«Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull’occhiuzzi ‘nterra, l’omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s’assutterra», dice un proverbio calabrese. A Rosarno c’era una stazione in Fm, Radio Olimpia, a disposizione dei clan per mandarsi messaggi in codice, tramite dediche o canzoni specifiche.
Non esistono canzoni dedicate a Peppe Valarioti, ma c’è almeno un brano per Gregorio Bellocco ed è contenuto nel disco “Pensieri di un latitante”. La canzone descrive le presunte virtù di questo boss, che prima dell’arresto era nella famigerata lista dei trenta latitanti più pericolosi. Il testo racconta di come i fiumi si siano prosciugati dopo l’ingiusto fermo del galantuomo, ritenuto mandante dell’omicidio di Franco Girardi, colpevole di non aver protetto adeguatamente la latitanza di Antonino, altro esponenente del clan. Pare che, la canzone dedicata al capomafia rosarnese sia stata scritta e cantata dal cugino Giuseppe Bellocco, all’epoca latitante e arrestato nel 2007.
Molte delle canzoni della ‘ndrangheta vengono registrate in maniera amatoriale, anche perché, ormai, la tecnologia permette di registrare con una buona qualità audio, anche in casa. Esistono anche delle etichette che si occupano di distribuire cd con i canti di malavita. Per esempio a Reggio Calabria c’è Elca Sound che dice di pubblicare questi dischi per ragioni folcloristiche e commerciali, visto che questo materiale si vende benissimo anche all’estero. Tra il 2000 e il 2005, fece scalpore l’uscita della raccolta musicale sui canti della ‘ndrangheta: “La musica della mafia”.
Nei tre cd che componevano la raccolta c’erano i pezzi storici del repertorio malavitoso calabrese. Brani che si potevano ritrovare in cd e musicassette in vendita sulle bancarelle di mezza Calabria, durante fiere, mercati e feste patronali.
La raccolta vendette, solo tra Germania e Francia, circa 150.000 copie e suscitò l’interesse dei media stranieri. Alcuni giornalisti di questi due paesi cominciarono a scrivere che queste raccolte, in Italia, venivano censurate e montarono un caso sulla libertà di espressione. In realtà quei brani hanno sempre circolato liberamente, nonostante che alcuni di essi travalichino ampiamente l’apologia di reato.
Francesca Viscone, autrice del libro “La globalizzazione delle cattive idee – Mafia musica e mass media”, spiega, in un’intervista rilasciata per il blog “La voce di Fiore”: “Gli attacchi dei giornali d’oltralpe al nostro Mezzogiorno furono violentissimi e strumentali. Gli abitanti furono definiti rozzi, violenti e brutali. I tedeschi, purché non andassero sull’Aspromonte, potevano starsene tranquilli (!) a casa loro. Amanti della musica etnica e della cultura selvaggia e ribelle ballarono tarantelle mafiose. Pestando i piedi su quelli che, credevano, fossero solo morti nostri.”
Nel catalogo della casa discografica reggina, Elca Sound, ci sono vari artisti, tra cui Otello Profazio e c’è anche una meritoria pubblicazione di Fred Scotti (conosciuto anche come Ciccio Freddi Scotti), autore di Tarantella guappa, ripresa anche nel bellissimo disco di Daniele Sepe, Jurnateri. Scotti, il cui vero nome era Francesco Scarpelli, fu ucciso per aver infastidito la moglie di un guappo cosentino, il 13 aprile del 1971. Sempre nel catalogo Elca c’è anche il disco di Angelo Mauro. Acquistando il suo cd si partecipa a una straordinaria iniziativa: Angelo Mauro a casa tua. Il concorso è, purtroppo, scaduto nel 2009.
Esiste tutta una tradizione di canzoni dedicate ai carcerati, ai delitti d’onore che effettivamente, ci piaccia o no, rientrano nei canti tradizionali, come le ballate dedicate al brigante Giuseppe Musolino, in cui egli appare come un uomo vittima di un’ ingiustizia. Sempre Francesca Viscione ci dice a proposito della tradizione popolare: “Quando si parla di cultura popolare si parla di una cultura millenaria, e soprattutto di una cultura estremamente condivisa.”. Quella dei briganti e del brigantaggio, si può considerare, indubbiamente, “cultura estremamente condivisa”.
Tra l’altro , proprio Musolino, è stato interpretato dal bello dei melodrammi italiani degli anni ’50, Amedeo Nazzari, nel film Il Brigante Musolino (1950) di Mario Camerini. La protagonista femminile del film è, invece, Silvana Mangano. A livello storico, il lungometraggio, in pratica conserva solo il nome del protagonista.
Oltre a cantanti come Angelo Mauro o Frank Vagabondo, Elca produce anche musicisti che descrivono la vita del latitante, le regole della ‘ndragheta, che cantano le prodezze di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri spagnoli che arrivarono in Calabria, Sicilia e Campania per fondare “li regoli sociali”, come canta El Domingo in una sua canzone ‘Ndrangheta, camurra e mafia, che racconta l’affiliazione un nuovo adepto.
Il livello musicale è spesso modesto, ma i titoli sono sempre significativi, come “Cu sgarra paga!”, un disco che ha in copertina un uomo morto ammazzato con la camicia sporca di sangue. Tra i titoli delle canzoni, non possiamo non notare: ‘Appartegnu all’onorata’, ‘E diventai picciottu’ e l’indimenticabile ‘Sangu chiama Sangu’, contenuti anche ne “La Musica della mafia”.
L’inizio dell’ultimo pezzo citato è fantastico: prima di un duello con coltello, Roccu ‘u calabrisi che dice a Turi ‘u palermitanu “Porto ‘na ‘mbasciata pe’ cuntu ‘i me frati. ‘Nfami”. E prosegue: “Non eri malandrinu, ma tradituri. Non eri camurrista, ma deliquenti”, insinuando l’idea che il maladrino non è traditore e che il camorrista non è un semplice delinquente, ma uomo d’onore che rispetta le leggi non scritte, ma giusta delle ‘ndrine. Altri titoli che non passano inosservati sono “Vangelu ‘i malavita”, ma anche “I tre cavalieri di Spagna” oppure “Onorata Società” che contiene i brani: “Riconoscere la società” e “Comu se forma se sforma”, fino a “Mori carogna”. Le canzoni della ‘ndrangheta non sono semplici inni, ma appartengano di fatto alla cultura mafiosa.
Ad esempio nel pezzo “Cu sgarra paga”, si racconta di una riunione in cui si decide di uccidere un ‘infame’. Nel brano si parla esplicitamente del fatto che ci sono alcune violazioni che possono essere perdonate pagando pegno e si chiamano trascuranza, in altri casi, come denunciare un mafioso, si paga con la vita. Effettivamente esiste questo sistema di leggi interne alla ‘ndrangheta per le trascuranze si può arrivare fino all’espulsione dalla società (cosa che non avviene, quasi, mai, di solito si può uscire solo morti), passando per il pagamento di un’ammenda. Lo sgarro dell’ infamità è punito invece con la morte.
I temi trattati sono sempre gli stessi, l’infame che parla e paga, le forze dell’ordine senza onore e in particolare si persegue l’inganno che gli ‘ndranghetisti siano ‘uomini migliori’, che fanno e ricercano il bene per loro, i familiari, ma anche per il popolo. Una bugia costruita ad arte, visto che la forza della ‘ndrangheta sul territorio si forma con la paura e la violenza e che, con la complicità di gran parte della classe politica calabrese ed imprenditoriale (del Sud e del Nord), il diritto si è trasformato in favore. Ricordava Antonio Nicaso, nel libro “La malapianta”, scritto con Gratteri, che anche i cani capiscono che bisogna tenere pulita la propria cuccia. Invece, gli ‘ndranghetisti, che si fanno omaggiare con canzoni e ballate, guadagnano miliardi di euro facendo rimanere la Calabria una delle regione più povere d’ Europa e ne inquinano fiumi, mari, laghi e montagne.
Altro che “Appartegnu all’onorata”… Il saggio già citato “La globalizzazione delle cattive idee” di Francesca Viscone è del 2005, e già allora denunciava la veloce diffusione delle ideologie mafiose grazie a media che sempre di più confondono identitità meridionale e cultura criminale. Da allora la produzione discografica non si è arrestata, anzi. Ai dischi ora si affiancano i libri e i siti Internet.