Migranti e diritto d`asilo

Nuovi respingimenti collettivi. Ancora l`incubo Libia

Fulvio Vassallo
  Nuova prassi di respingimento collettivo. Ancora alto il rischio di deportazione in Libia. Gli accordi segreti conclusi a febbraio 2009 da Maroni a Tripoli oltre i protocolli e il “trattato di amicizia” del 2008. Ed adesso anche omissione di soccorso ed intervento dei mezzi militari libici
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Rischia di essere respinto in Libia il barcone con oltre 300 migranti, tra i quali donne e minori, che da diversi giorni naviga nel mare in burrasca “scortato” dalla petroliera italiana Antignano. I governi italiano e maltese, piuttosto che effettuare un vero e proprio “respingimento” in acque internazionali, pratica illegale attuata su vasta scala nel corso dell’estate, stanno chiamando “in soccorso” un mezzo militare libico,che dovrebbe bloccare l’imbarcazione, trasbordare i migranti, in modo da impedire loro di raggiungere le acque territoriali e fare valere i loro diritti, di chiedere asilo, di fare valere la loro condizione di vittime del traffico, di minori, di donne abusate da trafficanti e poliziotti. In queste ore sono a rischio centinaia di vite, tra l’indifferenza dell’opinione pubblica italiana e il cinismo dei governanti che hanno concluso gli accordi di respingimento e di riammissione.

In caso di dirottamento o di trasbordo violento potrebbero esserci un numero incalcolabile di vittime, anche donne e bambini. Come riferisce la Repubblica nel pomeriggio di domenica 25 ottobre, “l`imbarcazione si trova in questo momento in acque Sar (ricerca e soccorso) di competenza maltese, ma le autorità dell`isola – secondo indiscrezioni raccolte alla Valletta – avrebbero autorizzato Tripoli a inviare la nave da guerra Al Hani per riportare in Libia gli immigrati”. Secondo il giornale, “tecnicamente non si tratterebbe di un vero e proprio respingimento, ma della rinuncia da parte dei Paesi dell`Unione Europea a prestare soccorso al barcone, delegando alla Libia ogni responsabilità”. In realtà si tratta di una vera e propria omissione di soccorso, considerando le condizioni del mare e la situazione dei naufraghi che dopo avere rischiato di annegare, potrebbero adesso essere ricondotti nei lager libici.

E qui ricorre anche una ulteriore violazione del divieto di respingimenti collettivi, sancito dall’art. 4 del Protocollo 4 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, perché i naufraghi avrebbero diritto di essere accolti da Malta o dall’Italia, paesi che hanno coordinato e gestito le operazioni di soccorso, e che in base al diritto internazionale del mare avrebbero l’obbligo di condurre i migranti verso un “place of safety”, un porto sicuro, che non è certo configurabile i Libia, sia per gli abusi che in quel paese vengono inflitti ai migranti, sia perché la Libia non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Nella mattina di domenica 25 ottobre la centrale operativa delle Capitanerie di Porto di Roma aveva inviato una nuova segnalazione alla Marina maltese, sollecitando l`intervento delle loro motovedette. Secondo i maltesi, tuttavia, i migranti a bordo del barcone non sarebbero stati in una situazione di pericolo e dunque da parte maltese non si è ritenuto necessario effettuare alcun intervento di soccorso.

Era stata la Guardia costiera italiana, dopo l`Sos lanciato con un telefono satellitare dall`imbarcazione, a dirottare venerdì sera nella zona, al confine tra le acque libiche e quelle maltesi, la petroliera Antignano. La nave, oltre a rifornire gli immigrati di viveri e generi di prima necessità, ha navigato a ridosso del barcone per proteggerlo dalle onde. Tra gli extracomunitari a bordo del barcone vi sono dei potenziali rifugiati, come alcuni profughi eritrei in grado di fare richiesta d`asilo. Se l’Italia ha assunto una responsabilità nella operazione di salvataggio del barcone proveniente dalla Libia, deve portare adesso a compimento tale azione garantendo lo sbarco dei migranti in un “porto sicuro”, dunque esclusivamente in Italia o a Malta.

Su questi fatti, alla luce dei protocolli e degli accordi sottoscritti dall’Italia con la Libia, dovrà indagare la Commissione Europea, in attesa che la magistratura italiana prenda atto che gli abusi ed i comportamenti omissivi commessi in acque internazionali da autorità statali, impegnate in attività di contrasto dell’immigrazione ”clandestina”, rientrano nella sua competenza, e configurano quantomeno una vera e propria omissione di soccorso. Ma vengono violati anche gli accordi internazionali, conclusi dall’Italia, almeno quelli che il Parlamento italiano ha potuto conoscere e ratificare. E non si comprende neppure che fine ha fatto la missione FRONTEX che dovrebbe avere la sua base a Malta. Una missione per contrastare l’immigrazione clandestina. Ma non evidentemente per salvare la vita umana in mare. Il primo Protocollo firmato a Tripoli nel dicembre del 2007 dall’allora ministro degli interni Amato non fa riferimento alla riconsegna di migranti imbarcati su unità italiane con il trasbordo su unità libiche, o addirittura con l’ingresso in un porto libico ( come avvenuto il 7 ed 8 maggio scorso), e anzi richiama espressamente come limite invalicabile il rispetto dei diritti fondamentali della persona sanciti dalle Convenzioni internazionali.

Nessuna clausola dei protocolli autorizza la riconsegna in mare ed il trasbordo dei migranti irregolari da unità militari italiane a mezzi della marina militare libica, come si verifica da oltre tre mesi, nelle forme di respingimento collettivo ed indiscriminato. E sarebbe ancora vano ricercare una base giuridica dei respingimenti collettivi verso la Libia nel “Trattato di amicizia” tra Italia e Libia, firmato nel 2008 da Berlusconi con Gheddafi, nel quale, in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare a mare, ci si limita a fare richiamo ai protocolli sottoscritti a Tripoli nel dicembre del 2007 da Amato e da Manganelli. Nessuna previsione dell’ “Accordo di cooperazione nel campo della lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, ed al traffico degli stupefacenti e sostanze psicotrope”, sottoscritto tra i due Paesi a Roma il 13.12.2000, al quale si fa riferimento nei protocolli firmati a Tripoli, autorizza la prassi dei respingimenti collettivi, come invece affermato ripetutamente dal Ministro dell’interno italiano agli organi di stampa nel corso dell’estate. In base all’articolo 2 del Protocollo firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007 dal ministro Amato, “l’Italia e la Grande Giamahiria organizzeranno pattugliamenti marittimi con 6 unità navali cedute temporaneamente dall’Italia.

I mezzi imbarcheranno equipaggi misti con personale libico e con personale di polizia italiano per l`attività di addestramento, di formazione, di assistenza tecnica all`impiego e manutenzione dei mezzi. Dette unità navali effettueranno le operazioni di controllo, di ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto di immigrati clandestini, sia in acque territoriali libiche che internazionali, operando nel rispetto delle Convenzioni internazionali vigenti, secondo le modalità operative che saranno definite dalle competenti autorità dei due Paesi”. In realtà, in base agli accordi conclusi da Maroni a Tripoli lo scorso febbraio, quelle imbarcazioni, come altre imbarcazioni militari libiche possono anche operare in acque internazionali, andando a “riprendere” i migranti che fuggiti dalla Libia stanno per raggiungere Malta o l’Italia, per chiedere asilo, o comunque per salvare la vita. Così i governi europei rimangono con le “mani pulite”, anche a rischio di commettere una vera e propria omissione di soccorso, come sta accadendo in queste ore. L’Unione Europea e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, organismo che fa capo al Consiglio d’Europa dovranno sanzionare l’Italia e Malta per la grave violazione dei doveri di protezione loro incombenti nei confronti di quanti sono intercettati, o meglio salvati, in acque internazionali, e che in ragione della loro provenienza o delle loro condizioni attuali non possono essere respinti verso la Libia. Non si tratta soltanto di richiedenti asilo, ma di tutte quelle persone che -se respinte in Libia- potrebbero essere esposte ad un “trattamento disumano o degradante”, vietato dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Il decreto del Ministro dell’interno 19 giugno 2003 (Misure su attività di contrasto dell`immigrazione illegale via mare), emanato in attuazione dell’art. 12, comma 9-quinquies T.U., introdotto dalla legge n. 189/2002, consente attività di pattugliamento di unità navali italiane anche al fine di rinviare imbarcazioni prive di bandiera nei porti di provenienza (non in qualsiasi porto), ma rispettando ben determinate procedure e comunque, in ogni caso, tutte le attività devono essere improntate “alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona” (art. 7), oltre al limite, invalicabile, del rispetto dei diritti umani nei termini ben definiti dal diritto nazionale, comunitario ed internazionale, nei termini seguenti. 1) se i migranti in navigazione si trovino in stato di pericolo ogni nave italiana ha il dovere di soccorrerli e di trasbordarli sulle unità navali italiane; infatti in base alla Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 (Marittime Search and Rescue Sar), a cui l’Italia ha aderito e ha dato esecuzione con legge 3 aprile 1989, n. 147, ogni nave italiana è obbligata a procedere alle operazioni di soccorso con trasporto dlegge 3 aprile 1989, n. 147,ei naufraghi nel caso verifichi lo stato di pericolo delle imbarcazioni dei migranti e ha l’obbligo di portarli in porto sicuro e dunque in Italia, essendo il luogo in cui le navi italiane sono autorizzate ad attraccare e dove gli stranieri possono essere protetti da gravi violazioni dei diritti umani e potrebbero presentare domanda di asilo politico e di protezione internazionale; anche quando una nave militare o in servizio di polizia prende misure di ispezione o controllo nei confronti di un’imbarcazione che è sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari ha comunque l’obbligo di assicurare l`incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo e l’applicazione del principio di non allontanamento e le altre norme della convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (così prevedono gli artt. 9 e 19 del Protocollo addizionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall`Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, ratificati e resi esecutivi con legge 16 marzo 2006, n. 146); L’art. 12 del Codice delle frontiere Schengen prevede che le autorità di polizia possano bloccare i migranti che tentano di entrare nel territorio di uno stato Schengen, ma secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia questo potere non può essere esercitato in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali va annoverato il diritto di chiedere asilo ed il diritto a non subire respingimenti collettivi.

Chiunque venga raccolto a bordo di una unità battente bandiera italiana in attività di controllo delle frontiere marittime, si trova in territorio italiano e se fa richiesta di asilo, o se si tratta di un minore, non può essere riconsegnato alle autorità di un paese terzo come la Libia, soprattutto quando non può essere stabilita la esatta provenienza delle persone raccolte in mare. Chi contravviene queste regole viola il diritto internazionale e questa stessa violazione andrebbe sanzionata anche dal giudice penale italiano quanto meno come abuso di ufficio, se non come omissione di soccorso o vero e proprio sequestro di persona. Sono forse queste le ragioni per le quali per giorni si è negato un intervento di assistenza, affidando ad una petroliera il compito di “spianare” il mare in burrasca, a lato del barcone carico di migranti, ed adesso si affida ai libici il “lavoro sporco” di effettuare concretamente la deportazione. Il principio di non refoulement ( non respingimento), sancito dalla Convenzione di Ginevra, vale anche in acque internazionali, ed anche quando c’è il rischio che le persone respinte verso un paese terzo come la Libia siano successivamente deportate verso i paesi di origine nei quali possono subire arresti arbitrari, torture o altri trattamenti disumani o degradanti. Una violazione del principio di non respingimento da parte di quei paesi come Malta e l’Italia che dovrebbero garantire soccorso ed assistenza, e non invece consentire deportazione ed arresti arbitrari. Per questo motivo chiamare le unità militari libiche per ricondurre i migranti che si trovano in acque internazionali equivale ad u respingimento collettivo vietato da tutte le convenzioni internazionali. Come è noto il leader libico Gheddafi è un grande amico ( oltre che di Berlusconi) del dittatore eritreo e la Libia deporta in Eritrea centinaia di giovani fuggiti per sottrarsi al carcere a tempo indeterminato che in quel paese sanziona chi non vuole subire la leva obbligatoria ( anche per le donne).

Carcere e torture sono confermati dai giovani della diaspora eritrea che hanno raggiunto l’Europa ed hanno ottenuto il riconoscimento dello status di asilo. Chiediamo alla Commissione Europea di fare luce sui rapporti tra le operazione dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere FRONTEX e le attività di pattugliamento congiunto e di respingimento collettivo poste in essere dalle autorità italiane e libiche. Chiediamo inoltre di conoscere le attività di salvataggio poste in essere dalle unità aero-navali di Frontex nelle acque internazionali e nella zona SAR di competenza della Repubblica maltese, anche con riferimento alla tragica vicenda tuttora in corso.

Chiediamo alla magistratura italiana ed agli organismi dell’Unione Europea di accertare ed eventualmente sanzionare l’inadempimento degli obblighi di protezione nei confronti delle persone in pericolo di vita a mare, poste in essere dalle autorità maltesi, o durante operazioni di pattugliamento o di salvataggio coordinate dalle stesse autorità nella zona SAR (Ricerca e soccorso) di competenza della Repubblica maltese. Attendiamo che le corti internazionali, e, sarebbe tempo, qualche magistrato italiano, trovino la forza e la coerenza per comminare al governo italiano ed al governo maltese, una condanna esemplare. Condanne e procedure di infrazione da parte della Commissione Europea che andrebbero estese ai responsabili operativi dell’Agenzia FRONTEX, ove se ne accertassero responsabilità omissive o violazioni delle normative comunitarie e/o internazionali.

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