Da subito inviata di guerra per raccontare gli orrori della Cecenia, le vergogne della Russia post-sovietica, la corruzione, le ingiustizie, i reati insabbiati e la perdurante impunità, Anna Politovskaja, la giornalista non rieducabile del quotidiano più audace di Mosca “Novaja Gazeta”, dal 7 ottobre 2006 non c`è più. Un colpo di pistola al capo e tre al petto nell`androne di casa sua, al ritorno dalla sua ultima spesa, hanno spento quel corpo, ma senza intaccare quello spirito che si è guadagnato l`onore di essere la speranza del popolo falcidiato della Cecenia e, come scrisse di lei Adriano Sofri, anche il riscatto dell`anima buona della Russia.
L`anima buona di una Russia schiacciata dal potere. Nessuna presenza istituzionale ai suoi funerali, tre giorni dopo, e una testata, “Novaja Gazeta” per cui lavorava, che ha continuato e continua a compiere il proprio dovere, indipendente e “solitaria”, che paga con le minacce e la vita dei suoi giornalisti il prezzo del diritto negato di raccontare la verità. Chi poteva volere la morte di Anna Politkovskaja? Forse il governo di Putin e i servizi segreti che aveva duramente criticato o il governo filorusso in Cecenia che aveva più volte denunciato per le violazioni dei diritti umani. Il processo iniziato nell`ottobre del 2008 è sfociato nella clamorosa assoluzione, lo scorso febbraio, dei due fratelli ceceni Dzahabrail e Ibrahim Makhmudov, imputati per il pedinamento e la guida dell`auto che trasportava il killer, e dell’ex poliziotto Sergei Khadizhiurbanov, accusato di aver organizzato il delitto.
Un terzo fratello, Rustam Makhmudov, era ricercato in quanto esecutore dell`omicidio. Un processo manipolato o realmente senza prove schiaccianti a sostegno di un`accusa su cui l`opinione pubblica non nutre dubbi? Notevoli perplessità riguardavano il libero e trasparente svolgimento del processo, mentre la testata “Novaja Gazeta” proseguiva in un’inchiesta parallela a quella ufficiale. A giugno una svolta. La Corte Suprema Russa ha accolto il ricorso della pubblica accusa. La sentenza di assoluzione è stata annullata e il processo si riapre. Ma per una condanna esemplare, come quella che ci si attende, sono necessarie prove inconfutabili. Intanto in Cecenia, il rapporto 2009 di Amnesty International, registra l`esistenza di fosse comuni, violazioni diffuse dei diritti umani come torture, arresti arbitrari, sparizioni, sgombri forzati, limitazioni di libertà. La Russia è anche nel focus della Corte Europea dei Diritti dell`Uomo che solo nel 2008 ha emesso sentenze per almeno trenta casi di violazione della Convenzione Europea. Il conflitto in Cecenia ha radici antiche nelle istanze indipendentiste di un popolo del Caucaso che avrebbe voluto autodeterminarsi, senza subire le vessazioni e l`ingerenza dell`Unione Sovietica, prima, e della Federazione Russa, la più grande per area geografica del mondo, dopo. Nell`ultimo ventennio il conflitto ha imperversato, mietendo vittime anche civili.
Ha avuto una battuta di arresto nel 1996 con un accordo che la Russia ha ritenuto di violare nel 1999 con una nuova invasione armata a seguito di alcuni bombardamenti e attacchi sferrati da guerriglieri ceceni a Mosca. La capitale cecena, Grozny, è stata in questi anni completamente distrutta, mentre civili continuano a pagare con la vita, o subendo abusi gravi, il prezzo di questo conflitto. Ma la Russia è anche parte attiva del mondo globalizzato dei gasdotti e il conflitto che ha insanguinato l`Ossezia del Nord, nell`agosto 2008, ne è prova. Un conflitto durissimo scoppiò, infatti, tra le forze armate russe e quelle georgiane per espellere queste ultime dall`Ossezia del Nord. Uno scenario violento legato alla costruzione di un gasdotto verso l`Europa e a due progetti che porterebbero energia in Europa ma con due percorsi differenti. Uno di questi estrometterebbe la Russia. Si tratta del “Nabucco” dal Mar Caspio e dal Medio Oriente che trasporterebbe gas fino all`Europa, in Austria attraverso la Turchia e usando la Georgia, mentre l`altro, quello caldeggiato dalla Russia e in cui anche l`Italia sarebbe coinvolta nella costruzione, il SouthStream, trasporterebbe gas dalle coste russe attraverso il Mar Nero, in direzione Bulgaria, distribuendolo poi attraverso l`Austria, la Grecia e l`Italia meridionale. L`Europa non è unanime circa il progetto da sostenere. Mentre la Russia sembra avere le idee chiare nel voler boicottare il “Nabucco” in favore del “SouthStream”.
L`obiettivo è quello di far passare il gasdotto dalla Russia e non dalla Georgia. Dunque nel Caucaso si registra una situazione di insicurezza e violazioni sistematiche di diritti umani le cui cause non sono di facile risoluzione. L`unica differenza rispetto a qualche anno fa, purtroppo, non è compiuta dal presidente Dmytri Medvedev, subentrato a Putin nel maggio 2008, ma solo dalla drammatica assenza di voci indipendenti dallo scenario delle cronache di quella terra martoriata. Si tratta delle voci di Antonio Russo, giornalista italiano e voce dei rifugiati kosovari ai tempi della pulizia etnica, ucciso a Tiblisi, in Georgia, nell’ottobre del 2000 e della voce di Anna Politkovskaja. Quel clima è fortemente teso, ora come allora. Lo attesta anche il comunicato stampa diramato oggi dalla sezione italiana di Amnesty International che enuncia preoccupazione e sollecita misure di tutela per i difensori dei diritti umani in Russia, considerati amici dei terroristi. Si legge testualmente che “Amnesty International continua a essere preoccupata per l´incolumita´ di esponenti di Memorial tanto nel Caucaso settentrionale quanto a Mosca. Akhmed Gisaev, poco prima dell´uccisione di Natalia Estemirova, stava seguendo insieme a lei il caso di una presunta esecuzione extragiudiziale in un villaggio ceceno.
Da allora viene pedinato e riceve minacce. Zarema Saidulaeva, presidente dell´associazione umanitaria Salviamo la generazione, e´ stata assassinata insieme al marito, Alik Dzhabrailov, l´11 agosto. I due sono stati sequestrati di fronte alla sede dell´associazione, a Grozny, da uomini che si erano qualificati come personale di sicurezza. Poche ore dopo, i loro corpi sono stati ritrovati nel portabagagli della loro automobile. A Makhachkala, capitale del Daghestan, e´ stato recentemente chiuso l´ufficio delle Madri del Daghestan per i diritti umani. Due esponenti dell´associazione, Svetlava Isaeva e Gulnara Rustamova, insieme ad altri attivisti, avvocati e giornalisti locali, sono stati additati con nome e cognome come sostenitori e fiancheggiatori dei gruppi armati illegali. Sui volantini distribuiti nella capitale si invitava ad eliminarli”. Necessario era dunque l’impegno e la denuncia di Anna Politkovskaja ed ecco perché restano integri e vivi lo spirito e la forza di Anna nella memoria di chi conosceva le battaglie che ogni suo scritto descriveva, restano nella denuncia delle ingiustizie in Russia portate alla ribalta internazionale, nei ricordi resi universali di piccoli eroi quotidiani come Malika Umazeva che, disarmata, si opponeva e si ribellava all`avanzamento dei carri armati russi nel suo villaggio. Anche lei non c`è più dal 2002. Non c`è più. Come Anna, come i colleghi di testata Sveta Orljuk, Igor Domnikov, Viktor Popkov, Jurj Scekocikin (presumibilmente ucciso), come Anastasia Baburova, uccisa nei mesi scorsi insieme all`avvocato per i diritti umani Stanislav Markelov.
Ma la morte ancora insegue in Russia buona di chi si impegna per affermare i diritti e la libertà; proprio lo scorso luglio è stata spezzata anche la vita di Natalia Estemirova, attivista per i diritti umani che operava nella Caucaso del Nord, rapita e uccisa a colpi di arma da fuoco nella vicina Inguscezia. Natalia assisteva gli sfollati e le minoranze, contribuendo in modo significativo alla documentazione delle violazioni dei diritti umani (maltrattamenti, torture, sparizioni ed esecuzioni extragiudiziali) in Cecenia dal 2000. Prima vincitrice del premio intitolato ad “Anna Politovskaja” nel 2007. Minacciata, rapita, umiliata, malvista dalle istituzioni, negoziatrice privilegiata con i guerriglieri ceceni, attesa dalle madri dei soldati e di giovani scomparsi e dalle tante persone che da lei ricevevano aiuti umanitari e riferimenti per un supporto legale, Anna Politkovskaja è stata uccisa perchè raccontava senza veli e senza paura. Assente forzata nel settembre 2004 alla strage di Beslan per tentato avvelenamento, documenta e media in occasione del sequestro dentro il teatro Dubrovka nel 2003. Lei c`era per testimoniare ciò che era più spinoso e scomodo, per raccontare quello che non si poteva accettare, dare voce a coloro che, pur non potendo decidere la storia, la subiscono.
Tutto ciò di cui scriveva era toccato con mano, le persone che si avvicinavano al suo microfono, rischiavano con lei. Una scelta di vita che l`ha condotta alla morte e che ancora oggi e` l`emblema della sfida ai governi che proibiscono di parlare, di raccontare, di criticare, di denunciare e di cercare e realizzare un cambiamento. Chi lo cerca diventa inconsapevolmente un eroe perchè trova o è trovato dal Bene, lo sceglie o non si sottrae dal perseguirlo fino in fondo. Esistono dei luoghi che chiamano a raccolta la memoria di tutte queste persone. Sono i Giardini dei Giusti dove per ogni persona che ha scelto il Bene si pianta un albero. Anche in Italia, Milano ne ospita e anche lì c`è un albero per Anna.