Grande mobilitazione popolare ad Amantea

Migliaia di persone per una Calabria libera dai veleni

Anna Foti
  Nonostante la pioggia, il 24 ottobre ad Amantea cittadini, associazioni, sindacati e istituzioni di Calabria e non solo hanno chiesto libertà dal traffico internazionale di rifiuti pericolosi e verità sulle navi affondate nel Mediterraneo. In due parole: Basta veleni! Erano migliaia. La società civile ha dato un segnale inequivocabile. Ora tocca alle istituzioni
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Il comune di Amantea, sciolto per mafia e commissariato dal 2008, ha ospitato una della più significative mobilitazioni avviatesi in Calabria. La manifestazione nazionale per una Calabria Pulita, promossa dal comitato civico “Natale De Grazia” e dalle associazioni ambientaliste, con il contributo della regione Calabria e dall’assessorato all’Ambiente della Provincia di Cosenza, si è aperta alla presenza della vedova De Grazia, Anna Vespia, e del figlio Giovanni, del capitano dei fregata Luigi Piccioni in rappresentanza delle Capitanerie di Porto, del governatore Agazio Loiero, del presidente del comitato civico “Natale De Grazia” Gianfranco Posa, con l’intitolazione del Lungomare, punto di raduno dei manifestanti, proprio al Capitano Natale De Grazia.

Risuonava forte il silenzio eseguito dalla banda subito dopo la scoperta della targa. Lo stesso silenzio avvolge la morte del capitano, insignito della Medaglia d’oro al Merito e alla Memoria nel 2004, punta di diamante del pool investigativo ecomafie della Procura di Reggio Calabria, improvvisamente morto nel dicembre del 1995 durante una delicatissima fase dell’indagini. “Mio marito sarebbe stato contento e orgoglioso – ha dichiarato Anna Vespia – di sentire che la sua opera non è stata dimenticata e che la verità è ancora pretesa e rivendicata”. La manifestazione si è snodata lungo il centro di Amantea fino a piazza dei Cappuccini. Centinaia di striscioni e bandiere, tra cui quelle di Legambiente e WWF, per una battaglia che deve assumere la connotazione di trasversalità politica. Una connotazione tuttavia non ottenuta in questo frangente. Il coordinamento regionale del PDL ha motivato la propria assenza con la presunta strumentalizzazione dell’iniziativa da parte dei partiti di centrosinistra.

Dal mondo politico nazionale e regionale, presenti il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Giuseppe Bova, i deputati di Pd, Idv e Udc della Calabria, il presidente dell`Italia dei valori Antonio Di Pietro, Franco Laratta, Nicodemo Oliverio, Roberto Occhiuto, delegazioni dei Verdi, del Prc e di Sinistra e libertà, del Pdci. In migliaia con messaggi e striscioni colorati hanno marciato per chiedere interventi urgenti e per evidenziare la gravità della questione che pone a rischio il futuro della Calabria, la salute dei suoi cittadini, dell’ambiente e i settori economicamente trainanti quali la pesca e il turismo. In piazza anche i pescatori, la cui mobilitazione coincide con la richiesta di una legge regionale che tuteli questo settore dell’economia e promuova il prodotto ittico. In particolare Legambiente affida la richiesta di un intervento celere ad una cartolina rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri e che ciascuno cittadino dovrà spedire, affinché vengano individuate e tolte tutte le navi dei veleni dai mari di Calabria. Sul palco, prima dei concerti, riflessioni condivise ma anche contestazioni come quelle riservate al presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio.

I vari contributi hanno posto in evidenza come il problema delle Navi dei Veleni sia un problema di rilevo internazionale; ciò è attestato soprattutto dal legame con l’inchiesta giornalistica condotta da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia, prima dell’agguato in cui morirono nel marzo del 1994, ben quindici anni fa. Un intreccio complicato e radicato che lascia intendere quanto crimine organizzato, servizi segreti, uomini vicini alle istituzioni, con la complicità dei signori della guerra dei paesi meno sviluppati e più poveri, abbiano operato per infittire e alimentare una rete di traffici di armi e scorie oggi di difficile individuazione e analisi. Nonostante le difficoltà, la voglia di verità non si placa. Lo dimostrano questa manifestazione ad Amantea, oltre che le numerose inchieste giudiziarie e giornalistiche che faticosamente compongono, tassello dopo tassello, una verità che non tutti vorrebbero ma che i calabresi rivendicano. Tra questi lo ha fatto anche Natale De Grazia. Morto in circostanze sospette nel dicembre del 1995, il capitano stava recandosi a La Spezia nell’ambito delle indagini condotte dalla Procura di Reggio Calabria e coordinate dal dott. Francesco Neri, sullo spiaggiamento della Rosso proprio a Formiciche ad Amantea nel 1990 e sul presunto affondamento della Rigel a Capo Spartivento nel 1987.

Il capitano De Grazia morì improvvisamente e il caso fu chiuso senza che un’inchiesta abbia mai creato piena luce sulla vicenda di questo malore mortale. Inoltre il relitto della Rigel non fu mai trovato per via di coordinate errate fornite alla Procura e l’indagine andò incontro ad un’archiviazione. Nessuna verità sul collegamento tra il trasporto di scorie pericolose e l’affondamento, cui sarebbe stato impossibile giungere in assenza del relitto, ancora mai individuato. Certa è invece la condanna definitiva per caricatori e armatore nel 2001 con riferimento all’accertamento del naufragio doloso. Lo scenario non è rassicurante e risolto neanche per lo spiaggiamento della Rosso. Il filone di indagine sul nesso tra lo spiaggiamento e un possibile interramento dei cinque fusti mancanti dal carico delle Rosso, sono stati adesso ripresi dal procuratore Giordano a Paola, dove si sta procedendo alla caratterizzazione del Torrente Oliva, tra Serra d’Aiello e Aiello Calabro, in cui si è registrato un notevole tasso di radioattività e una cifra abnorme di persone affette e decedute per patologie oncologiche. Potrebbe esserci un legame, ma è ancora tutto da accertare. Rimane il fatto che l’archiviazione parziale disposta dal Gip Salvatore Scarpino e chiesta dal procuratore di Paola Francesco Greco nel maggio scorso ha delineato un quadro in cui, non essendo stato accertato il nesso tra lo spiaggiamento della Rosso e i rilievi tossici e radioattivi registrati nel tratto compreso tra i 370 metri e i 450 metri nelle acque di Belvedere Marittimo e di Cetraro, tale presenza non era riconducibile ad un presunto carico della stessa Rosso.

Ciò tuttavia non escludeva che i fusti mancanti nel relitto arenato, invece di essere stati scaricati sul fondo nel mare, fossero stati interrati. Se si fosse, sono solo ipotesi, trattato di un affondamento mancato e i fusti non avessero per una qualunque ragione raggiunto il rassicurante fondo marino, questi avrebbero comunque dovuto trovare a terra un luogo in cui essere nascosti. Quindi questo filone, dunque, è rimasto in piedi, come è rimasta tanto evidente quanto ingiustificata anche la presenza di cromo, alluminio, arsenico e cobalto nel tratto di mare prima indicato e divenuto oggetto di un’ordinanza di divieto di pesca del 2007, poi revocata dopo poco più di un anno dalla stessa Capitaneria di Cetraro. Dunque l’archiviazione del caso è stata parziale e su ciò che rimaneva aperto, ossia l’eventuale interramento dei fusti presumibilmente trasportati dalla Rosso, il procuratore Giordano è tornato ad indagare.

A questo quadro vanno inoltre aggiunte sia le iniziative intraprese alcuni mesi fa da diversi sindaci della costa tirrenico cosentina affinché tale inchiesta non fosse archiviata, che l’assoluzione della società Messina intervenuta nel 2008 quando il giudice Antonio Baldassarre, aveva assolto i tre fratelli armatori della società genovese che gestiva la Jolly Rosso dall`accusa di “occupazione del demanio marittimo e di abbandono di cavi, di un rimorchio, di un portellone, di un gruppo frigo e lamiere varie nei fondali marini”. Dunque nessuna traccia in questo capo di imputazione, di cui i fratelli Messina erano stati chiamati a rispondere per poi essere assolti, che riguardasse lo smaltimento illecito di scorie pericolose o il disastro ambientale. Uno scenario tutt’altro che rassicurante in cui vi è certezza circa la presenza di alluminio, cromo, cobalto e arsenico in quel tratto di mare di Cetraro ma non vi è certezza sulla sua causa. Altra certezza riguarda la presenza di Cesio 137 e Mercurio nel torrente Oliva e l’alto tasso di tumori nella zona.

Qui il nesso con l’arenamento della Rosso non è stato oggetto di archiviazione e dunque pur non essendo ancora accertato, esso non può neanche essere escluso. Le indagini procedono. Ma torniamo al mare e al relitto individuato, con il contributo della regione Calabria, lo scorso settembre a largo di Cetraro. Dopo tante inchieste arriva una traccia. Un’altra certezza. Un relitto c’è ed è lì dove il pentito Fonti, cui adesso è stato rinnovato il programma di protezione, ha detto che sarebbe stato. Dalla certezza di aver individuato la Cunsky a largo di Cetraro, si passa poi alla nuova incertezza circa la sua reale identità. Forse non è la Cunsky ma un altro relitto. Ciò che invece rimane costante è l’incognita, dopo oltre un mese dal suo ritrovamento, sul suo carico presuntamene pericoloso. Dato il coinvolgimento della ndrangheta nei traffici descritti da Fonti, le carte sono state trasmesse dalla Procura di Paola alla DDA di Catanzaro. Ciò accade oltre un mese fa. Finora l’unica novità è l’arrivo della Mare Oceano inviata dal ministero dell’Ambiente per effettuare i rilievi. La regione Calabria continua a sollecitare il governo affinchè vi sia un maggiore impegno.

“Chiediamo di poter analizzare anche noi nei nostri laboratori i rilievi che la Mare Oceano farà sulla Cunsky, utilizzando metolodogie comparabili, come sta avvedendo sulla terra ferma per i rilievi sul torrente Oliva”, ha dichiarato ad Amantea l’assessore regionale all’Ambiente Silvio Greco. Questi sono solo alcuni aspetti inquietanti e molto poco rassicuranti che rafforzano nei calabresi la voglia di sapere e di conoscere che cosa sia accaduto, perché camion siano stati visti percorrere le strade indisturbati e scaricare di notte, perché molte, troppe persone siano morte per tumore. La voglia di verità non si placa specie ora che un relitto è stato individuato e nell’arco di oltre un mese ancora nessun risultato è stato ottenuto e comunicato. Lo scenario si complica al pensiero di come procedere se davvero i fusti confermassero presenze tossiche e radioattive in fondo al mare. Un mare già cambiato come raccontano i pescatori e gli addetti ai lavori. Da temperature ormai tropicalizzate, al pesce che diminuisce ogni anno di più. Cosa accade, quali conseguenze vi sarebbero se davvero vi fosse una fonte radioattiva nel torrente Oliva e che legame ci sarebbe tra tutto questo e la vicenda delle “Navi a perdere”? Le domande aumentano ma le riposte diminuiscono.

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