I migranti merce di scambio tra dittatori

Gheddafi ancora a Roma. Diritti umani in svendita

Fulvio Vassallo
  A due anni dalla firma del Trattato di amicizia italo-libico Gheddafi ritorna a Roma per celebrare i “successi storici” della collaborazione con gli “amici” Berlusconi e Maroni. Un’ amicizia, malgrado qualche recente crisi nella lotta sul controllo delle banche italiane, solidamente cementata da colossali interessi economici.
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Dalla partecipazione di finanziarie libiche ai capitali di Fiat ed Unicredit, dalle commesse che le imprese italiane stanno ottenendo il Libia, come l’appalto assegnato a Finmeccanica per la costruzione di un sistema di controllo delle frontiere meridionali di quel paese, è sempre più stretto il rapporto tra i due paesi.

Nel corso degli anni è aumentata la dipendenza dell’Italia dalla Libia per la fornitura di gas e petrolio, e questo sta consentendo a Gheddafi di fare la voce grossa non appena qualcuno tenta di aprire un dossier sui diritti umani e sulla situazione dei rifugiati. Del resto, per Berlusconi come per Gheddafi, in Libia, i rifugiati non esistono, sarebbero solo immigrati illegali o “ospiti temporanei”, i richiedenti asilo sarebbero solo una invenzione delle organizzazioni umanitarie, che dunque vanno sanzionate perché svolgerebbero attività illegali, come è successo all’ACNUR a giugno, quando sono stati chiusi i suoi uffici a Tripoli.

Intanto il ministro Maroni, per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dagli autentici problemi della sicurezza, annuncia l’abbattimento del numero degli arrivi in Sicilia, mentre gli sbarchi sono ripresi in altre regioni meridionali, su altre rotte. Il ministro leghista omette di ricordare che per gli arrivi degli scorsi anni si trattava in prevalenza di richiedenti asilo e di soggetti vulnerabili, qualche decina di migliaia di persone in fuga, mentre le norme del “pacchetto sicurezza” e l’inasprimento nella attuazione della Bossi-Fini stanno producendo centinaia di migliaia di irregolari, se non di “clandestini” veri e propri.

E la nuova pulizia etnica ai danni dei rom, soprattutto se non appartenenti all’Unione Europea, aggiungerà nuova esclusione sociale ed emarginazione senza produrre alcun effetto positivo neppure per quegli stessi cittadini in cerca di sicurezza che oggi hanno individuato nei rom il nuovo “nemico interno”. E adesso Maroni vorrebbe chiedere nuove norme più restrittive per i comunitari, proseguendo quella linea della “tolleranza zero” inaugurata con i respingimenti collettivi verso la Libia lo scorso anno, una politica che ha suscitato critiche anche a livello europeo. Le politiche italiane contro i migranti rischiano così di aprire contraddizioni gravissime in ambito comunitario, alimentando conflitti che non sarà possibile risolvere neppure nei prossimi decenni.

Il parlamento italiano con voto quasi unanime, lo scorso luglio, ha ratificato per tutto il 2010 le missioni in Libia della Guardia di Finanza, per la manutenzione dei mezzi militari messi a disposizione di quel paese e per la “formazione” ( o collaborazione?) delle forze di polizia, ulteriore tassello di quella sciagurata politica bipartisan che ha portato nel 2007 ai Protocolli operativi ( Amato) con la Libia, poi confermati nel 2008 dal Trattato di amicizia ed ulteriormente inaspriti da Maroni nel suo viaggio a Tripoli, subito dopo che il Parlamento Italiano aveva approvato gli accordi precedenti. Un vero colpo di mano, nel febbraio del 2009, all’insaputa di tutti, perché il Parlamento con una maggioranza larghissima aveva dato il via libera alla attuazione dei Protocolli che autorizzavano i pattugliamenti congiunti, ma non i respingimenti collettivi sistematicamente praticati dalle nostre unità navali proprio a partire dal 6 maggio del 2009, sui quali pende ancora il giudizio della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Sarebbe tempo che le forze politiche che oggi si vogliono definire di “opposizione” facciano un minimo di autocritica per la loro politica di intesa con la Libia, e si facciano sentire nei giorni in cui la presenza di Gheddafi a Roma offrirà a Berlusconi e Maroni l’occasione per imbastire un altra vergognosa campagna mediatica, sulla pelle dei migranti, come al solito. Forse Maroni ci racconterà ancora che la Libia, sebbene non aderisca alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, abbia sottoscritto comunque la Convenzione dell’Unione Africana che richiama quella Convenzione quanto al riconoscimento dei diritti dei rifugiati.

Come l’Italia sta cercando di dimostrare davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo dove è finita sul banco degli imputati per i respingimenti collettivi praticati lo scorso anno. Eppure basta verificare nei siti delle più importanti agenzie umanitarie Amnesty (www.amnesty.it) e Human Rights Watch (www.hrw.org) la portata e la gravità delle violazioni dei diritti umani delle quali è responsabile la Libia con la complicità delle autorità italiane. Complicità che hanno consentito le violenze e gli abusi commessi dai libici ai danni dei migranti, inclusi giovani donne e minori.

Per la unicità della catena di comando italo-libica che gestisce le operazioni di intercettazione e di respingimento nel Canale di Sicilia, prevista proprio dai Protocolli operativi “Amato” del 2007, poi recepiti nel Trattato di amicizia del 2008, queste responsabilità appartengono anche all’Italia e dovranno essere sanzionate al più presto dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

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