria territoriale che attraverso alleanze con ‘ndrine nel soveratese arriva fino a Catanzaro.

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