Quando, molto di rado, vengo a Rosarno e vedo migranti agli ingressi ed in altri luoghi del paese, mi ritornano in mente anni lontani. Allora erano i Rosarnesi ad emigrare. Braccianti, contadini poveri, artigiani, disoccupati. In grande parte compagni, ma ve n’erano di tutti gli orientamenti. Raccontavano di baracche fredde, tristi e di sacrifici per spedire le rimesse necessarie a mantenere la famiglia, acquistare un suolo per costruire una abitazione, mantenere agli studi i propri figli. E, soprattutto, della speranza di ritornare a vivere nella propria terra, con i propri cari, tra i compagni e gli amici. In occasione del voto politico, approfittando anche delle agevolazioni ferroviarie, tornavano numerosissimi su treni speciali ed, attraversate le frontiere, esponevano dai finestrini le bandiere rosse.
In quei giorni, a Rosarno, caricavamo su una macchina amplificatore e tromba e percorrevamo tutti i quartieri popolari per annunciare, gridando di gioia, che i compagni ritornavano per votare e votavano per restare. Era una festa: le donne uscivano per le strade ed applaudivano, perché anch’esse nutrivano la stessa speranza.
Oggi siamo paese di immigrazione. Da terre lontane arrivano i più poveri del mondo. Ripercorrono la nostra storia in modo più avventuroso e pericoloso (molti di loro muoiono durante il viaggio). Negli anni scorsi, abbiamo offerto l’aiuto del Comune per riportare nei loro lontani Paesi i cadaveri di migranti uccisi o morti per altre cause. Nel nostro cuore, al dolore per la perdita di quella vita umana, si è sempre aggiunto un dolore antico, acuto e struggente. Quello provato al ritorno dei resti mortali di uno dei figli migliori della nostra terra, Turi Bonfiglio. Un bracciante, dirigente politico e sindacale che spese la sua intelligenza e la sua passione al servizio dei lavoratori e della povera gente. Un uomo che, nonostante i suoi pochi studi, divenne un indimenticabile maestro di vita e di lotta. Per lavoro andò in Germania, cadde da una impalcatura e tornò chiuso in una bara.
Rosarno è un paese difficile, caratterizzato da componenti diverse e spesso opposte. Vi sono organizzazioni mafiose forti e pericolose, ma vi è stata la lotta antimafia più determinata e concreta. Vi sono manifestazioni di ignoranza della propria storia che sconfinano in comportamenti razzisti, ma vi sono tante sensibilità nobili, generose, che, nei momenti di paura sembrano scomparire, per poi riemergere, come un fiume carsico, vigorose e rigogliose. Bisogna lavorare per promuovere processi di unità operativa tra le comunità religiose, le associazioni di volontariato e tutte le forze positive della nostra comunità. Unire gli sfruttati, gli emarginati, i derubati: i migranti, i disoccupati, i precari, i sottopagati di tutti i colori, i contadini e gli agricoltori. Il compito è difficile, ma è l’unico adeguato a sconfiggere ‘ndrangheta e comportamenti intolleranti e razzisti. Convincere tutti che scaricare sui più deboli le proprie difficoltà costituisce un vantaggio per chi si arricchisce sulle spalle altrui.
Gli agricoltori, per fare l’esempio più attinente al paese, devono aprire gli occhi e riconoscere che il loro reddito è falcidiato e decurtato dall’ imperio mafioso che parte dalle campagne e arriva nei mercati. Negli anni ’70 la ‘ndrangheta ha allontanato dai nostri paesi i commercianti che pagavano il prodotto ad un prezzo remunerativo, per rimanere sola acquirente ed imporre il proprio basso prezzo. Si è poi impadronita di tutti i passaggi intermedi, fino ad arrivare nei mercati e controllare anche il prezzo al consumo. Questa è la filiera perversa che deruba agricoltori, lavoratori e consumatori. La filiera che bisogna combattere ed abbattere per assicurare il giusto reddito all’agricoltore, il legittimo salario al bracciante italiano o straniero, un equo prezzo al cittadino consumatore.
I migranti sono sempre stati ricchezza economica e crescita culturale in tutti i Paesi del mondo dove sono approdati: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania etc. Una rispettosa, generosa ed intelligente politica di accoglienza, come insegnano anche Riace, Caulonia e Stignano, non è costo sociale, ma opportunità e fattore di crescita e sviluppo. Rispettare e difendere i migranti è, inoltre, un dovere umano e morale, specialmente per una comunità come la nostra che ha conosciuto sulla propria pelle quanti dolori e sacrifici comporta allontanarsi dalla propria terra. E quanti (enti, associazioni, persone) compiono il proprio dovere non sono mai soli, perché a Rosarno, nella Piana, nella Calabria e su tutto il territorio nazionale è cresciuta la coscienza forte, solidale e vigile di quanti si battono per affermare i diritti della persona umana qualunque sia il colore della sua pelle.