Roberta Lanzino. Il ricordo gioioso dei ...

Violenza sulle donne. Una storia di soprusi e silenzi

Roberta Lanzino. Il ricordo gioioso dei suoi cari

Anna Foti
  Una ragazza normale. Roberta Lanzino non ha bisogno di orpelli o suggestioni per essere ricordata. Sua madre, Matilde, racconta la semplicità della figlia barbaramente uccisa il 26 luglio 1988: "Chi la conosceva, sa come lei fosse piena di vita, allegra, dedita alla famiglia e agli amici, gioiosa e schietta”. Un ricordo non cancellato dalla vicenda giudiziaria fatta di depistaggi e silenzi
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“Il ricordo che ha lasciato è esattamente come lei, pieno di gioia”. C’è una grande forza nelle parole di mamma Matilde che sa bene come spesso la verità giudiziaria sia una verità, ma non “la” verità. La sua forza è nel ricordo incessante della figlia e della sua capacità, nonostante la cieca e irreversibile violenza, di essere ancora fonte di gioia, di coraggio e di speranza. Roberta, all’inizio del suo percorso universitario in Scienze Economiche e Sociali, appassionata di radio, folk e pallacanestro, è ancora davanti agli occhi della madre Matilde. E’ lì, presente, con la sua vitalità quando a Strill.it sua madre racconta il dono di una famiglia rimasta unita anche dopo quella tragedia e la fatalità di quel pomeriggio in cui mamma e papà decisero, con Roberta, che lei avrebbe dovuto avviarsi verso la casa al mare di Miccisi di San Lucido con il motorino. I genitori avrebbero chiuso la casa per poi raggiungerla. Ma non riuscirono mai a raggiungerla.

Avevano tardato in garage solo una manciata di minuti. Fatali! Roberta già in strada si era persa e, chiedendo informazioni ad un bivio di quella strada provinciale del tirreno casentino, aveva imboccato una via alternativa. Dopo quel bivio di Torremezzo, l’aggressione, la violenza, la morte e un mistero che lentamente in questi venti anni ha svelato le proprie pieghe. Pieghe tra le quali si sono insinuate menzogne e tentativi di affossare un gesto brutale, uno stupro, un atto vile di violenza contro le donne al solo scopo di mantenere un omertoso e vergognoso silenzio e coprire infamanti responsabilità. Un’escalation di brutalità di cui sono venuti a conoscenza anche i boss del luogo, notoriamente dediti al “controllo del territorio”. Tra le montagne di Falconara Albanese è stata spezzata la vita della giovane Roberta Lanzino.

Sono ormai diventate montagne maledette. La studentessa di Rende non è mai arrivata alla sua casa al mare quel giorno di 21 anni fa. Era il 26 luglio del 1988 e lei aveva diciannove anni quando sul suo motorino percorreva un tratto di tirreno cosentino verso Miccisi di San Lucido, prima di imbattersi nella violenza e nella brutalità di chi, dopo anni di processi, colpi di scena e smentite, forse accenna ad avere un volto per la giustizia e per la famiglia della giovane. Comincia tutto con un fitto mistero. Il ritrovamento, la mattina successiva, di quel motorino riverso nella scarpata e, poco distante, di quel corpo martoriato e senza vita di Roberta segnò l`inizio di un indagine che oggi lega insieme sei delitti. Il cerchio comincia a stringersi da quando, nel dicembre 2007, un carcassa di auto. Si tratta di una Fiat 131 di colore marrone chiaro di cui i testimoni oculari dell`omicidio Lanzino avevano riferito, parlando di Roberta fermatasi per strada a chiedere informazioni prima di essere seguita e aggredita, e che riesce a rimanere nascosta per quasi vent`anni in un burrone che il tempo ha reso inaccessibile e pieno di vegetazione.

Dall`impossibilità di risalire al Dna di chi l`avrebbe aggredita e violentata, alla strategia messa in atto subito dopo per depistare le indagini. Dal tentativo di incolpare figli di noti professionisti della città bruzia all`assoluzione in Cassazione dei tre pastori imputati, i fratelli Luigi e Rosario Frangella e il cugino Giuseppe Frangella. Nonostante tale sentenza, le indagini condotte fecero luce sugli accadimenti di quel pomeriggio, sul percorso di Roberta prima dell’aggressione. Restano dei dubbi circa la compiutezza delle indagini che non poterono contare sugli elementi determinanti quali l’individuazione del DNA, l’utilizzabilità degli elementi fisiologici non più attendibili dopo diverse ore di esposizione, e l’adeguata rilevazione delle impronte digitali sul motorino. Inoltre vi registrava una paura incomprensibile che serpeggiava intorno a questa vicenda, subito dopo il suo accadimento. I delitti che seguirono, e che sembrerebbero essere ad esso legati, potrebbero spiegare il perché.

In forza delle rivelazioni nel 2000 dei pentiti della `ndrangheta Umile Arturi e Franco Pino, informato di alcuni particolari dai boss di San Lucido – Romeo e Marcello Calvano – si riaprono le indagini presso la Procura di Paola dove il pm Domenico Fiordalisi sarebbe tornato a cercare la verità sulla morte di Roberta. Nessuna responsabilità di giovani della Cosenza bene, come le operazioni di depistaggio avrebbero voluto lasciar intendere, ma un delitto occasionale senza indagati eccellenti e maturato in un contesto di violenza e di terrore oppresso da un cappa mafiosa. La svolta arriva anche con la deposizione della confidente di Rosaria Genovese che fuga ogni dubbio circa i significativi collegamenti che legherebbero insieme la morte della giovane Roberta, la scomparsa dell`allevatore Luigi Carbone avvenuta nel novembre del 1989, la morte per strangolamento di Rosaria Genovese nell`aprile del 1990, la morte del maresciallo della Polizia Penitenziaria Alfredo Sansone e dei pastori Libero Sansone e Pietro Calabria, i cui corpi trucidati sarebbero stati ritrovati a Ferrera di Paola nel marzo del 1989.

Sembra che tutti fossero a conoscenza di dettagli dell`omicidio di Roberta e che per questo siano stati “messi a tacere” subito dopo quel delitto. Si tratterebbe, dunque, di un intreccio tragico di violenza e barbarie, forse interessi economici legati a proprietà terriere e pascoli. Un intreccio certamente degenerato in un progetto criminale di eliminazione di possibili testimoni scomodi. Lo scorso gennaio è stato disposto il rinvio a giudizio per Franco Sansone, esecutore materiale del delitto Lanzino, già detenuto per l`omicidio della ex fidanzata Rosaria Genovese e del complice nel delitto Luigi Carbone, scomparso nel 1989. Dopo il trasferimento del procuratore Fiordalisi a Nuoro, l`assegnazione delle indagini al pm Eugenio Facciolla, adesso la prima nuova udienza presso la Corte di Assise di Cosenza, tenutasi proprio in questi giorni, con la nuova applicazione del pm Carotenuto. Gli imputati sono tre: un imprenditore di Cerisano e proprietario del fondo rustico presso cui lo scorso anno fu invano effettuato un sopralluogo per la ricerca del corpo di Luigi Carbone, il quarto uomo coinvolto nel delitto Lanzino, il fratello ed il padre.

Due i testimoni fondamentali per questa riapertura di inchiesta: il fratello di Rosaria Genovese, Gennaro, e il padre di Luigi Carbone, Carmine. Intanto nel cosentino e nella Calabria tutta, la memoria di Roberta è viva. A suo nome, all’indomani della tragedia sono stati istituti nell’autunno 1988 il centro antiviolenza “Roberta Lanzino” e nel 1989 la fondazione Lanzino, attiva nelle scuole con attività di sensibilizzazione sui temi dei diritti e della prevenzione della violenza di genere. Ogni anno, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne – 25 novembre – il liceo scientifico “Scorza” che Roberta ha frequentato e che la ha anche intitolato la biblioteca, assegna una borsa di studio in sua memorie. “Presto in via Verdi, a Rende, su suolo comunale concesso in comodato gratuito, sorgerà la Casa di Roberta, una casa rifugio costruita con i fondi del Por Calabria per le vittime di violenza, ed un numero verde sarà attivato nell’ambito di un progetto finanziato dalla provincia cosentina”. Lo annuncia Matilde Lanzino, madre dei tre fratelli di Roberta, Marilena, Giuseppe e Luca, e anche nonna di cinque nipoti che conoscono zia Roberta come se nessuna violenza le avesse prematuramente stroncato la vita, si attiva affinché la memoria sia speranza per altre donne vittime di violenza in Calabria.

Nell’ultimo anno 130 donne, prevalentemente vittime tra le mura domestiche e di età compresa tra i 28 e i 47 anni, hanno contattato il centro antiviolenza `Roberta Lanzino` per ascolto telefonico, accoglienza, consulenza legale, consulenza psicologica. Un’opportunità per liberarsi dall’oppressione. Un’opportunità che affonda le proprie radici in quel drammatico pomeriggio del luglio 1988. La vicenda giudiziaria forse potrà condurre a quella verità di cui parlava prima mamma Matilde, ma Roberta è stata anche vittima di quella sfida che la Calabria, e non solo essa, deve smettere di perdere. La sfida culturale per la parità dei diritti, la libertà di coscienza, il riscatto dall’omertà mafiosa.

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