Amal e Adil hanno 26 anni e sono africani. Sono tra le 500 persone che l’Italia ha respinto verso la Libia senza valutarne la situazione individuale nel maggio scorso. Di loro ci racconta, sull`ultimo numero del settimanale “Internazionale”, il giornalista francese Francois De Labarre. Amal e Adil hanno viaggiato per mare un tempo indefinito per arrivare in Europa senza che la meta prefigurata, Lampedusa, fosse mai raggiunta perchè ad un tratto la rotta è stata cambiata e ha segnato direzione sud: Tripoli.
Fathi El-Jahmi, era un dissidente politico libico confinato in Giordania dopo una lunga prigionia in Libia. E’ morto in circostanze sospette nel maggio scorso e adesso suo fratello Mohamed non si rassegna e chiede giustizia. Muhammar Gheddafi, leader politico tra i più lontani dall’essere emblema di democrazia: leader che governa la Libia, sempre lui, da quarant’anni dopo aver guidato la rivoluzione che spodestò il monarca Idris nel 1969. Del suo viaggio in Italia hanno parlato le cronache di tutti i giornali. Persone e storie, molte sconosciute e una più nota, che hanno un tratto comune in questo frangente storico in cui il governo italiano affida migliaia di persone, tra cui anche Amal e Adil, alla Libia guidata da Gheddafi e segnata da processi iniqui, specie per reati di opinione come quello di Fathi, e da un accordo con l’Eritrea e il suo dittatore Afeworki per la riconsegna di chi lascia il paese. C’è anche il coraggio di avere pudore nel definire questo accordo clandestino, perché ormai clandestine sono solo le persone disperate che si imbattono sulle coste italiane.
Amal e Adil sono due dei passeggeri del viaggio inaugurale della nuova politica di immigrazione italiana incentrata sulla prevenzione degli sbarchi sulle coste italiane attraverso il dirottamento nella capitale libica delle stesse imbarcazioni. Forse questo l`unico risultato ottenuto dalle bacchettate dell`UE circa la violazione del principio di non respingimento sistematicamente ignorato dall`Italia fino adesso. Invece di respingerli, ci occupiamo direttamente di condurli in Libia senza farli passare dall`Italia. Ovviamente si tratta di cittadini extracomunitari che non hanno un titolo per entrare in Italia perchè in Europa ormai è quasi impossibile entrare regolarmente se non provieni da un paese comunitario. Si tratta di cittadini extracomunitari cui, cosa che desta molta meno attenzione, è negato il diritto di lasciare un paese che non garantisce loro niente o che nega loro i diritti fondamentali. Questa la nuova politica suggellata dalla visita in Italia di Gheddafi, accolto dalle massime autorità istituzionali del nostro paese. Troppo impegnati nella celebrazione di un perdono radicato nel passato coloniale. Grande risonanza per il personaggio, più volte ostentato dal leader libico come il famoso eroe antitaliano Omar al-Muktar, il simbolo di una storia di dominatori e dominati, i cui effetti sono ancora in molte parti del mondo devastanti.
Momento strategico per accordi sulle fonti di energia non rinnovabili quali gas e petrolio di cui è ricca la Libia, paese presidente di turno dell’Unione Africana, partecipante al G8 del prossimo 8 luglio a l’Aquila e unico paese a non avere ceduto i proprio pozzi petroliferi ad un paese occidentale. Proprio in questa ottica è opportuno ribadire che la Libia si è proposta come acquirente di una quota dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) di cui è il maggiore paese produttore e dove si estraggono 300 mila barili al giorno. La quota da acquistare sarebbe pari al 3%, la quarta dopo quella dello Stato (Tesoro 27,3% e Cassa Deposito e Prestiti 9,9%) e quella di un fondo americano pari a poco più del 2%. Un progetto che porterà gas in paesi come il Ciad e il Niger. Nessuno si interroga, tuttavia, sull’impatto ambientale di tale attività nei luoghi in cui avvengono le estrazioni e sull’insicurezza che tali stabilimenti creano per la popolazione locale. Per non parlare della ricchezza che ne deriva ma a cui non hanno accesso le persone che ci lavorano (milioni di euro di utili all’anno a fronte di milioni di persone in stato di povertà e senza accesso alle cure mediche). Uno degli esempi più devastanti può essere dato dalla Nigeria e dall’esplosione dell’oleodotto che nel gennaio di due anni costò la vita di quasi trecento persone.
Ma torniamo all’immigrazione. La visita di Gheddafi è stata occasione perfetta per rinsaldare il trattato, nuovamente messo a punto nell`agosto del 2008, tra il governo Berlusconi e quello di Gheddafi per il contrasto dell`immigrazione clandestina. Poste a disposizione navi italiane per trasportare cittadini extracomunitari direttamente in Libia e consegnate motovedette della Guardia di Finanza per pattugliare le coste. Su una di queste navi, lo scorso maggio, viaggiavano Amal e Adil soccorsi in mare aperto e dirottati in Libia. Un Trattato che, tuttavia, non libera l’Italia dalla responsabilità per ciò che avverrà a queste persone forzatamente tradotte nel paese africano. Ma nessuno sembra affrontare questo aspetto. Nessuno si preoccupa della responsabilità italiana e di quella libica, ma in compenso tutti parlano di responsabilità dell’Unione Europea, anche lo stesso Gheddafi che non si risparmia affermazioni del tono “il problema del diritto di asilo è una menzogna”, “in Africa non ci sono problemi politici” o ancora “senza una efficace difesa dall’immigrazione in Italia presto potrebbe esserci bisogno di un dittatore”.
Tra le numerose conferenze e gli innumerevoli incontri quale lo spazio per fare il punto sugli standard dei diritti umani in Libia, sulle condizioni dei centri di detenzione in cui vengono tradotti i cittadini extracomunitari che in Italia sono sistematicamente clandestini e forse saranno rei? Neanche un momento per fare chiarezza su un trattato che impegna la Libia a coadiuvare l’Italia nella gestione dell’immigrazione ma che non ha neanche posto come condizione necessaria che la Libia sottoscrivesse la Convenzione Onu sullo status di Rifugiato. Cioè il trattato non contempla l’assicurazione e la garanzia di diritti fondamentali delle persone che sistematicamente vengono respinte verso un paese in cui i migranti illegali sono detenuti in stato di sovraffollamento. Verso un paese in cui gli stessi migranti rimangono fuori da meccanismi legali cui, per altro, la Libia non si è ancora allineata. Verso un paese che dimostra di perseguire i dissidenti politici con detenzioni arbitrarie, torture, maltrattamenti e sparizioni.
Trattandosi di cittadini extracomunitari forse il governo italiano si accontenta di una promessa formulata dall’ambasciatore libico in Italia, Hafid Gaddur, secondo la quale la Libia adotterà la Convenzione e si doterà di una legge sul diritto di asilo. Quando? Non c’è stato neanche il tempo, in questi giorni di visita, per strappare a Gheddafi un impegno ufficiale in materia. Intanto la macchina dei respingimenti è già partita perché c’è emergenza, perché l’Italia è un paese di frontiera, perché l’Italia è stata lasciata sola dall’UE nella gestione di questo fenomeno. Questo giustificherebbe la violazione costante di diritti umani. Dunque un trattato che ha una veste di legittimità il cui fondamento in realtà non esiste. Nessuna richiesta, nessun commento in materia se non quello delle Ong, tra cui Amnesty International che ha da poco condotto una missione in Libia e alla quale non è stato consentito l’ingresso nel centro di detenzione più terribile, quello di Kufra. Le preoccupazioni del movimento di difesa dei diritti umani aumentano quando la ricercatrice Giusy D’Alconzo denuncia che non vi sono in Libia organizzazioni che tutelino efficacemente i diritti umani e che quelle che operano, non hanno riconoscimento alcuno dalle autorità. E’ il caso dell’Acnur, come evidenziato dalla portavoce in Italia Laura Boldrini, che subisce forti limitazioni nelle sue attività di sostegno ai rifugiati. A fronte di questa ingerenza o indifferenza delle istituzioni libiche, il premier Berlusconi invece garantisce che la richiesta di asilo in Italia può essere inoltrata su suolo libico tramite l’agenzia Onu in loco.
Intanto Gheddafi tende la mano all’Italia per contrastare l’immigrazione illegale e nel tenderla, con decisione, afferma che ci vogliono tanti miliardi per arginare i flussi. Uno spirito di solidarietà spiccato. Peccato che non dimostri la stessa solerzia nel rispondere alla rogatoria internazionale inviata lo scorso dicembre dalla DDA di Bari con riferimento alla tratta di giovani schiave, tra cui anche ragazze minorenni, che nel viaggio dalla Nigeria all’Italia transitano in Libia. Forse non conviene collaborare con la magistratura come conviene collaborare con i governi. E questo il colonnello lo sa bene.