Lo schiavismo dietro le mozzarelle di Bufala del casertano. E’ lo scenario inquietante che emerge dal rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) su Castel Volturno. Un dossier realizzato peraltro nell’ambito di un progetto, Praesidium V, che è finanziato direttamente dal ministero dell’Interno. A essere ridotti in schiavitù sono un gruppo di lavoratori migranti, cittadini indiani e pakistani, impiegati nell’allevamento delle bufale all’interno delle aziende zootecniche. Molti di loro lamentano gravi problemi di salute per le condizioni lavoratibve cui sono sottoposti. Secondo le dichiarazioni degli indiani raccolte sul territorio dall’Oim, “sembra che in molti casi i cittadini indiani siano costretti a vivere nelle stalle insieme agli animali, non abbiano la possibilità di uscire liberamente e siano sottoposti a estenuanti orari di lavoro”.
Il dossier dell’organizzazione sottolinea che si tratta di un gruppo di “invisibili”, persone che per motivi di isolamento e carenze linguistiche, non hanno la possibilità di rivolgersi ad associazioni o gruppi di supporto per chiedere assistenza o tutela”. E ancora: “questi migranti difficilmente percepiscono il grave sfruttamento cui sono sottoposti e riferiscono di non avere assistito a controlli nelle aziende da parte di istituzioni locali”.
Le zone interessate da queste nuove forme di schiavitù sono Ischitella a Castel Volturno e il comune di Villa Literno. I lavoratori indiani, pakistani e bengalesi sono entrati con visti per impiego stagionale e sono rimasti in Italia dopo la scadenza del permesso. Gli indiani allevatori di bufale sono una delle categorie truffate con la sanatoria di settembre 2009. L’Oim riferisce che molti di loro hanno dato 500 euro ai datori di lavoro per la domanda di regolarizzazione. “A pochi, tuttavia, è stata consegnata la ricevuta o la documentazione che certifichi l’effettiva presentazione della domanda – precisa il rapporto – molti degli stranieri sono ancora in attesa di ricevere informazioni sull’esito del procedimento e non vogliono intentare alcuna azione contro i loro sfruttatori”.
Anche le fragole di Parete, una delle località più importanti di produzione, sono raccolte da migranti egiziani che vivono in condizioni disumane. Un piccolo gruppo di loro, contattato dall’Oim ad aprile all’inizio della raccolta, dorme in rifugi e ripari costruiti con plastica e materiale da riciclo, all’interno delle stesse campagne in cui lavora. Senza acqua ed elettricità, con compensi inadeguati alle molte ore lavorative.
“Nel marzo 2010 uno dei rifugi dei migranti è stato dato alle fiamme – si legge nel dossier – non vi sono stati feriti e la responsabilità di tale avvenimento non è stata attribuita ad alcuno. Nel mese di giugno, le stesse persone si sposteranno a Villa Literno per la raccolta dei pomodori”. Gli egiziani e i maghrebini in generale sfruttati nel settore agricolo sono entrati in Italia sia via mare da Lampedusa, sia con regolare visto per lavoro stagionale e poi non sono riusciti a regolarizzarsi. Il motivo? “Perchè i datori di lavoro italiani si sono rifiutati di finalizzare il contratto di soggiorno, costringendoli così alla clandestinità”, risponde l’Oim.