Antindrangheta

Rosarno ricorda Giuseppe Valarioti, l’Impastato calabrese

Raffaella Cosentino
  Una targa del comune, un dibattito e un libro sul “caso” del dirigente della sezione del Pci di Rosarno, trucidato all’età di 30 anni dalla ‘ndrangheta dopo la vittoria alle elezioni amministrative l’11 giugno 1980. Il delitto è rimasto impunito
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Rosarno – L’Impastato calabrese, una storia dimenticata. E’ quella di Giuseppe Valarioti, professore e dirigente della sezione del Pci di Rosarno, ucciso dalla ‘ndrangheta l’11 giugno del 1980. A trent’anni di distanza, nel giorno dell’anniversario della tragica scomparsa, a Rosarno una targa, un libro e un’assemblea pubblica ne celebreranno il ricordo. Il comune (ancora sciolto per mafia e guidato da una commissione straordinaria dal 2008), in collaborazione con l’associazione Arci dedicherà a Valarioti una targa nella piazza principale del paese che già porta il suo nome.

Alle 16, nell’auditorium del Liceo Scientifico “R. Piria”, un dibattito organizzato da Libera contro tutte le mafie, daSud Onlus e l’Associazione per il rinnovamento della sinistra, ripercorrerà la sua vicenda, un simbolo per la lotta antimafia in Calabria. All’incontro parteciperanno esponenti della politica, dei sindacati, del volontariato e dell’associazionismo, insieme all’ex sindaco di Rosarno Giuseppe Lavorato e ad Alessio Magro e Danilo Chirico, autori del libro “Il Caso Valarioti. Rosarno 1980: così la ‘ndrangheta uccise un politico (onesto) e diventò padrona della Calabria”, edito da Round Robin.

Il volume verrà presentato a Rosarno in anteprima e raccoglie cinque anni di ricerche dei giornalisti reggini Magro e Chirico, nel tentativo di risollevare dall’oblìo la storia di Giuseppe Valarioti, un giovane professore di lettere, appassionato di studi archeologici sulla Rosarno magno-greca, l’antica Medma. Ma soprattutto un attivista politico, che guidava la sezione rosarnese del Pci e che fu trucidato a soli trent’anni di età a colpi di lupara nella notte, all’uscita da un ristorante dopo avere festeggiato la vittoria del partito comunista alle elezioni amministrative.

Un delitto efferato che arrivò al termine di una campagna elettorale con la tensione alle stelle, segnata da attentati contro gli esponenti e la sede comunista. E da un segnale minaccioso: i manifesti appena affissi dai militanti comunisti venivano capovolti dai mafiosi. Non stracciati, ma girati al contrario, segno che gli uomini della ‘ndrangheta seguivano passo passo le mosse degli attivisti politici. Un crimine su cui la giustizia non ha mai fatto piena luce, rimasto impunito. E fino a questo momento anche sconosciuto ai più, sia in Italia sia in Calabria. Una storia che somiglia a quella di Peppino Impastato a Cinisi, con l’eccezione che Valarioti non apparteneva a una famiglia legata alla mafia.
L’incontro dell’11 giugno arriva a cinque mesi esatti dalla rivolta degli africani e dalla caccia ai neri a fucilate. L’obiettivo, si legge sul manifesto,  è quello di “unire giovani, immigrati, agricoltori e lavoratori onesti per difendere i diritti di tutti, liberare le popolazioni dall’oppressione mafiosa, costruire lo sviluppo democratico, sociale e civile”.

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