Non trovò più la libertà dopo il sequestro, Adolfo Cartisano, detto Lollò, diviso tra la passione per il calcio e quella della fotografia. Fu rapito a Bovalino nel luglio del 1993 senza mai fare ritorno a casa. Siamo in un paese solo apparentemente libero dal dominio di `ndrine locali, ma in realtà già ostaggio delle famiglie mafiose di Africo, Natile di Careri, Platì e San Luca.
Finito nel mirino del racket, non ricco di denaro ma di coraggio, non si piegò e subito denunciò. Un sequestro anomalo che ancora oggi è avvolto nel mistero. I resti del corpo di Lollò sarebbero stati ritrovati, tra Bovalino e San Luca ai piedi di Pietra Cappa, solo dieci anni dopo, nel 2003, in seguito a una lettera anonima di pentimento, probabilmente sollecitata dalla significativa mobilitazione della famiglia e in particolare della figlia Deborah autrice di innumerevoli appelli e anima del movimento giovanile “Bovalino Libera”.
Tra le persone condannate in Cassazione per questo atto, dopo l’arresto nel 1994 di Carmelo Modafferi e dei figli Santo e Leo Pasquale, anche Santo Glicora, genero di Carmelo Modafferi, arrestato nei giorni scorsi in contrada Prache a Platì dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Latitante da 13 anni, al cinquantunenne Glicora originario di Bova Marina, inserito nella lista dei 100 ricercati più pericolosi d’Italia, era stata inflitta la pena di 24 anni e 11 mesi proprio per il sequestro di Lollò. Nei giorni scorsi, dunque, a Platì l’arresto dell’ultima persona condannata ancora ricercata, Santo Glicora, mentre è in corso il processo di revisione a Catanzaro.
La vicenda rimane comunque avvolta nel mistero. Era il 22 luglio del 1993, quando stordita la moglie Mimma Brancatisano e poi legata ad un albero sulla via per l’Aspromonte, i rapitori sequestrarono Lollò davanti alla sua casa al mare a Bovalino. Nonostante il pagamento del riscatto, duecento milioni di lire non ritenute sufficienti, Lollò non sarebbe mai stato liberato e la sua morte ascrivibile ad un colpo alla nuca che invece di tramortirlo, lo ha ucciso. L’ultimo dei terribili sequestri di `ndrangheta, l’ultimo dei 18 che l’organizzazione mafiosa calabrese abbia compiuto solo a Bovalino prima di divenire la holding internazionale del traffico di stupefacenti che oggi è.
L’ultimo dramma consumatosi in un Aspromonte che ancora porta questo fardello e che condusse a Bovalino la Commissione Parlamentare Antimafia. Lo stesso Aspromonte che diviene in primo luogo teatro della memoria e del riscatto da quella interminabile stagione buia che a Bovalino iniziò nell’ottobre del 1979 con il sequestro del tredicenne Alfredo Battaglia, cui seguirono Luana Lizzi Ferrigno e Giuseppe Pappalardo. Poi ancora il medico in pensione Silvio De Francesco nel 1980, il farmacista Giuseppe De Sandro nel 1983, l’imprenditore Giandomenico Amaduri nel 1985. Toccò anche a Sandra Mallamo, figlia dell’ex-sindaco Vincenzo Mallamo. Poi ancora il dentista di origine fiorentina Tommaso Municchi, l’industriale oleario Peppe Catanese, il gioielliere sidernese Mario Gallo, il medico Agostino De Pascale, l’imprenditore Domenico Antonio gallo, il dentista Nino Errante, l’imprenditore Paolo Canale e il possidente e sindaco democristiano, nonché attuale sindaco bovalinese. Tommaso “Masino” Mittiga.
Come momenti di vita rimangono impressi sulla pellicola e nella memoria, così l’esistenza di Adolfo Cartisano, scandita da tanti scatti fotografici e tragicamente spezzata dalla `ndrangheta, non accenna ad essere dimenticata. E l’arresto di Santo Glicora, pone un altro tassello della vicenda anche se ancora rimangono ignoti i carcerieri e il luogo dove Adolfo Cartisano è stato tenuto prigioniero. Adesso il suo ricordo è patrimonio comune della collettività che vive la memoria come valore e tappa imprescindibile dell’affermazione della legalità e di opposizione al sopruso e alla sopraffazione mafiosa.
Bovalino, come ogni terra di Calabria è libera se i suoi cittadini sono liberi. Laddove mancano le condizioni per questa libertà il coraggio delle persone e la forza della memoria rimangono l’unica speranza. Per Lollò che non ha conosciuto i suoi nipoti, per quanti, troppi, hanno conosciuto lo stesso drammatico destino. Per tutti noi che non possiamo e non dobbiamo restare a guardare.