1. Come riferisce l’APCOM, sabato 26 settembre “nel corso del suo intervento conclusivo alla seconda Conferenza nazionale sull`Immigrazione, in corso all`Università Cattolica di Milano, il ministro dell`Interno, Roberto Maroni, è stato contestato da parte di un piccolo gruppo che, in Aula Magna, ha urlato: “buffone, no all`identificazione, no ai respingimenti”. Il ministro ha interrotto il suo discorso per un minuto per poi proseguire l`intervento. Il gruppetto di contestatori era formato da poco meno di una decina di donne, tra cui il consigliere al Comune di Milano di Rifondazione Comunista, Patrizia Quartieri. Le donne hanno iniziato a contestare il ministro dell`Interno quando questi ha cominciato a parlare del problema degli immigrati minorenni che arrivano nel nostro Paese non accompagnati. “Un problema che mi assilla”, ha detto Maroni, poi interrotto dalle urla: “Buffone, no all`indentificazione, no ai respingimenti”.
Uno dei tanti problemi che “assillano” il ministro. Un ministro sempre sull’orlo di una crisi di nervi, come è emerso con l’attacco (sostenuto anche da Schifani ed Alfano) ai giudici che invocano la Costituzione nella interpretazione delle recenti norme contenute nella legge 94 (pacchetto sicurezza), soprattutto per quanto concerne la introduzione del reato di immigrazione clandestina, un reato sul quale anche il Presidente della Repubblica aveva espresso perplessità, prima della promulgazione della legge. Adesso i giudici di diverse procure ( Bologna, Torino, Agrigento) sono accusati di commettere un reato solo perché hanno sollevato precise questioni di costituzionalità. Il Consiglio superiore della magistratura dovrà pronunciarsi al più presto per difendere la indipendenza della magistratura ed i valori fondanti della Costituzione, puntualmente attaccati dagli interventi e dalle esternazioni del ministro dell’interno. Un attacco eversivo rispetto al valore costituzionale della indipendenza della magistratura, perché è evidentemente mirato a condizionare nei prossimi giorni le decisioni dei giudici di pace sulle eccezioni di costituzionalità sollevate da diversi procuratori della Repubblica.
Maroni sembra “assillato” anche dai ritardi dell’Unione Europea in materia di immigrazione e controllo delle frontiere. I continui attacchi alla Commissione Europea, proprio mentre questa sta portando avanti i negoziati con la Libia ed altri paesi di transito, accrescendo le risorse dell’agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), sono un chiaro segnale dello scollamento tra il governo italiano, i suoi ministri e le istituzioni comunitarie. Ed anche un gesto di ingratitudine, dopo che il commissario Barrot in visita a Lampedusa a febbraio aveva chiuso un occhio sulle violenze subite dai migranti internati nel centro di detenzione di Contrada Imbriacola e sulle tragiche condizioni di quella struttura. Riamane adesso da vedere quali saranno le prossime mosse della Commissione Europea che, dopo un esposto presentato dall’ASGI, ha chiesto da tempo all’Italia informazioni dettagliate sulle pratiche di respingimento collettivo in Libia e sulle loro basi legali nel diritto interno.
Ma torniamo al problema dei minori non accompagnati che “assilla” tanto Maroni. Probabilmente il ministro si riferisce a quei pochi minori che riescono ancora a fuggire dalle coste libiche o dal porto di Patrasso e raggiungono le coste italiane senza essere respinti. Non si tratta certo dei minori respinti in modo sommario nelle acque del Canale di Sicilia verso la Libia, e qui le testimonianze non mancano, al punto che della questione si stanno occupando le Procure di Agrigento e di Siracusa. E forse qualche ulteriore “assillo” derivante da queste indagini ha spinto il ministro leghista ad alzare ulteriormente i toni della polemica nei confronti della magistratura, dopo che la Procura di Roma, qualche mese fa, lo aveva scagionato dalle denunce che erano state presentate per i respingimenti collettivi di migranti, tra i quali donne in stato di gravidanza e minori non accompagnati. Respingimenti sistematici effettuati dalle unità militari italiane che su disposizione del ministero dell’interno hanno caricato a bordo i naufraghi per “scaricarli” poi sulle banchine dei porti libici ( come avvenuto, e documentato, il 6 maggio scorso) o dopo, e certo più furbescamente, al limite delle acque libiche sulle motovedette ad equipaggio misto regalate dall’Italia a Gheddafi.
2. Altri “assilli” verranno presto al ministro Maroni, ed al governo italiano, perché la Corte Europea dei diritti dell’Uomo vuole vederci chiaro nei respingimenti collettivi di minori non accompagnati verso la Grecia, in particolare verso il porto di Patrasso, dalle frontiere marittime di Venezia, di Ancona, di Brindisi e di Bari. Nell`inverno dell`anno scorso, infatti, una piccola delegazione della rete di associazioni veneziane. Tuttiidirittiumanipertutti è ritornata da un proficuo viaggio in Grecia riportando un gran numero di dettagliate e documentate testimonianze sui respingimenti collettivi dai porti dell’Adriatico e sugli abusi subiti dai migranti..
Respingimenti collettivi che continuano a verificarsi ancora in questi giorni, nella censura militare più totale, e solo qualche trafiletto della stampa locale ne fornisce qualche volta notizia. E la sorte che attendono in Grecia le persone che vengono respinte dall’Italia, donne con i figli, minori non accompagnati, richiedenti asilo come Afgani e Irakeni è altrettanto drammatica della sorte dei migranti respinti in Libia. Forse non si registreranno casi di tortura, ma numerosi rapporti testimoniano da anni gli abusi e le violenze che i migranti, anche se minori non accompagnati, subiscono in Grecia ( come documentato da HYPERLINK “http://www.fortresseurope.blogspot.com” www.fortresseurope.blogspot.com ). Arivan Abdullah Osman aveva 29 anni. Lo polizia lo catturò all’interno del porto di Igoumenitsa. Era lo scorso 3 aprile 2009. Arivan stava tentando di nascondersi sotto un camion pronto a imbarcarsi su un traghetto diretto in Italia. Viaggiava senza documenti, era in fuga dal Kurdistan iraqeno. Quando la polizia lo acciuffò fu brutale. Testimoni oculari sostengono che gli agenti gli sbatterono con violenza la testa contro un blocco cemento. Un colpo fatale. Che gli causò un’emorragia interna e danni cerebrali irreversibili. Arivan è morto il 27 luglio, dopo quattro mesi di coma. Il ministro greco della Marina, Anastassios Papaligouras ha espresso il suo cordoglio per la vittima, e ha chiesto la riapertura del caso, visto che le indagini non avevano individuato nessun responsabile.
Percosse sistematiche da parte delle forze di polizia in Grecia, al punto che qualcuno è stato pure ucciso, come a Igoumenitsa, detenzione arbitraria in luoghi indegni di un essere umano, e dunque “trattamenti inumani e degradanti” vietati dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Trattamenti inumani o degradanti in Grecia, verso i quali l’Italia spinge le vittime dei respingimenti collettivi, invocando un accordo di riammissione con la Repubblica ellenica “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, sottoscritto a Roma il 30 marzo 1999, che consentirebbe un respingimento in frontiera “senza formalità”. Un accordo che comunque prevede la registrazione dei respingimenti e che contrasta con il successivo Regolamento Dublino ( n. 343 del 2003) e con i divieti di respingimento affermati dal diritto internazionale e dal diritto interno ( in particolare dall’art. 19 del T.U. n.286 del 1998).
Visto come l’Italia ha risposto alle istituzioni internazionali, negando anche l’evidenza, sui respingimenti collettivi verso la Libia, ed anche su questi casi sta indagando la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, possiamo attenderci altre menzogne sulle risposte che adesso Maroni dovrà fornire alla Commissione ed alla Corte. Del resto si potrebbe parlare ormai di “menzogne programmate”, come l’affermazione ( condivisa solo da Gheddafi) che in Libia non esistono richiedenti asilo, che a bordo delle imbarcazioni militari italiane in servizio di pattugliamento nel Canale di Sicilia nessuno fa richiesta di asilo, e ancora che alle frontiere portuali dell’Adriatico non arrivano richiedenti asilo, oppure che i servizi che operano alle frontiere portuali, come il CIR ad Ancona ed a Venezia, riescono a verificare la situazione di tutti coloro che esprimono la volontà di chiedere asilo. Il governo italiano vorrebbe fare credere che le associazioni convenzionate nei servizi di frontiera siano messe nelle condizioni di verificare la condizione di tutti i minori non accompagnati che si nascondono nei traghetti in arrivo da Patrasso, o di raccogliere la volontà di tutti coloro che intendono chiedere asilo.
Piuttosto che “assillarsi” del problema dei minori non accompagnati che riescono ad arrivare in Italia, e che spesso fuggono per la mancanza di prospettive nel nostro paese, o per il trattamento di polizia al quale sono stati sottoposti dopo l’arrivo, il ministro dell’interno farebbe bene a ricordare che l’interesse del minore è superiore a ogni altro elemento, come viene sottolineato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.10.1989, ratificata dall’Italia il 27.05.1991 con la Legge 176, dalla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei Diritti del Fanciullo adottata il 25.01.1996, ratificata il 4.07.2003 e dalla Convenzione dell’Aja del 29.05.1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata con Legge 31.12.1998 n. 476. In particolare l’art. 3 della Convenzione di New York stabilisce che “ in tutte le azioni relative ai fanciulli di competenza ……….delle Autorità Amministrative… l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente…”. E’ certo il ministro Maroni che le autorità di frontiera nei porti dell’Adriatico, al pari dei comandanti delle unità militari nel canale di Sicilia, abbiano agito sempre nel rispetto di questi principi ? Forse, farebbe bene ad “assillarsi” anche per le numerose testimonianze, supportate da fotografie e video che dimostrano l’esatto contrario.
La verità è un`altra ed il ministro farebbe bene ad “assillarsi” dopo la lettura dei dossier e la visione delle foto e dei video che documentano la sorte dei minori non accompagnati una volta che vengono respinti in Grecia. Una situazione ben nota ai vertici della nostra giurisdizione amministrativa, che però il ministro sembra ignorare. La sesta sezione del Consiglio di Stato (ordinanze del 3 febbraio 2009) ha disposto la sospensione del trasferimento in Grecia di tre giovani richiedenti asilo afgani, decretato dal Ministero dell’Interno ai sensi della Convenzione di Dublino (regolamento CE, nr. 343/2003). Come si legge nella pronuncia, la sospensione del trasferimento dei rifugiati afgani è stata decisa “alla luce dei danni paventati dal ricorrente, che si palesano gravi e irreparabili per come la situazione è rappresentata nel rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati pubblicato il 15 aprile 2008”. Il Consiglio di Stato ha dunque bloccato l’iniziativa del Ministero dell’Interno di allontanamento dall’Italia dei giovani afgani, in ragione delle note, ripetute ed ingiustificabili violazioni della normativa comunitaria e dei diritti umani perpetrate in Grecia.
3. Come si sta tentando di giustificare i respingimenti collettivi in Libia strumentalizzando la presenza dell’ACNUR ( Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), mentre la Libia non aderisce ancora alla Convenzione di Ginevra e questa organizzazione non riesce a trattare più di qualche centinaio di casi, grazie alla collaborazione dell’OIM, ben accreditata in Libia perché effettua i rimpatri “volontari”, la stessa operazione di mistificazione dei fatti si sta portando avanti da tempo con riguardo alla situazione delle frontiere portuali dell’Adriatico. Nei porti di Venezia e di Ancona sono infatti presenti gli operatori dell’associazione CIR, accreditata dal Ministero degli Interni per il lavoro di assistenza legale in frontiera, ma questi stessi operatori non hanno libero accesso alle navi, e il più delle volte, quando la polizia di frontiera o la guardia di finanza fermano i minori o i potenziali richiedenti asilo come gli afghani, li reimbarca immediatamente, senza neppure dare notizia dell’arrivo di persone che dovrebbero essere ammesse immediatamente alle procedure di protezione internazionale. E questa circostanza ad Ancona è stata accertata da diversi testimoni oculari, proprio nei luoghi di frontiera nei quali sono aperti, ad orari che spesso neanche coincidono con l’arrivo e la partenza dei traghetti dalla Grecia, gli uffici del CIR.
Le identificazioni dei minori e dei potenziali richiedenti asilo giunti nel porto di Venezia vengono svolte di norma nella zona di transito del porto all’interno di un fabbricato senza la presenza di interpreti, mediatori culturali e operatori legali. Nelle due stanze adibite all’identificazione i migranti, indipendentemente dal loro numero, vengono trattenuti per alcune ore e quindi rimbarcati. Nel caso in cui invece siano rintracciati dall’Autorità doganale o dalla Guardia di finanza i migranti vengono condotti all’interno di un grande capannone che si trova sempre all’interno del porto e che normalmente è adibito al controllo della merce in entrata. Sono quindi messi in fila appoggiati alle pareti e lì lasciati ad attendere per ore senza che vengano interpellati i servizi di accoglienza che sarebbero deputati ad intervenire.
Talvolta la scoperta dei “clandestini” avviene invece a bordo delle navi greche ormeggiate nei porti di Venezia ed Ancona ad opera del personale marittimo o della Polizia di frontiera italiana. In tali casi al CIR non è permesso l’accesso a bordo e, pertanto, è impossibile esercitare il benché minimo controllo sulle modalità di trattamento riservate ai migranti. E’ certo però che, una volta scoperti ed identificati in modo sommario, nella grande maggioranza dei casi la polizia procede al cd. “respingimento con affido” al comandante dello stesso vettore con cui i migranti sono arrivati. Tutti coloro che sono scoperti a bordo dei traghetti o subito dopo lo sbarco e riconsegnati dalle autorità italiane, vengono rinchiusi all’interno di spazi angusti con possibilità molto limitata di accedere ai servizi igienici. La cabine in cui i migranti vengono detenuti sono estese pochi metri quadrati e sono sovente vicine al vano motori dove si raggiungono temperature assai elevate. Al loro interno sono confinate anche decine di persone tra le quali ci sono spesso anche minori, donne e bambini. Il viaggio da Venezia alla Grecia ha la durata di 33 ore, quello da Ancona di 22 e quello da Bari di 17.
Durante tutto il periodo di trattenimento, che va dal momento del rintraccio dei migranti sulla banchina o all’interno del traghetto, fino al loro arrivo in Grecia, alla totalità dei migranti è negato l’accesso all’assistenza legale, la possibilità di comunicare con un interprete, la benché minima informazione sui propri diritti, e pertanto anche la possibilità di avanzare una richiesta di asilo politico. Non è consegnata loro alcuna informativa in merito alle procedure cui vengono sottoposti, tantomeno viene notificato loro un provvedimento di respingimento formale, scritto, motivato e tradotto avverso il quale poter proporre ricorso. Spesso dei respingimenti non rimane neppure traccia nei registri della polizia, come prescriverebbero invece la normativa italiana e il diritto internazionale. Sono queste le circostanze di cui il ministro Maroni deve rendere conto alla Commissione Europea ed alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e non vorremmo che i suoi “assilli” si trasformassero in altri tentativi di depistaggio o di occultamento delle responsabilità.
4. In particolare, per quanto concerne il Porto di Venezia, occorre segnalare che nel mese di novembre 2008 non si è registrato alcun intervento del Servizio di Accoglienza presso la Stazione Marittima, presso Porto Marghera né presso l’Aeroporto “Marco Polo”. Deve rilevarsi, però, che dalla stampa locale si è appreso “Scovati dieci profughi in un tir tra le casse anche un 13enne- Il minorenne è stato affidato ad una struttura protetta, gli altri immigrati sono stati espulsi” (Il Mestre, 12 novembre 2008, pag 24). In particolare l’articolo evidenziava che “I finanzieri durante un controllo ai mezzi e alle persone sbarcate dalla motonave Pasiphae Palace-Minoan Lines hanno notato un articolato carico di merce varia: il mezzo apparentemente sembrava a posto ma ad una verifica più attenta sono spuntati dal nulla 10 cittadini stranieri-8 afghani tra cui un minore, un iraniano ed un iracheno- che tentavano di sbarcare illecitamente in Italia. I clandestini, tutti maschi e privi di documenti, sono stati accompagnati dai finanzieri e dal personale della polizia di frontiera sulla motonave ed affidati al comandante per il successivo respingimento in territorio ellenico”.
In un altro articolo, “Infreddoliti dalla Grecia scoperti 16 clandestini” (Il Mestre, 3 dicembre 2008, pag 24) si evidenziava che “(…) Sono complessivamente 31 i clandestini scoperti nel mese di novembre mentre cercavano di entrare in Italia attraverso i porti di Venezia e Marghera”.
Non si può non rimarcare come la continua diminuzione degli interventi e degli utenti del Servizio di accoglienza nel porto di Venezia, evidenziata già nei mesi precedenti e che nel mese di novembre 2008 ha raggiunto il suo tasso più basso, pari addirittura allo zero, sia stata determinata anche dalla prassi illegittima secondo la quale è la polizia di frontiera a stabilire quando il Servizio può intervenire. Una prassi che probabilmente continua ancora oggi, e non si conosce la sorte degli ultimi arrivati Più specificatamente, gli operatori hanno accesso agli stranieri rintracciati in frontiera e possono svolgere il loro ruolo informativo solo quando ciò viene consentito dalla polizia.
5. Malgrado l’adozione del decreto legislativo 25 del 2008 sulle procedure per il riconoscimento degli status di protezione internazionale (emanato in recepimento della Direttiva europea 2005/85/CE), che dovrebbe sottrarre alla polizia di frontiera qualunque potere discrezionale nell’ammissione alle procedure di asilo e di protezione sussidiaria, accade ancora che lo straniero che attraversi irregolarmente una frontiera marittima entri in contatto esclusivamente con il personale di Polizia e possa essere accompagnato in frontiera senza riuscire a presentare domanda di protezione internazionale.
La presenza, nei servizi di frontiera di organismi terzi rispetto alla Polizia quali enti ed associazioni di tutela (ad esempio il CIR e l’ACNUR) non è, come detto, quasi mai garantita e, soprattutto, l’ente incaricato non è posto nelle condizioni di operare con piena indipendenza dal momento che il servizio prestato è presente solo nella misura in cui è “tollerato” dalla medesima Autorità di polizia. Ciò vale in particolare per la fase del primo contatto con lo straniero – che avviene ad esempio nell’area di transito aeroportuale, nel centro di prima accoglienza, spesso un tendone o un hangar, o ancora sulla nave all’attracco: tutti luoghi spesso preclusi all’accesso di enti terzi, con i pretesti più vari (motivi di sicurezza, natura extraterritoriale dell’area etc.).
La mancanza di soggetti che possano effettuare con tempestività un monitoraggio indipendente rende oltremodo difficile l’emersione di eventuali comportamenti illeciti da parte delle Autorità di polizia marittima, o della Guardia di Finanza, come si è verificato nel porto di Ancona, a Brindisi e a Venezia, e rende difficile altresì la stessa registrazione documentale delle prassi applicate dalla Polmare in violazione sostanziale, non solo del Regolamento Dublino n. 343/2003 e del codice delle frontiere Schengen, ma anche del principio di “non refoulement” sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
In base al Codice delle frontiere Schengen adottato con Regolamento comunitario n. 562 del 2006 inoltre, tanto alle frontiere esterne che alle frontiere interne si impone il rispetto dei diritti fondamentali della persona e si richiede alle autorità di polizia di osservare i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea, dalle normative comunitarie ed interne in materia di procedure di asilo e dalle Convenzioni internazionali. Si richiama in particolare il “Considerando” n.20 del Codice delle frontiere Schengen.
“(20) Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Dovrebbe essere attuato nel rispetto degli obblighi degli Stati membri in materia di protezione internazionale e di non respingimento.
Si richiama anche l’articolo 3 del Codice frontiere Schengen ( Regolamento 562/2006/CE)
“Art. 3 Campo di applicazione. Il presente regolamento si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio:
a) dei diritti dei beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione;
b) dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento.
Come è emerso anche nel corso di una recente trasmissione televisiva condotta dal giornalista Riccardo Iacona, non si ha neppure traccia dei registri che dovrebbero contenere l’elenco di tutti coloro che vengono respinti in frontiera, in base all’art. 10 comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998. La polizia di frontiera ha ammesso nel corso della trasmissione che altre autorità, come la Guardia di finanza, effettuano respingimenti in frontiera, magari sulla banchina del porto di Ancona, direttamente sulla nave traghetto, senza condurre le persone negli uffici di polizia e senza comunicare con le altre autorità l’elenco dei respingimenti effettuati. Una formalità, la tenuta dei registri dei respinti da parte delle autorità di polizia, che presuppone la identificazione personale di tutti i migranti e che se non venisse riscontrata confermerebbe il carattere di espulsioni collettive che può ravvisarsi nelle operazioni di respingimento in frontiera dai porti di Venezia, Ancona, Bari verso la Grecia.
6. E gli arrivi alle frontiere portuali dell’Adriatico continuano ancora in questi giorni. Come riferisce l’ANSA il 21 settembre “44 clandestini stipati nel doppiofondo di un tir che trasportava verdura, sono stati scoperti ad Ancona allo sbarco da un traghetto salpato da Patrasso. Sono tutti giovani uomini, in prevalenza pachistani, turchi e bengalesi, piu’ due minori adolescenti. Li hanno trovati gli agenti della Guardia di finanza e della Polizia di frontiera ispezionando l’automezzo. L’autista, un cittadino turco di 41 anni, e’ stato arrestato. I migranti verranno respinti, salvo i due minorenni, affidati al sindaco”. Non sappiamo che fine faranno coloro che sono stati destinatari di un provvedimento di respingimento, né se potranno difendersi davanti ad un giudice. Se non fosse impedito loro di presentare un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, molto probabilmente potrebbero restare in Italia, sempre che il nostro governo non continui a violare sistematicamente le decisioni di sospensiva delle espulsioni pronunciate dai giudici di Strasburgo ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo ( divieto di trattamenti inumani o degradanti) .
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Seconda Sezione, il 18 novembre 2008, ai sensi dell’articolo 39 CEDU ravvisava la possibile violazione dell’art. 34 CEDU e intimava allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Nella motivazione del provvedimento di sospensiva la Corte faceva riferimento ad una sua precedente decisione nel caso Mamatkulov et Askarov c. Turquie (requete n 46827/99 et 46951/99) paragrafi 128 e 129 e dispositivo numero 5, nella quale si sanzionava il mancato rispetto del diritto ad un ricorso individuale ai sensi dell’art. 34 del Regolamento di procedura della stessa Corte. Lo stesso diritto di ricorso effettivo negato ancora oggi ai migranti afghani ed irakeni respinti “senza formalità” dalle frontiere portuali dell’Adriatico verso la Grecia.
La Corte, considerava in particolare le notorie condizioni nelle quali si trovano i minori non accompagnati ed i potenziali richiedenti asilo, soprattutto kurdi, afghani ed irakeni, in Grecia, a Patrasso in particolare, detenuti in condizioni disumane ed esposti alle percosse della polizia greca, come censito da diversi rapporti di agenzie umanitarie, da Amnesty International alla tedesca Pro Asyl, e concludeva che il mero allontanamento indiscriminato, dai porti dell’Adriatico verso la Grecia, verificato talvolta anche ai danni di madri che accompagnavano i loro figli piccoli, si può configurare come un “trattamento inumano e degradante”, quale si è andato definendo in questi anni nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La corte concludeva osservando pure come nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Grecia da parte dell’Italia si potrebbe riscontrare infine una violazione del divieto di espulsioni collettive ( nelle quali vanno ricomprese anche i casi di respingimento) sancito dall’art. 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Prima di attaccare gli organismi comunitari e di disattendere le decisioni della Corte di Strasburgo, il governo italiano farebbe meglio a verificare il rispetto della legge e del diritto internazionale da parte dei suoi agenti preposti al controllo delle frontiere marittime in Adriatico. Se la giurisprudenza della Corte non muterà per ragioni sopravvenute si possono attendere altre condanne dell’operato del governo italiano in materia di respingimenti collettivi. E anche la Commissione Europea potrebbe aggiungere la sua disapprovazione. Ragioni che alimentano le posizioni isolazioniste ed antieuropee del ministro Maroni e dei suoi colleghi di governo.