MILANO – Due ragazze nigeriane da un lato, un funzionario della polizia italiana dall’altro. Le prime parlano di tentata violenza sessuale, l’ispettore nega. Oggi saranno di fronte, al Tribunale di Milano, per l’incidente probatorio che potrebbe essere la svolta del processo. Oppure segnare l’espulsione in Africa.
Joy O. è una ragazza nigeriana di 28 anni. Tutto inizia il 26 giugno del 2009, quando viene fermata a Brescia per un controllo mentre andava al supermercato. Sprovvista di documenti, e` stata trattenuta per tre giorni in caserma e poi portata al CIE in via Corelli. Il 13 agosto scoppia una rivolta. I protagonisti della ribellione – tra cui Joy – sono processati per direttissima sette giorni più tardi.
Joy inveisce da dietro le sbarre della gabbia dell’aula contro uno dei testimoni invitati a parlare. “Assassino, sei un torturatore! Ha cercato di violentarmi!”. Le parole erano rivolte all`ispettore capo del CIE, Vittorio Addesso. Per quelle parole Joy venne denunciata per calunnia e poi chiusa in carcere insieme agli altri 12 imputati per danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale. Seguita da due avvocati, Joy ha trovato il coraggio di formalizzare una denuncia per tentato stupro. Una sera d’estate porta il proprio materasso fuori dalla cella del CIE di via Corelli. Preferisce dormire nel corridoio, dove fa più fresco. “Si è sdraiato sopra di me` – racconta, `ha cominciato a toccarmi. Io mi sono messa a gridare. Sto solo scherzando, mi ha detto”.
La versione è stata confermata dalla compagna di stanza Hellen, ma negata dal responsabile della Croce Rossa. La Questura di Milano non ha smentito. Al contrario, in un comunicato stampa diramato il 24 marzo 2010 ha dichiarato: “La vicenda giudiziaria che vede interessato un Ispettore di Polizia, promossa dalla cittadina nigeriana, è attentamente seguita dall`Amministrazione, nonché dall’Autorità Giudiziaria milanese, da sempre informata sui fatti”. In quanto persona offesa da un reato (tentato stupro) per il quale deve celebrarsi un processo, Joy avrebbe diritto a un permesso di soggiorno. E non solo per questo. Ha infatti chiesto di accedere a un progetto di protezione sociale, come previsto dall`articolo 18 del Testo unico sull`immigrazione, per le donne ridotte in schiavitù per lo sfruttamento della prostituzione.
Uscita dal carcere a febbraio, è stata subito trasferita nel centro di Modena e da lì a Roma, dove si trova tutt’ora. A metà aprile, ha tentato il suicidio ingerendo sapone liquido. Nonostante tutto, il rischio di un rimpatrio rimane alto. In Nigeria la aspettano gli uomini della mafia nigeriana. Per riscattare la propria libertà deve ancora pagare loro 8.000 euro. Si sono già fatti vivi con i suoi familiari e l’hanno minacciata al telefono. Joy sa che non scherzano, anche perché in passato, ha detto, le hanno ucciso tre familiari: il padre, un fratello e una sorella, per costringerla a rimanere sulle strade italiane per ripagare il debito di decine di migliaia di euro contratto con i suoi sfruttatori.