Nardò, provincia di Lecce, “Anguria city” da maggio a settembre. Più semplicemente, uno dei tanti paesi del Sud Italia dove la raccolta di ortofrutta si trasforma in emergenza umanitaria e, in qualche caso, nell’occasione per muovere denaro pubblico a favore di italiani che nei campi non ci andranno mai. Il tutto, secondo alcuni, per “evitare un’altra Rosarno”.
I veri interlocutori, gli imprenditori agricoli che non rispettano i minimi sindacali e reclutano la manodopera tramite quei caporali che i giornali chiamano eufemisticamente “mediatori”, non sono mai chiamati in causa. O, meglio, quasi mai. Durante un convegno organizzato dall’Università del Salento, la funzionaria della prefettura Maria Santorufo rivela: “I summit sono stati diversi e hanno visto la partecipazione di prefettura, forze dell’ordine, enti di previdenza e territoriali”. E produttori. “Ma questi tavoli sono stati sospesi nel momento in cui i proprietari hanno affermato di essere ben disposti ad accollarsi l’onere di fornire gli alloggi ai lavoratori, ma solo in cambio di minori controlli”. Fine della discussione e avvio dell’operazione di assistenza, una struttura per circa 200 posti (su 400-500 presenze stimate) e una masseria coi bagni chimici. Si tratta di un luogo non militarizzato, precisano i responsabili, che per la prima volta prova a dare una risposta a una situazione che si presenta fin dal 1987. Lo scorso anno centinaia di africani dormivano sotto gli ulivi.
Ma nel territorio provinciale sono attesi nei prossimi anni 700 mila euro, riporta la stampa locale, destinati tra le altre cose allo “Sportello per l`emigrazione” che si occupera` di “accoglienza”, integrazione dei lavoratori attraverso possibilità di accedere alla normativa che vige in Italia e di un servizio di orientamento socio-culturale. Il presupposto da cui si parte è spesso quello – del tutto irrealistico – di un contesto “normale” all`interno del quale lo straniero deve essere aiutato a collocarsi. Ma la stessa legge Bossi-Fini è il principale ostacolo per un inserimento senza traumi degli stranieri. I Cie, per esempio, sono `fabbriche di clandestini` che producono manodopera facilmente ricattabile che non può rientrare nel circuito della legalità. E dei diritti.
Il fantasma di Rosarno aleggia anche qui nel Salento. “Lo spauracchio dei fatti di gennaio, o meglio la loro ricaduta mediatica, sono arrivati fino qui”, ci spiega Gianluca Nigro dell’associazione Finis Terrae che gestisce il progetto insieme alle “Brigate di Solidarietà Attiva”. “Non è tanto la gente ad aver paura, quanto le istituzioni. Per cui si è intervenuti non solo nell`accoglienza, ma anche sugli interventi a favore dell`emersione dal lavoro nero. Incentiviamo i lavoratori a pretendere l`ingaggio, al momento 150 di loro lo hanno sicuramente ottenuto”.
“Il problema si divide in due parti”, conclude Nigro. “Da un lato l`emersione dal lavoro nero e la lotta al caporalato. Dall`altro la regolarizzazione dei migranti senza documenti. Il primo problema si affronta su scala locale, con la coscientizzazione dei braccianti, ma non ancora con controlli efficaci da parte degli enti preposti, che lamentano scarsità di personale. Il secondo aspetto, invece, riguarda le modifiche legislative e va affrontato in sede politica a livello nazionale”.
Le emergenze cui lo Stato e la società civile si trovano a porre rimedio derivano in prima istanza dallo sfruttamento – reso possibile da leggi discriminatorie – e da un sistema produttivo malato e inefficiente, dove i diversi anelli della filiera scaricano disagi e difficoltà sul livello più debole. Ma l`aspetto strutturale non viene messo in discussione da politici e imprenditori. Non porta voti, né soldi.
* Fotografie di Beatrice Crippa Muti