La lunga notte di Sigonella

Il giallo di Sigonella, 24 ore per un inganno

Guido Ruotolo
  Il libro "Il mistero di Sigonella" di Roberto Pennisi, allora magistrato a Siracusa, ripercorre i misteri delle 24 ore in cui, secondo l`opinione corrente, l`Italia non si piegò agli Usa e Craxi tenne testa a Reagan. In realtà la legge non fu applicata, ad esempio non furono perseguiti gli americani responsabili di dirottamento aereo. Ma se l’Italia fosse stata davvero autonoma, nessun Paese straniero si sarebbe permesso di violare il nostro territorio in armi
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La telefonata, allora non esistevano i cellulari, gli arrivò a casa, alle due di notte: «Dottore, deve venire. E’ atterrato un aereo…». Roberto Pennisi era il sostituto procuratore di turno, a Siracusa. Si vestì, aspettò l’auto dei carabinieri e si mise in viaggio. Un’ora per arrivare a Sigonella. Entrò nella base, vide l’aereo, i militari americani che circondavano il velivolo, i carabinieri che circondavano a loro volta i militari a stelle e strisce. E per ventiquattr’ore fu testimone e protagonista nello stesso tempo dell’epilogo della drammatica vicenda dell’Achille Lauro, con la consegna dei quattro terroristi palestinesi, autori del sequestro e dell’omicidio del cittadino americano Leon Klinghoffer, ebreo.

Va bene, sono passati ventiquattr’anni dal dirottamento della nave da crociera italiana. I quattro colpevoli hanno scontato la pena. Anche il capo del commando, Youssef Maged al Molky, ha lasciato l’Italia, il primo maggio scorso, destinazione Damasco (lui non voleva andarci, convinto che sarebbe stato eliminato). Ma ancora oggi, nell’immaginario collettivo, quella vicenda viene tramandata come l’esempio di un Paese che mostrò gli attributi, che, per la prima volta, non si piegò ai desiderata degli alleati americani. Ancora adesso, e l’ultimo in ordine di tempo è stato Walter Veltroni, si ricorda lo «statista» Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, che seppe dire no a Ronald Reagan. «Di cosa può andar fiera una nazione – si domanda oggi il magistrato – che prende per i fondelli se stessa?».

Un grande inganno. Roberto Pennisi e Alessandra Nardini hanno raccolto in un libro, che uscirà a settembre – «Il mistero di Sigonella» (Giuffrè editore) -, i fatti accaduti in quell’arco di tempo di ventiquattr’ore. La testimonianza di Pennisi propone un’altra storia, che sintetizza così: «In quelle ventiquattr’ore si consumò una doppia privazione della sovranità nazionale del nostro Paese, sia da parte degli alleati americani – la limitazione in quel caso la subimmo – che degli interlocutori arabo-palestinesi, e in quel caso l’accettammo. Sia chiaro, posso pure capirne le ragioni, ma non posso giustificarle».

Questa privazione di sovranità ha a che fare con l’autonomia e la competenza della magistratura penale per i fatti criminali, messe in discussione: «In quelle ventiquattr’ore – spiega Pennisi – il pm doveva applicare la legge. E solo parzialmente è riuscito a farlo. Doveva individuare i responsabili del reato e assicurarli alla giustizia. E ciò non è avvenuto, perché non è riuscito a impedire che qualcuno dei sospettati, munito di salvacondotto, lasciasse il nostro Paese». Non solo, Pennisi avrebbe dovuto perseguire anche gli alleati americani, protagonisti di un dirottamento aereo, il velivolo egiziano doveva raggiungere Tunisi, dell’ingresso di un manipolo di militari, la Delta Force, in armi sul suolo italiano. E anche di sequestro di persona, i passeggeri del velivolo egiziano. Ma evidentemente non lo fece per motivi di opportunità: «Del resto, senza l’intervento americano come avremmo potuto arrestare i sequestratori?».

Abu Abbas in realtà non era il mediatore indicato dal leader dell’Olp Arafat per risolvere la «crisi», era il capo dell’organizzazione – che faceva riferimento allo stesso Arafat – del gruppo di terroristi che dirottò l’Achille Lauro. Allora, in quelle ventiquattr’ore, il pm Pennisi ebbe la consapevolezza che in quell’aereo egiziano poteva trovare le risposte a tanti «misteri», dal momento che «sin dall’inizio non quadrava un bel niente». Dice Pennisi: «Comprendo le ragioni del governo, preoccupato a salvaguardare la sicurezza nazionale ma non le posso giustificare anche perché non fu pagante proprio dal punto di vista politico. Solo due mesi dopo Sigonella, la nostra sovranità nazionale fu nuovamente violata».

Era il 27 dicembre del 1985. Aeroporto di Fiumicino. Un commando di terroristi palestinesi, gruppo Abu Nidal, attacca le compagnie aeree israeliana (El Al) e americana (Twa). Bilancio: 13 morti e 80 feriti. «E’ vero che si trattava di un’altra fazione palestinese – commenta Pennisi – ma ciò non toglie che ancora una volta la sovranità nazionale era stata tragicamente violata».

La suggestione è forte, e Pennisi accenna a un parallelismo con le antiche vicende palermitane tornate d’attualità in queste ore: «A questo punto che differenza c’è tra la trattativa con gli americani e i palestinesi e la trattativa con Cosa Nostra? Perché non si trattava anche con la mafia di evitare altre stragi?».

Naturalmente, la sua è un’osservazione paradossale. E però affonda la lama, Pennisi: «Se l’Italia fosse stata davvero autonoma, nessun Paese straniero si sarebbe permesso di violare il nostro territorio in armi. Nessuno avrebbe mai neppure immaginato di fare ciò che è successo a Sigonella in Paesi quali la Francia, l’Inghilterra, persino la Spagna. E non è stata forse violazione la mancata possibilità di applicare la legge?».

Diciamo la verità, quel che non ha mai mandato giù Pennisi è che alla fine è stato una comparsa, anzi è diventato un alibi della diplomazia italiana, di Bettino Craxi e Giulio Andreotti: «Vissi quella storia come un qualcosa che si è consumato sulla mia pelle di magistrato». Di tutta quella vicenda, cosa le rimane nella sua colonna sonora interiore: «Una frase che si legge nei Vangeli: “Il sangue di questo innocente ricada su di noi e sui nostri figli”».

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