Migranti

Due milioni per la missione in Libia e in Sicilia tornano gli scafisti

Raffaella Cosentino
  Due milioni di euro per mantenere la partecipazione della Guardia di Finanza e delle navi cedute dall’Italia al governo libico. Intanto proseguono gli sbarchi a Linosa, l`isola più vicina a Lampedusa, Portopalo e Porto Empedocle. Sono organizzati e gestiti da scafisti e basisti, italiani e stranieri. Ecco l`effetto immediato della politica dei respingimenti
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  Oltre due milioni di euro nei prossimi sei mesi per continuare a finanziare la partecipazione degli uomini della Guardia di Finanza alle operazioni in Libia. E’ quanto stabilisce un comma (art. 24) del decreto legge n.102 del 6 luglio 2010 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.156. Nell’ambito della “ Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”, viene autorizzata la spesa di 2.023.691 euro dal primo luglio al 31 dicembre 2010  per “ la proroga della partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla missione in Libia e per garantire la manutenzione ordinaria e  l`efficienza delle unita` navali cedute dal Governo italiano al Governo libico”.

Il decreto legge specifica che il finanziamento si attua  “in esecuzione degli accordi di cooperazione sottoscritti tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista per fronteggiare il fenomeno dell`immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani”. Tuttavia, in Sicilia si sono verificati due sbarchi in poche ore. Venti tunisini sbarcati nella notte sull’isola di Linosa (Agrigento) sono in corso di trasferimento a Porto Empedocle.  Lo sbarco segue quello di ieri a Portopalo (Siracusa), dove gli agenti della questura hanno arrestato 4 presunti scafisti libici, mentre una cinquantina di immigrati approdati sulle coste sono stati fermati fino ad ora nel siracusano. Le ricerche di altri stranieri sono ancora in corso. Si stima infatti che sull’imbarcazione arrivata dalla Libia ci fossero quasi 250 persone.

A denunciare torture, deportazioni e gravi violazioni dei diritti umani in Libia è ancora una volta il giurista palermitano Fulvio Vassallo Paeologo, docente di Diritto d’asilo che ricorda la situazione degli eritrei ancora detenuti dal regime di Gheddafi. Dopo i racconti telefonici delle vessazioni subite e dopo la proposta libica di concedere ai profughi rinchiusi nel carcere di Brak la possibilità di restare in Libia ma solo all’interno di campi di lavoro, non si hanno più notizie certe dei circa 200 eritrei detenuti nella prigione situata nel deserto. “Alcuni di loro hanno riferito a Human Rights Watch che quanti hanno firmato lo hanno fatto sotto costrizione o per inganno, e che hanno paura delle conseguenze per le proprie famiglie ancora in Eritrea” scrive Paleologo in un documento dal titolo “Diritto di Asilo in frantumi, gli eritrei ancora nelle gabbie libiche”.  Il giurista, citando ancora come fonte Human Rights Watch, sostiene che “le autorità libiche stanno usando mezzi durissimi sui detenuti per costringerli a firmare i moduli.

I detenuti hanno informato Human Rights Watch che 10 dei 205 Eritrei che erano stati trasferiti dal centro di detenzione di Misurata a quello di Brak ( Al Biraq), erano stati portati all`aperto e picchiati. Il 7 luglio, un gruppo rimasto a Misurata, composto da 31 uomini, 13 donne e 7 bambini, ha detto di essere stato picchiato dopo aver rifiutato nuovamente di riempire i moduli”. Il timore è che questi moduli possano portare all’identificazione dei prigionieri dissidenti da parte delle autorità eritree.

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