Una strana idea di sicurezza

Lamezia. Ronde mafiose contro i migranti

Raffaella Cosentino
  Dopo una serie di furti, nel maggio scorso, gli uomini delle `ndrine di Lamezia Terme si sono presentati come difensori del territorio, organizzando ronde impegnate nella caccia al rumeno. Solo gente non del posto, hanno infatti pensato, può osare rubare anche dai mafiosi. E invece i ladri erano lametini. Nel silenzio generale, le ronde ideate dai leghisti hanno conosciuto una macabra realizzazione.
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Pubblicato su “Il Venerdì di Repubblica”

LAMEZIA TERME (CZ) – “Si inseguono uomini neri vestiti come ninja in tutto il quartiere”. Una riga di cronaca locale nella città in provincia di Catanzaro. Le tartarughe ninja in questione sono ladri che hanno preso di mira una serie di appartamenti e negozi. Se la sono vista brutta gli stranieri in città. Gli organizzatori delle ronde lametine li ritenevano responsabili dei furti. Almeno fino a quando, a fine giugno, un’operazione di polizia ha messo la parola fine alla caccia ai ladri ‘fai da te’. E ha svelato che i topi d’appartamento sono tutti nostrani. 

Dopo una campagna elettorale a suon di bombe e intimidazioni e le lettere minatorie rivolte al sindaco rieletto Gianni Speranza e ai magistrati della Procura, la psicosi per i furti nelle case a maggio scorso ha trasformato le notti di Lamezia Terme in un far west. Caccia allo straniero, ronde di cittadini armati che sparavano in aria, colpi di arma da fuoco a punteggiare le serate insonni dei quartieri ad alta densità mafiosa. Raid punitivi contro i rumeni. E su tutto l’ombra degli uomini delle ‘ndrine, abili a proporsi come difensori del territorio al posto delle forze dell’ordine, con l’obiettivo di rafforzare potere e controllo.

Un mix esplosivo che ha dato vita al fenomeno delle ‘ronde mafiose’. “I furti ci sono stati, ma si sono combinati a una psicosi utilizzata da parte di gruppi della criminalità” ha confermato il sindaco alcuni giorni prima degli arresti. In pochi se ne sono accorti, ma a distanza di pochi mesi dai fatti di Rosarno, c’è stata un’altra caccia armata allo straniero. Esiste anche un video amatoriale su YouTube  in cui si sentono gli spari, corredato da una serie di commenti piuttosto pesanti.

Una città che si sente in pericolo, la minaccia identificata con gli stranieri e ingigantita dalla diffusione di leggende metropolitane, la gente che si organizza per farsi giustizia da sola in aree controllate dai clan della ‘ndrangheta. Ronde vicine alle cosche. Che a Lamezia si chiamano Torcasio – Cerra – Gualtieri   e Giampà – Iannazzo. Ma a un passo dal baratro, questa volta per fortuna ha vinto lo Stato. Posti di blocco e rastrellamenti innanzitutto per fermare le ronde abusive. Attività investigativa per scovare i ladri. Sei persone sono state arrestate dalla polizia e altre due sottoposte a misure cautelari non detentive per furti, ricettazione di refurtiva e di armi e spaccio di droga. E sono tutti lametini gli accusati di essere la presunta banda che ha messo in subbuglio la città. Tra loro anche una donna. Gli arresti sono arrivati grazie a pedinamenti e intercettazioni telefoniche e ambientali, approfondendo quanto emerso da un’altra indagine contro il clan Torcasio per estorsione ai danni di un imprenditore.

Gli ‘avvistamenti’ dei mesi scorsi parlavano di svaligiatori “alti come omaccioni e veloci come speedy gonzales, che saltano sui balconi e sugli alberi”. A farne le spese  gli stranieri, indicati come gli ‘untori’ della situazione da un semplice teorema. Chi può osare rubare nei quartieri di Capizzaglie e Scinà  `a casa` delle famiglie della ‘ndrangheta? Solo stranieri che non sanno in che guaio si sono cacciati. Per questo sono stati aggrediti due operai rumeni, malmenati in casa loro a Capizzaglie ai primi di maggio. Non c’entravano niente con i furti, ma un gruppo di ‘giustizieri’ a volto coperto non ha concesso loro vie di fuga. Per il raid è stato arrestato il venticinquenne Vincenzo Torcasio, accusato di danneggiamenti, saccheggio, violazione di domicilio, lesioni e percosse. Negli stessi giorni in cui Tano Grasso accettava la delega di assessore alla Cultura e il sindaco Speranza invitava la popolazione a calmarsi e confidare nelle istituzioni, gli abitanti di interi quartieri scendevano in strada a sparare in aria.

Anche chi è dubbioso, come il signor Gennaro Estimo, che parla di “terrore sociale diffuso da qualcuno che ha interesse”, non trova strano aver partecipato alla ronda armata. Estimo è un residente, incontrato per caso in una pizzeria del centro in quelle difficili sere di maggio, quando per le strade e nei locali i furti erano l’argomento principale di conversazione. Mi dice: “A Scinà ci siamo messi tutti d’accordo per sparare in aria alle dieci di sera, avevamo avvisato anche il sindaco”.  Sono state fermate 230 persone delle ronde e  denunciato un diciottenne che sparava a salve e aveva due coltelli a serramanico. Il 22 maggio c’è stata una manifestazione di protesta davanti al tribunale. Con Casa Pound ma anche con una consigliera comunale del Pd, vittima di un furto, e uno dell’Udc. La richiesta: “Sicurezza per il lametino”.

Un manifestante ai microfoni di una tv locale affermava: “l’esercito è venuto a buttare giù le case abusive ma non viene a tutelarci”. A sorprendere è una reazione spontanea massiccia in una città che è stata spesso silente davanti a omicidi in pieno giorno, cadaveri carbonizzati e imprenditori taglieggiati dal racket. Spiega don Giacomo Panizza, fondatore della comunità Progetto Sud, sotto scorta perchè gestisce beni confiscati ai boss: “Questa reazione dal basso non era della società civile che fa cittadinanza attiva, i gruppi che si fanno giustizia da soli si affidano agli uomini dei clan mafiosi e sono loro che possono avvantaggiarsi rafforzando il controllo in quelle zone”.

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