Migranti. Lavoro agricolo in Sicilia

Prestazioni occasionali. Nelle campagne dove tutto si compra

Laura Galesi
  A Rosolini, nel siracusano, arrivano le caporali e le donne diventano protagoniste in negativo. A Vittoria, nel ragusano, di mattina sono serre, la notte si trasformano in `festini agricoli` dove una prestazione sessuale vale 10 euro. A Pachino un`azienda mantovana applica metodi coloniali e il contratto della provincia di Chieti. Ma c`è anche chi cerca di far rivivere la tradizione del movimento cooperativo e chi denuncia la vendita di contributi ai falsi braccianti.
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Arrivano le caporali. Nelle campagne siciliane il fenomeno del caporalato si tinge di rosa. Sono donne che gestiscono altre donne, guadagnano 5 mila euro l’anno in più e lavorano sette giorni su sette, per conto del datore di lavoro. Il comune capofila è Rosolini, 20 mila anime nel siracusano agricolo, tra Cassibile e Pachino. Il metodo è quello ereditato dai colleghi uomini. La mattina delle caporali inizia alle quattro. Un pulmino carica 20 ragazze di origine rumena per portarle nei campi a raccogliere i fantomatici pomodorini di Pachino o le zucchine nei tunnel, piccole serre alte 80 centimetri. In casi di maltempo però si rivolgono ingenuamente al sindacato per chiedere assistenza.

“E’ venuta una ragazza – racconta Enzo Pirosa segretario della Flai rosolinese – che voleva aiuto perché le braccianti dell’est non volevano lavorare a causa della pioggia. Ha raccontato di avere affittato una casa dove le ospitava. Siamo intervenuti e bloccato lo sfruttamento. La paura però è che oltre a questo vi fosse altro. C’è una certa ingenuità nelle caporali che, in balia dello sfruttatore, per 5 o 6 mila euro in più l’anno diventano delle sfruttatrici nei confronti delle colleghe”.

Le donne sono le nuove protagoniste della filiera agroindustriale siciliana, dalla raccolta al packaging rappresentano l’anello fondamentale della fascia trasformata. E spesso allietano anche le serate di padroncini e amici produttori. A Vittoria, nel ragusano, terra rossa e di lotte contadine, sono in voga i “festini agricoli”. “Sono serate – spiega don Beniamino Sacco che gestisce il centro di accoglienza per 70 migranti – dove il datore di lavoro, insieme ai suoi amici aiuta ad arrotondare il cachè delle lavoratrici che, per otto ore di lavoro, guadagnano fino a 20 euro, con la serata arrotondano a 30. Sono veri e propri fenomeni di abuso. Una prestazione di natura sessuale aggiunge 10 euro alla giornata. Si tratta di un fenomeno difficile da quantificare – conclude – quello visibile è circa il 15 per cento”. Le donne di origine rumena a Vittoria sono circa 2500, mentre i migranti sono 12 mila, di cui 8 mila impiegati nelle campagne della cosiddetta fascia trasformata che va da Vittoria a Cassibile e comprende le due province di Ragusa e Siracusa.

E’ discordia tra patate e pomodori

L’immigrazione è un fenomeno stanziale nel sud est della Sicilia. La sola Rosolini ospita 820 lavoratori stranieri residenti, la percentuale più alta è quella marocchina (459), mentre i rumeni sono 98. Avola, Pachino, Portopalo, Ispica, Scicli su 8500 lavoratori agricoli contano 3 mila lavoratori migranti regolari. A questi però vanno aggiunti i lavoratori a cui non viene rinnovato il contratto di lavoro e, a causa della Bossi- Fini, alimentano la manodopera irregolare. Il lavoro nero è stimabile tra il 35-40 per cento. “C’è un fenomeno nuovo – dice Monia Gangarossa del Forum per l`immigrazione di Vittoria – per cui i magrebini stanno perdendo il proprio posto di lavoro perché i proprietari delle aziende prediligono i rumeni e le rumene che costano meno, in media 15-20 euro, e non hanno il problema del permesso di soggiorno. La comunità tunisina al contrario è strutturata, ma negli ultimi dieci mesi hanno perso il posto di lavoro. Attraverso il Forum vorremmo anticipare lo scoppio di un conflitto sociale”.

Il contrasto tra migranti del maghreb e neocomunitari caratterizza tutta la fascia produttiva delle due province siciliane. “Sono senza lavoro da dicembre – racconta Aziz di Casablanca che dorme nella tendopoli di Cassibile -.  Vivo a Ragusa dal ’90 e ho sempre lavorato in un`azienda di Modica che lo scorso inverno mi ha licenziato perché parlavo troppo. Mi pagava 42 euro al giorno, ma il salario mi arrivava un mese sì e uno no. Ho una famiglia numerosa e quindi ho chiesto un pagamento più regolare. Così mi ha buttato fuori e preso un altro lavoratore rumeno. Per questo sono costretto a venire a Cassibile, ma fino ad ora ho lavorato solo due volte”.

Per raccogliere 500 quintali di patate, ad esempio, ci vogliono trenta operai, se la produzione della patata peggiora per raccoglierla ci vogliono 50 persone. La giornata lavorativa di otto ore, per un magrebino, è retribuita da 35 a 50 euro. Se per i lavoratori regolari è prassi, per gli irregolari i salari minimi, garantiti dal contratto, rappresentano una chimera. I lavoratori più vulnerabili sono quelli senza contratto. Ricattabili e senza diritti vivono sulla propria pelle la selezione dei caporali che, ogni mattina alle 5, raccolgono braccia da sfruttare nei campi. I caporali eseguono gli ordini degli imprenditori e ricevono 35 euro per gli operai da impiegare.

I lavoratori scelti versano tre euro per il trasporto e cinque per l’ingaggio. Molti lavorano anche la domenica. Sono soprattutto marocchini senza contratto, partono con i camion per i mercati di Siracusa e di Catania. Aija è sudanese, 26 anni, per lo Stato è un clandestino e non gli è permesso dormire nella tendopoli della Croce Rossa. I braccianti agricoli, senza permesso di soggiorno, rappresentano una risorsa per molti imprenditori che abbattono il costo del lavoro.

“Vivo in un casolare a pochi chilometri dal centro di Cassibile – racconta Aija -. Siamo in 40 e dormiamo in quattro stanze. I materassi sono a terra, ma abbiamo anche una cucina. Per lavorare nei campi ci pagano 30 euro al giorno, dalle sei alle due del pomeriggio”. Se Aija avesse un permesso di soggiorno le sue braccia costerebbero almeno 20 euro in più. Il prezzo delle patate si è dimezzato nel corso del 2009 e di conseguenza anche la presenza straniera che “quest’anno arriva a 350 – dice Gianpaolo Crespi della Rete Antirazzista – di questi 150 dormono nella tendopoli. Al di  fuori del campo, c’è una realtà che molti non vedono”.

La tendopoli è il frutto di un protocollo tra Prefettura, sindacati, associazioni ed enti locali e prevede, inoltre, che i datori di lavoro diano un alloggio al lavoratore. All’interno del campo possono alloggiare soltanto gli stranieri regolari. I volontari della Croce Rossa registrano i nomi. L’accesso al campo è sottoposto a regole ferree, per entrare o uscire i migranti devono presentare  il tesserino di riconoscimento assegnato loro nel momento della prima registrazione. Chi non ha il permesso di soggiorno non può essere ospitato e trova rifugio tra le campagne circostanti, nei cascinali abbandonati.

Da Mantova a Rosolini per essere competitivi

Dal 1984 un’azienda agricola del mantovano promette qualità, genuinità e garanzia. A pagare il caro prezzo delle tre promesse commerciali sono, però, i lavoratori. E non quelli impiegati nella sede del mantovano, ma gli stranieri delle serre-tunnel del Siracusano. A Pachino l’azienda venuta dal Nord lavora da molti anni. A sentire i migranti che ci lavorano i loro diritti rappresentano un costo accessorio. “Mi pagano 40 euro al giorno, ma non sempre sono precisi nei pagamenti – si altera Mohamed che da due anni lavora nei tunnel della ditta -. Per contratto dovremmo lavorare otto ore, in realtà ci obbligano  a farne nove ore e mezza senza lo straordinario. Se arriviamo in ritardo, il padrone, detrae mezz’ora di paga oraria e per tre giorni non ci chiama a lavoro”.

L’azienda applica il Cpl (Contratto provinciale di lavoro) di Chieti che prevede una paga più bassa rispetto a quello del siracusano”. La raccolta delle zucchine e dei meloni nei tunnel è l’anticamera dell’inferno. Durante i mesi estivi si raggiungono temperature elevate, fino a ottanta gradi con percentuali di umidità che toccano il 95 per cento. Sarebbero necessarie delle accortezze particolari per tutelare la vita del lavoratore. Ma la pausa di cui godono i migranti impegnati nella raccolta è di un’ora, ogni otto di asfissiante lavoro, e i dispositivi di sicurezza individuali sono a carico dei lavoratori stessi.

“Guanti e mascherine per ripararci dalle inalazioni dobbiamo comprarceli, il datore ha stabilito così – spiega Mohamed”. Dalle descrizioni dei lavoratori e dei sindacati l’azienda e` totalmente indifferente alle sofferenze dei lavoratori, qualcuno in paese non utilizza mezzi termini nell’etichettarla con il termine di “negrieri”.  Nel 2006 è morto un pachinese impegnato nella raccolta delle zucchine. Infarto, ha fatto sapere l’azienda. Ma sindacato e colleghi di lavoro la pensano diversamente. L’operaio sarebbe morto per avere inalato, all’interno del tunnel di plastica, fumi degli anticrittogamici.

Cresce la produzione, diminuisce l’occupazione regolare

Nella fascia produttiva del siracusano, nonostante la crisi economica, il prodotto lordo vendibile è aumentato del 20 per cento. “Da un lato aumenta la produzione e dall’altro si abbassa il numero dei lavoratori, di conseguenza esiste una fascia grigia – fa notare Enzo Pirosa – la forza lavoro è scesa in provincia da 13 a 10 mila. Il lavoro nero è stimabile tra il 35-40 per cento. Al sommerso della manodopera si accosta l’evasione contributiva fiscale che accade all’80 per cento dei lavoratori immigrati, ma dalla quale non sono immuni neppure gli italiani. Abbiamo spinto come Flai Cgil affinché le grosse aziende assumano con contratti a tempo indeterminato per garantire uno stipendio fisso e la tutela del lavoratore.

Ma non tutti accettano il tempo indeterminato perché gli farebbe perdere l’indennità di disoccupazione agricola. In realtà non considerano i vantaggi a lungo termine, come una pensione dignitosa, che offre un contratto a tempo indeterminato. Certamente si potrebbe partire  con le grosse aziende”. A Pachino la cooperativa Aurora, ad esempio, garantisce ai lavoratori contratti fissi. Una realtà nata da 16 piccoli produttori, ora 100, che hanno scelto di associarsi per superare le barriere del libero mercato. Ci lavorano 12 operai a tempo indeterminato e 50 stagionali. La sua è una storia al femminile, dove il lavoro delle donne ha contribuito sia alla crescita aziendale che al difficile percorso di emancipazione, delle donne di queste terre ricche di “oro rosso”.

Lavorazione e confezionamento del prodotto sono state affidate alle donne. “Nei locali della cooperativa lavorano molti pachinesi – sottolinea Salvatore Dell’Arte, presidente dell’Aurora-. I contratti prevedono 6 euro l’ora più l’ingaggio previsto dai contratti della cooperazione.  La nostra trasparenza si scontra con una realtà disomogenea fatta di Cpl diversi da provincia a provincia, avviene così che a Ragusa il costo orario previsto per un operaio è di 4 euro e 80 centesimi. E inoltre ci dobbiamo confrontare con la concorrenza sleale dei produttori”. Per non scaricare sui lavoratori la mannaia della competitività, il modello cooperativo potrebbe essere una valida alternativa, anche nelle terre del sud Italia.

“Associarsi e creare una cooperativa conviene- specifica- si eliminano i passaggi intermedi riducendo i costi”. La catena produttiva inizia nelle terre dei piccoli coltivatori diretti soci della cooperativa che, raccolti i pomodori, li portano nei magazzini. Una volta confezionati partono per i mercati nazionali. Coop Italia è tra i maggiori acquirenti dell’Aurora. “Per un chilo di prodotto lavorato sosteniamo 1 euro e 20 centesimi di spese – spiega il presidente -. Il trasporto su gomma è uno dei costi che grava maggiormente sui nostri bilanci. Se la Regione Sicilia si decidesse a eliminare le accise sul carburante i costi diminuirebbero di molto. A queste si aggiunge l’aumento, pari al 15 per cento, del costo di produzione e la crisi della redditività delle aziende associate, calata del 30 per cento.

Se il prodotto non viene venduto direttamente alla grande distribuzione, viene ceduto ai mercati generali  a prezzi più bassi.  Un chilo di ciliegino pachino costa a Coop Italia 1 euro e 80 centesimi, nel supermercato, mezzo chilo dello stesso prodotto,  arriva a costare 3 euro e 50″ – conclude Dell’Arte. Chi ci guadagna? I sensali, mediatori siciliani, incidono nell’aumento del prezzo finale a discapito del guadagno dei produttori. Quella del mediatore è una figura storicamente parassitaria e non regolata, che ricorda la guardiania dei campi della mafia agricola. I mediatori propongono direttamente i prezzi di acquisto della merce e raramente l’imprenditore è in grado di rifiutare, trattiene inoltre una percentuale non prevista da alcuna normativa in materia.

 Lavoro fittizio, falsi braccianti, lavoratori veri e controllori distratti

A Vittoria gli ultimi blitz nelle campagne dell’ispettorato del lavoro risalgono al 2007. “Tre anni fa la polizia aveva fatto tre blitz nelle campagne che hanno dato importanti risultati – spiega Giovanni Consolino, del Forum  per l’immigrazione vittoriese -. Dopo questi interventi, definiti dalla Confindustria come freno alla filiera, non ne sono stati più effettuati. Ora stanno ricominciando perché Rosarno ha messo un po’ di paura”. Scarsi controlli dovuti anche al poco personale ispettivo della Direzione provinciale del lavoro in molte province siciliane. Nel nisseno gli ispettori del lavoro sono soltanto due.

“C’è qualcosa che non quadra – dice Pino Cultraro segretario Flai Caltanissetta – il prezzo non è crollato sul prodotto finale. E’ evidente che si sta risparmiando sul costo del lavoro, tanto da fare parlare di lavoro fittizio”. Il perverso meccanismo è storia di altri tempi che ha tre protagonisti. I proprietari delle aziende fanno lavorare in nero i migranti senza versare i contributi che, invece, vengono sistematicamente venduti ai falsi braccianti agricoli per 10-15 euro a contributo. Morale della storia: loro avranno l’indennità previdenziale“.

Ci guadagnano tutti – continua Cultraro – tranne il lavoratore. Perchè l’azienda passa per quella che paga i contributi, il falso bracciante percepisce l’indennità di disoccupazione agricola, il lavoratore, invece continua a lavorare in nero e senza tutele. Il fenomeno visibile, attualmente è del 30 per cento”. Ai controlli dell’Inps però non ci sono differenze perché una volta scoperta l’azienda l’indennità viene bloccata per tutti, anche per i lavoratori veri. Questi ultimi pagano da sé i contributi necessari per percepire l’indennità di disoccupazione agricola.

“Tu vuoi lavorare da me? Dato che posso avere manodopera anche a 20 euro, posso pagarti fino a 30 euro però ti paghi tu i contributi”. In provincia di Caltanissetta, tra carciofeti e grano, il mercato del lavoro si svolge nei bar dei paesi. Non c’è il caporale ma lo stesso titolare della ditta che  va a prendere gli stranieri che ogni tre giorni vengono venduti da un’azienda all’altra per evitare denunce e controlli. Per le donne? Il sistema di selezione è fisico. “Le aziende – conclude il segretario – si contendono le più carine”.

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