Il Corriere della Sera di venerdì 9 giugno espone il programma della prossima visita di Gheddafi in Italia, mentre il ministro Maroni annuncia di avere conseguito, grazie all’impegno della Libia, “successi storici” nella “lotta all’immigrazione clandestina”. In cambio della “collaborazione” libica, che si sta traducendo nell’arresto e nel blocco di centinaia di migranti, in gran parte potenziali richiedenti asilo, compresi donne e minori in attesa di imbarcarsi per l’Italia, Gheddafi ha ottenuto una legittimazione internazionale straordinaria. Il leader libico sta imponendo alle autorità italiane una serie di iniziative pubbliche che dovrebbero sancire anche a Roma il suo ruolo di “difensore dei diritti umani”, il giorno prima che l’Università di Sassari gli conferisca la laurea “ad honorem” in giurisprudenza. Una laurea con la quale si sono espressi invano centinaia di docenti universitari. Una laurea che costituisce uno sfregio per la dignità di tutti i migranti vittime della violenza e della corruzione della polizia libica.
Si profila dunque un incontro con gli studenti, alla Sapienza, nell’aula magna del rettorato, e poi una iniziativa con le donne italiane, nel corso della quale Gheddafi siederà accanto ad una esponente della Confindustria ed al sindaco di Milano Letizia Moratti. E poi incontri con gli ebrei e con una rappresentanza degli italiani espulsi nel 1970 dalla Libia, e infine una rimpatriata con gli amici di sempre, da Pisanu, ex ministro dell’interno, autore delle espulsioni collettive da Lampedusa nel 2004, denunciate anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, a D’Alema, ex ministro degli esteri e vero regista dei protocolli firmati a Tripoli nel dicembre del 2007, accordi che sono stati espressamente richiamati, nell’agosto del 2008, all’interno del Trattato di amicizia italo-libico. Un perfetto esempio di continuità bipartisan di cui gli elettori farebbero bene a ricordarsi al momento di votare. Almeno quelli che ancora danno una qualche importanza alle regole di solidarietà e di convivenza democratica richiamate dalla Costituzione.
Una visita, il “viaggio in Italia” di Gheddafi, che sarà utilizzata dal governo italiano e dalle autorità libiche per dimostrare la legittimità dei respingimenti collettivi e della esternalizzazione delle frontiere, una occasione per rassicurare gli italiani, “assetati” di sicurezza, ed ormai assuefatti al dilagante razzismo istituzionale. Il messaggio sarà chiaro a tutti, i controlli alle frontiere adesso funzionano grazie alla collaborazione delle autorità di polizia nei paesi di transito e per i clandestini non c’è scampo. E non mancherà certo chi cercherà di usare i risultati elettorali delle elezioni europee per sancire una legittimazione formale per scelte, come i respingimenti collettivi verso la Libia, o la esternalizzazione delle procedure di asilo, che non trovano alcuna giustificazione nei trattati internazionali e nella nostra Costituzione.
In realtà queste scelte vengono da lontano, e sono sostenute dall’attuale governo italiano con tanta determinazione perché si collocano nell’alveo di una continuità sostanziale nella politica estera nei confronti della Libia. Una politica inaugurata da Prodi nel 2004, quando era ancora presidente della Commissione Europea, e proseguita poi fino ad oggi, malgrado il provvisorio cambio di governo nel 2006. L’Italia è stata la principale responsabile delle iniziative che hanno portato alla eliminazione dell’embargo deciso nei confronti della Libia per il sostegno dato negli anni ’80 al terrorismo internazionale e mantenuto poi per il mancato rispetto dei diritti umani. Un impegno, quello dei governi italiani a favore della Libia, che è stato giustificato con gli importanti accordi economici su gas e petrolio conclusi con quel paese, malgrado le agenzie umanitarie e persino le relazioni dei servizi segreti confermassero, nel 2005, e poi negli anni successivi, le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni dei migranti in transito e degli oppositori politici.
Una politica bipartisan nei confronti della Libia che prosegue ancora oggi, come documentato dal voto del Parlamento italiano, a febbraio, sul Trattato italo libico sottoscritto lo scorso anno da Berlusconi e da Gheddafi. Quel voto, che ha visto il coinvolgimento di buona parte dell’attuale “opposizione”, ha legittimato, ben al di là del contenuto formale degli accordi, le pratiche illegali di respingimento collettivo verso la Libia che persino le Nazioni Unite hanno severamente condannato- Adesso si sta cercando di spingere la Libia verso una adesione formale della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, senza curarsi di fornire garanzie effettive sul rispetto dei diritti umani in quel paese.
E la copertura dell’alleato libico continua e si esalta ancora in questi giorni, nei quali l’Italia si è fatta portavoce delle richieste di Gheddafi nei confronti dell’Unione Europea. E non sono mancati gli spot elettorali che hanno utilizzato la collaborazione con la Libia per dimostrare i successi della politica italiana di contrasto dell’immigrazione clandestina. Soltanto una ferrea censura bipartisan sulla sorte dei migranti bloccati o respinti in Libia, sta consentendo al governo italiano di incassare i risultati delle sue ennesime menzogne elettorali, sulla pelle dei migranti rinchiusi nelle carceri libiche, ma anche sulle spoglie di quello che rimane dello stato di diritto in Italia, e quindi a danno dei cittadini italiani, almeno di quelli che trovano ancora importante vivere in un paese democratico.
Si può essere certi che non appena saranno passate le elezioni, gli arrivi sulle coste italiane ( e le partenze dalla Libia) riprenderanno come prima, magari le rotte saranno ancora più lunghe, le imbarcazioni sempre più piccole, e di tanti migranti non si saprà più nulla perché finiranno il loro viaggio inghiottiti dalle onde. Non sappiamo proprio fino a quando Lampedusa resterà quella “oasi “di tranquillità garantita dalla presenza di migliaia di militari in armi, mentre ai mezzi della marina è stato imposto di ridurre la loro attività nel Canale di Sicilia e di stringersi attorno all’isola per impedire la prosecuzione degli sbarchi.
Gli sbarchi riprenderanno anche perché l’Unione Europea ha già risposto negativamente alla richiesta di Gheddafi, sponsorizzata dal governo italiano, per ottenere altri fondi in cambio della sua ulteriore “collaborazione” nell’arresto dei migranti irregolari e nel blocco delle partenze dei barconi.
Le retate dei migranti in territorio libico faranno passare in secondo piano i respingimenti collettivi a mare, privi di una qualsiasi base legale, sui quali sta indagando la Procura di Roma. Sembra ben difficile, a questo punto, che si possano ripetere altre operazioni di respingimento collettivo verso i porti libici da parte delle unità della marina militare italiana. I libici non gradiscono troppo che forze militari di altri paesi entrino nel loro spazio territoriale. Attendiamo con ansia quanto promesso da Maroni, di conoscere l’elenco delle operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina (meglio dire retate) condotte in questi giorni dalla polizia libica, veri e propri rastrellamenti ai danni di potenziali richiedenti asilo, donne e minori, con conseguenze sulle persone e sulla loro dignità che è facile immaginare. Anche l’ultimo rapporto della visita di Amnesty in Libia, di maggio scorso, non contiene elementi rassicuranti. Che fine fanno i migranti irregolari fermati dalla polizia libica?
Di certo, queste attività di contrasto dell’immigrazione clandestina in territorio libico non continueranno a lungo, quando i libici si accorgeranno che i soldi per i rimpatri sono finiti. L’Unione Europea non ha nessuna intenzione di sostenere politiche di rimpatrio sempre più onerose, dalla Libia verso i paesi di origine, vero nodo di fronte al quale si arrestano tutti gli inasprimenti dei controlli di frontiera. Forse quelle risorse, che non arriveranno da Bruxelles, saranno richieste ai contribuenti italiani, o alle imprese italiane che lavorano in Libia, come previsto dalla legge di ratifica del Trattato di amicizia italo-libico firmato a Tripoli lo scorso anno.
Gli apparenti “successi” conseguiti con la Libia, con il blocco degli arrivi a Lampedusa ( dal 23 maggio, dopo un incremento impressionante nei primi quattro mesi dell’anno) non possono fare dimenticare i fallimenti ripetuti delle politiche italiane in materia di asilo ed immigrazione. Gli accordi con la Tunisia e con altri paesi di transito sono praticamente falliti, o funzionano a rilento, come nel caso dell’Egitto. La ridotta “capacità espulsiva” dell’Italia, soprattutto dopo il prolungamento a sei mesi del trattenimento, farà esplodere i centri di detenzione amministrativa, i famigerati CIE, che fanno tanto schifo anche a Berlusconi, che li definisce simili a lager. Quasi tutte le regioni italiane si stanno opponendo all’apertura di nuovi CIE. La situazione nelle carceri è intollerabile e presto altre migliaia di migranti irregolari potranno esservi rinchiusi per il mancato rispetto dell’ordine di allontanamento. Non sappiamo neppure se tutto quello che è previsto nel disegno di legge sulla sicurezza, un ulteriore inasprimento anche rispetto alla Bossi-Fini, verrà approvato, una volta che gli italiani avranno votato per gli “imprenditori della paura”.
Subito dopo le scadenze elettorali si profilano altri scontri, veri e propri regolamenti di conti, all’interno della maggioranza, proprio in materia di immigrazione ed asilo. Per questo sarebbe importante che un vasto fronte sociale costringa i rappresentanti della opposizione ad una politica meno collaborativa rispetto alle scelte internazionali del governo in carica.
La “sicurezza” degli italiani continuerà a peggiorare, con il venir meno delle residue possibilità di coesione sociale, come dimostrano anche i più recenti fatti di cronaca, e soprattutto come dimostreranno a fine anno le statistiche sulla criminalità straniera, e sull’aumento esponenziale della clandestinità.
I dati attualmente disponibili, malgrado il blocco del Canale di Sicilia, sono sempre più preoccupanti. Evidentemente la chiusura della rotta di Lampedusa, se farà crollare il numero dei richiedenti asilo che riusciranno a raggiungere le coste italiane, su cinque milioni di immigrati presenti in Italia appena qualche decina di migliaia di persone che notoriamente non delinquono e che costituivano fino allo scorso anno l’ottanta per cento degli sbarchi, non intaccherà certo il numero di coloro che diventeranno clandestini, centinaia di migliaia di persone, o che faranno comunque ingresso irregolare dalle frontiere terrestri, l’ottanta per cento degli ingressi irregolari di cui nessuno parla.
La visita di Gheddafi in Italia, al di là delle celebrazioni ufficiali bipartizan, costituirà comunque per molti italiani una occasione per riflettere sul rispetto dei diritti umani che il governo italiano dovrebbe garantire, e pretendere dai propri partner. Di fronte alle tragedie umane che si consumano in Libia non si può continuare a fare finta di niente, n nome delle commesse commerciali e del flusso di finanziamenti libici che sta invadendo l’Italia, probabilmente anche nel campo della informazione giornalistica, a vedere la linea sulla visita di Gheddafi seguita da alcune testate storiche. Si trascura la verità dei fatti e la denuncia delle tante storie individuali, come quelle documentate dal film “ Come un uomo sulla terra”. Un film che sarà proiettato in decine di città italiane proprio nei giorni della visita di Gheddafi in Italia, nell’ambito della campagna nazionale “IO NON RESPINGO”, perché nessuno possa dire in futuro : io non sapevo.
Chi sono questi fastidiosi “professionisti dell’antirazzismo”, come dice Maroni con aria minacciosa, che predicano ancora il rispetto del principio di legalità, che osano parlare di diritto di asilo e di principi di solidarietà, che si indignano quando chi ha coperto le più gravi violazioni dei diritti umani, perpetrate da una polizia corrotta e violenta, spesso collusa proprio con i trafficanti di uomini, viene accolto in Italia con tutti gli onori, al punto da conferirgli una laurea “honoris causa” in giurisprudenza ? Dal Sudan al Niger, fino alla Somalia e all’Eritrea, l’elenco delle collusioni internazionali del regime libico con paesi che non garantiscono i diritti umani è assai lungo. E che nessuno ricordi a Gheddafi la questione del Darfur o l’esistenza della Corte Penale internazionale, sulla quale il leader libico si è espresso in termini che non danno adito ad equivoci.
Ma di cosa dovremmo stupirci ancora? L’Italia, non rimane il paese delle stragi di stato rimaste senza colpevoli, non è il paese delle impunità per i massacratori di Genova, durante il G 8 del 2001, non è forse il paese che non è riuscito ad inserire nella sua legislazione il reato di tortura, non è forse il paese che espelle in Tunisia persone che vengono sistematicamente torturate, malgrado i divieti e le sospensive emessi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo ? Non è forse l’Italia il paese che respinge verso un altro inferno, quello di Patrasso, centinaia di giovanissimi migranti afghani e irakeni che le autorità greche consegneranno alla Turchia, che poi a sua volta li rimanderà nell’inferno dal quale sono partiti?
Insomma che cosa ci si può aspettare da questa Italia che ha deciso di diventare il paese leader nelle politiche comunitarie sulla sicurezza ? Quale consorteria di egoismi è diventata l’Unione europea, con il suo braccio armato FRONTEX, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne, una “europa” davvero minuscola, dove le destre xenofobe e razziste avanzano ad ogni scadenza elettorale, senza trovare più argini politici e culturali, mentre appare evidente che la discriminazione e la esclusione costituiscono l’unico minimo comune denominatore tra i governanti europei di diverso segno politico.
Anche nei giorni della visita di Gheddafi in Italia si dovrebbe ricordare che la difesa dei diritti fondamentali dei migranti, la lotta contro tutti i generi di discriminazione, ed il rispetto dei trattati internazionali, del diritto comunitario e della Costituzione italiana, che riconoscono il diritto di asilo e la protezione internazionale dei rifugiati, sono strumenti essenziali per garantire la legalità costituzionale e la sicurezza di tutti. E forse anche per dare un futuro all’Unione Europea prima che gli egoismi nazionali finiscano per prevalere.
Le scelte liberticide e proibizioniste dei governi che chiudono ai migranti le vie di ingresso legale ed effettuano respingimenti collettivi, vietati a livello internazionale, verso i paesi che non rispettano i diritti dell’uomo, ed in particolare il diritto di asilo, costituiscono un regalo fatto alle mafie che speculano sulla domanda di mobilità delle persone, con frequenti collusioni tra le organizzazioni criminali e le autorità che nei paesi di transito sono preposte ai controlli di frontiera.
Con tutte le nostre forze ci schieriamo contro la legittimazione che si vorrebbe offrire, da diverse parti dello schieramento politico, a Gheddafi nel suo “viaggio in Italia”, un viaggio che si annuncia come una carica violenta di chiusura nei confronti dei migranti, piuttosto che come il messaggio di pace che appare in superficie. Una carica di violenza che frantuma la residue possibilità di accoglienza e di coesione sociale in Italia e salda le politiche discriminatorie e di esclusione a livello interno, con le pratiche di respingimento collettivo adottate alle frontiere marittime. Un attacco, questa visita, ai corpi ed alla dignità dei migranti, una minaccia che sentiamo rivolta direttamente anche nei nostri confronti.
Non respingiamo i migranti verso l’inferno libico e non respingiamo gli immigrati già in Italia verso i ghetti dell’esclusione sociale come sta facendo in questi mesi il governo con la introduzione del reato di immigrazione clandestina. Le politiche segregazioniste agevolano lo sfruttamento e il lavoro clandestino, fino a casi sempre più gravi di vera e propria schiavitù, una schiavitù che assomiglia sempre di più a quella imposta in Libia ai migranti in transito.
Per battere questi pericoli per la vita dei migranti, ma anche per le libertà democratiche di tutti, pericoli che saranno resi più evidenti durante il viaggio di Gheddafi in Italia, anche a fronte dei prevedibili risultati elettorali, occorre una mobilitazione straordinaria, la ricostruzione di legami sociali dal basso, una pratica quotidiana dell’incontro e della condivisione tra chi agisce nelle lotte sociali e le comunità migranti.