Articolo pubblicato su “il manifesto“
“Ci battevamo due dita sull’avambraccio e gridavamo ai poliziotti: speriamo che nessuno di voi abbia un figlio in questo quartiere, perché da domani ricomincia lo spaccio. E loro abbassavano lo sguardo, dietro i caschi e gli scudi. Continuavano a picchiarci, con imbarazzo”. E’ l’alba del 2 novembre, la polizia sta sgomberando a manganellate il centro sociale. Cinquanta occupanti lo difendono finché possono. Il centro popolare occupato Experia si trova nel quartiere dell’Antico Corso, nel cuore barocco di Catania dove lo splendore dei palazzi in pietra lavica è lo sfondo del degrado più estremo. Contrasti ottocenteschi, accostamenti da regno borbonico, vicerè che vogliono imporre angherie senza giustificazione, gendarmi obbedienti, ribelli esperti in nuove tecnologie.
Una storia lontana dalla solita retorica dello “sgombero” e della “difesa con la lotta”. Il centro faceva doposcuola ai ragazzi del quartiere, apriva a tutti una palestra popolare, persino una ciclofficina. Ed aveva “ripulito” la zona dagli spacciatori. Su questo massima intransigenza, persino per l’erba. Non è stato facile. La storia inizia diciassette anni fa, si arrivò allo scontro fisico coi pusher. Una bomba incendiaria fu la pronta risposta. Ma i vari occupanti che nel corso del tempo si sono avvicendati hanno difeso un luogo libero dalle droghe e dalla mafia. Da soli, perché la polizia queste cose non le fa. Attualmente, le forze dell’ordine preferiscono le ronde sulla centrale via Etnea, o posteggiare la camionetta blu di fronte all’elefante di Piazza Duomo. Il famigerato “palazzo di cemento” di Librino è angosciante almeno quanto i suoi gemelli di Scampia, e lo spaccio ha assunto dimensioni altrettanto imponenti. Tutte le zone satellite della cintura urbana, così come i ghetti in pieno centro storico sono terre perdute.
Mani alzate
“Ma davvero stasera? Tra quanto? Oppure domattina?”. I ragazzi si chiedono se verranno. Alle otto di sera tutto sembra a posto, compreso il tatami usato per la lotta greco-romana, il judo e le altre attività della palestra popolare. Alla riunione c’è tutta la sinistra catanese, unita come mai negli ultimi anni. La notte passa, molti se ne vanno. Ormai non vengono più. Ed invece arrivano poco prima delle sei, dopo tre falsi allarme. La barricata è pronta a reggere l’urto. Salvo sta leggendo “I Miserabili”. “Come nell’Ottocento”, commenta. “Da non crederci”. Un groviglio di ferro e di legno ed una pattuglia di carabinieri all’orizzonte. E poi una selva di caschi, una schiera di scudi e dall’altro lato mani alzate, nude.
“Sarà solo una notifica di sgombero, vedrete che non caricano”. La smentita arriva con le manganellate dalla seconda fila di poliziotti. I primi colpi sembrano quasi leggeri. Poi una botta si abbatte sulla testa di un compagno; un rumore piatto, disgustoso, sulla sua fronte: e quello crolla. Sangue, stupore e urla; altri manganelli si rizzano dalle seconde file: nessuno reagisce. La barricata regge bene, le fronti dei compagni un po’ meno. Si urla: “Perché? Siamo disarmati!” Poi il gruppo “sente” la presenza della polizia alle spalle: la barricata ha ceduto, e sono circondati. Improvvisamente tutti comprendono, fisicamente, che è finita: anche quelli che non hanno potuto guardarsi alle spalle. È questo il problema delle barricate: se cedono, diventano trappole; era così nell’800, è così adesso.
La retroguardia alza le mani, osserva i manganelli. Non si sollevano. È finita. Teste rotte, sangue. Un altro compagno è a terra, la felpa rossa sollevata sul ventre. Il suo casco è stato colpito sette volte con forza. Senza quella protezione che gli ha salvato la vita, forse sarebbe un altro Carlo Giuliani. “Questa è repressione”, urla Claudia. “Non è repressione”, risponde la funzionaria della questura. E non trova nient’altro da aggiungere. “State picchiando ragazzini”, urla un signore. “Vergogna!”. Nessuno ha il coraggio di rispondere, dall’altra parte. “Ma questa è sicurezza?”, dice una ragazza dal megafono. “Siamo puliti, siamo con le mani nude: non abbiamo paura dei vostri manganelli”. La polizia salda una lastra di metallo all’ingresso. Ma cosa è successo? Sangue e corpi distesi per sgomberare un doposcuola? Nella città dell’illegalità, della criminalità, della corruzione? Nel comune fallito per gli sprechi di una politica incapace di controllarsi?
Non è finita
Molto probabilmente lo sgombero nasce dall’unione malsana tra risentimento politico ed interessi speculativi. Alleanza Nazionale, oggi al potere in citta`, a Catania non ha mai perso le proprie venature estremiste. Ha condotto una campagna contro i centri sociali, ha plaudito al “ripristino della legalità”. La soprintendenza, che nei fatti ha “ordinato” lo sgombero, insiste sul fatto che l’immobile andrà all’Università per farci una mensa. Peccato che non ci sia la volontà dell’ERSU, e neppure i soldi necessari, che invece abbondano presso i privati attratti da nuove operazioni speculative.
I ragazzi dell’Experia sono una nuova generazione di attivisti politici. Uno fa l’editore, un altro l’avvocato. Una è insegnante. Tanti studiano. Un altro insegna all`universita`. Tutti sanno usare la tecnologia. Il video dello sgombero è stato visto su YouTube da migliaia di persone: quattro minuti da brividi che sintetizzano mezz’ora di resistenza. I racconti hanno raggiunto in poche ore tutta Italia sui social network. Certe cose non è più possibile nasconderle.
* Il racconto dello sgombero è un’elaborazione del racconto “Le Barricate di Via Del Plebiscito” di Salvatore La Porta