Le leggi neorazziali volute dalla Lega

Sei un migrante regolare? Ti rendiamo la vita impossibile

Antonello Mangano
  Le leggi volute dalla Lega negli ultimi anni hanno un unico obiettivo: rendere impossibile l’esistenza agli immigrati, sia irregolari che irregolari. Dalle classi-ponte ai vagoni separati su mezzi pubblici, dalla crociata anti-kebab a quella contro phone center e moschee, fino alla verifica sanitaria delle abitazioni e l’esame di italiano per la carta di soggiorno si colpiscono con durezza anche gli stranieri in regola e che lavorano. Ed in qualche caso anche gli italiani…
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L’Italia si incammina “verso il baratro delle leggi razziali”, ha scritto il settimanale Famiglia Cristiana. “Peccano di omissione” coloro che non fanno nulla per opporsi. L’immaginario televisivo ha imposto l’idea di una politica “forte” e decisa che si schiera per la sicurezza ed agisce contro i “clandestini”, ovvero i migranti irregolari. Non è così. Già da diversi anni, prima a livello di giunte locali e poi con le norme nazionali, i leghisti hanno imposto o provato ad imporre tante piccole leggi che hanno un solo obiettivo: rendere infernale la vita dei lavoratori stranieri, indipendentemente dai documenti che hanno in tasca.
Leggi cattive, stupide, inutili, spesso dagli effetti grotteschi. Per demarcare linee di separazione si ipotizzano classi ponte e vagoni separati su mezzi pubblici; per attaccare il lavoro autonomo degli stranieri si impedisce a tutti di mangiare il gelato in strada e si chiedono due bagni a chi voglia impiantare un phone center; per seguire la moda ‘neo-con’ dello scontro di civiltà si impedisce di costruire nuove moschee.
Si burocratizza la spedizione di denaro all’estero mediante money transfer, veicolo semplice e poco costoso per trasferire le rimesse, col rischio di deviarle verso canali illegali e più rischiosi. Si subordina l’iscrizione anagrafica (sia per lo straniero regolare che per gli italiani) alla verifica dell` idoneità sanitaria dell’abitazione. Se la norma fosse applicata alla lettera, sarebbero milioni gli italiani senza idoneità abitativa… Al regolare si preclude la carta di ‘lungo-soggiornante’ (non il diritto di voto o la cittadinanza) se non viene superato un esame d’italiano. Si propone un ‘permesso di soggiorno’ a punti legato all`integrazione, revocabile, con espulsione, in caso di bocciatura.

Le intolleranze alimentari

La “crociata anti-kebab” è il frutto di quell’odio cieco e pericoloso che diventa fatalmente stupidità. Così l’ennesima norma pensata per punire gli odiati stranieri finisce per penalizzare anche gli artigiani italiani, in parte base elettorale della stessa destra, ed arriva ad estremi semplicemente grotteschi, come il divieto “per ordine pubblico” di mangiare il gelato in strada.
Nel gennaio 2009 la Lega propone di vietare i kebab nel centro storico di Milano e di tutta la Lombardia, ispirandosi a quanto fatto a Lucca da una giunta di centrodestra. Nel caso della città toscana, il regolamento comunale vietava il cibo da asporto nei quattro chilometri quadrati del perimetro antico, ma (come nel caso della Lombardia) il vero obiettivo sono gli esercizi degli immigrati: “Al fine di salvaguardare la tradizione culinaria e la tipicità architettonica, strutturale, culturale, storica e di arredo non è ammessa l`attivazione di esercizi di somministrazione, la cui attività svolta sia riconducibile ad etnie diverse” recita un regolamento comunale pensato per i nuovi esercizi ma pronto per essere inserito negli annali del razzismo.
“Gli arredi devono essere `confacenti al centro storico stesso`, e i locali devono fornire: `sedie in legno, arredamento elegante e signorile anche nei dettagli`, il personale deve essere `fornito di elegante uniforme adatta agli ambienti nei quali si svolge il servizio e dovrà `essere a conoscenza della lingua inglese`”, conclude il pedante provvedimento licenziato dalla giunta del ‘Popolo delle Libertà’”.
Per mitigare il carattere discriminatorio della norma, a pagare sono anche gelatai e rosticcerie, pure quelle che vendono la cecina, una torta salata del tutto autoctona fatta con farina di ceci che ha nutrito generazioni di studenti alla ricerca di un pasto veloce. Già nel 2000 – sempre a Lucca – si tentò di vietare i ristoranti etnici, accomunati ai “sexy shop” come fonte di degrado.
Il consigliere regionale bergamasco Daniele Belotti, ovvero il leghista autore del progetto di legge, spiega la sua idea: “Non si capisce perché nei centri storici esistono regole ben precise sul colore dei tavolini dei bar o su quello delle tende alle finestre e non si può fare le stessa cosa per i kebab o i sexy shop che deturpano i luoghi storici delle nostre città. Dobbiamo difenderci”.
Qualche settimana dopo la proposta è approvata dal Consiglio regionale lombardo. Anche in questo caso non è possibile colpire solo gli stranieri. Gli effetti, dunque, sono del tutto grotteschi. Negozi chiusi non oltre l’una del mattino e divieto di consumare sui marciapiedi fuori dai locali, sanzioni fino a 3 mila euro. Il provvedimento riguarda anche gelaterie, pizzerie d`asporto e rosticcerie.
Che senso ha questa delirante regolamentazione sostenuta dal “Popolo delle Libertà”? Dietro il fragile velo della norma contro la concorrenza sleale, si nasconde un cedimento alla campagna “anti-kebab” della Lega, che finisce per punire una buona fetta di artigiani italiani, magari anche quelli che hanno votato destra e “liberismo” ed ora si ritrovano una legge che introduce divieti ed obblighi cervellotici.
Per il relatore Carlo Saffioti, invece, “la norma approvata da’ risposte a problemi esistenti, problemi su cui i cittadini ci chiedono di intervenire. Dalla concorrenza tra i vari esercizi al disturbo della quiete pubblica”. Daniele Belotti della Lega dichiara: “Fino a ieri le attività artigianali, che somministrano generi alimentari di propria produzione, come ad esempio i kebab, potevano esercitare la loro attività senza limiti di orari”.
E se i nostri emigranti avessero subito una crociata contro la pizza?

Gli islamici protetti dagli… italiani

Tra le tante norme persecutorie andrebbero ricordate quelle che limitano pesantemente la libertà religiosa. Si tratta al solito di provvedimenti apparentemente secondari, nascosti in decreti e roglamenti di secondo piano ma efficaci nel negare diritti fondamentali. Nel clima paranoico della “War on Terror” lanciata da Bush, con le immagini minacciose delle torri gemelle in fiamme riprodotte nei manifesti di propaganda, con l’ossessiva campagna dello “scontro di civiltà” è stato facile far passare norme liberticide.
Ufficialmente, si chiamava “integrazione e modifica della legge regionale per il governo del territorio”, ma tra le proposte presentate nel 2006 dall’allora assessore regionale al Territorio e all’Urbanistica leghista Davide Boni  c’era anche “la modifica della legge urbanistica, che riguarda la procedura per la destinazione d’uso degli immobili già esistenti da trasformare in luoghi di culto”. In altre parole, per far diventare un capannone già esistente in una moschea non basta più comunicarlo al Comune, ma ci vuole “un permesso per costruire” anche se, in realtà, da costruire non ci sarà nulla.
Il numero due della Lega in consiglio regionale Stefano Galli non nascondeva che lo scopo del provvedimento è soprattutto bloccare il proliferare delle moschee in Lombardia: “Adesso basta con queste persone che pensano di avere solo diritti e mai doveri. Nei loro paesi se uno prova a costruire una chiesa lo fanno fuori, mentre da noi per costruire una finestra in una baita ci vogliono settecentoquarantacinque permessi”.
I risultati della “guerra al terrorismo” padana arriveranno nei mesi successivi. Ventinove tra moschee e centri di aggregazione in provincia di Milano diventeranno “sorvegliati speciali” per decisione del prefetto: non perché sospetti di sovversione ma per assicurare la protezione dagli… italiani. Saranno infatti ben sei gli episodi violenti contro gli islamici ad opera di gruppi estremisti.

Due bagni per telefonare

“La legge regionale sui phone center per gli immigrati, tanto voluta dalla Lega e tanto contestata dalla sinistra, è incostituzionale. La decisione dell’Alta corte mette la parola fine alla querelle amministrativa sollevata dal Tar lombardo che con dieci ordinanze aveva portato la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale”. I giudici della Corte costituzionale contestano la tesi della Regione secondo cui i phone center vanno equiparati agli esercizi commerciali, e che quindi debbano rispettarne le stesse norme (edilizie, urbanistiche, igienico-sanitarie e di sicurezza); che la competenza in materia di autorizzazioni sia comunale; che la Regione abbia ulteriori competenze.
I “phone center”, continua la Corte, forniscono “servizi di comunicazione elettronica” perché “lo scambio di un servizio verso la corresponsione di un prezzo afferisce a beni ed esigenze fondamentali della persona e, nel contempo, della comunità, coinvolgendo interessi individuali (correlati alla comunicazione con altre persone) e generali. La legge regionale, inoltre, è in conflitto con gli articoli del codice che tutelano ‘i diritti inderogabili di libertà delle persone nell` uso dei mezzi di comunicazione elettronica’ e assicurano la garanzia di un ‘accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità’.
Tutto questo è stato vanificato dalla legge, che ha provocato la chiusura di centinaia di phone center che non rispettavano i requisiti. Solo a Milano sono stati 290, fino a maggio 2008, i centri che hanno dovuto chiudere i battenti. Uno su due non è risultato in regola con le prescrizioni imposte dalla Regione e fatte applicare dalla polizia annonaria del Comune che prevedevano, per esempio, la presenza di un parcheggio e due bagni. Già l’Antitrust, ad agosto del 2007, aveva bollato la legge come ‘ingiustamente restrittiva della concorrenza’.

Le classi ponte, ovvero la scuola dell’apartheid

 “L’Italia non è un paese razzista. Ma in Italia come in Europa c’è la consapevolezza diffusa che non basta mettere in classe i figli degli immigrati per integrarli”. A Bruxelles per la riunione dei ministri UE dell’istruzione, Mariastella Gelmini si difende dall’accusa di voler creare un nuovo apartheid nella scuola italiana: “Ci interessa affermare questo principio, e le classi ponte, con un corso intensivo di italiano e sulla Costituzione, sono un tentativo che mi auguro possa riuscire”.
Non sarà razzista, ma un mese prima alla scuola politica dei giovani della Padania (gli studenti leghisti) aveva detto: “Non parliamo di classi ponte ma di una verifica della conoscenza della lingua per mettere i ragazzi stranieri nella condizione di essere cittadini al pari dei nostri. Quello che è stato detto è ancora una volta frutto di disinformazione”.
Ed ecco invece le richieste della Lega, da cui riecheggiano le vecchie polemiche contro gli insegnanti meridionali e gli scrittori siciliani nei programmi ministeriali: “[Vogliamo] l’albo regionale dei professori perché siamo contrari a continui spostamenti, le classi complementari per stranieri e programmi scolastici legati alla storia del territorio. Il ministro ha detto che il federalismo riguarderà anche la scuola”.
Un mese dopo, e nella situazione peggiore possibile (il viaggio della memoria ad Auschwitz con 250 studenti), l’assessore romano alle Politiche educativa Laura Marsilio parlava della sua esperienza di studentessa romana e di come la didattica risultasse compromessa dalla massiccia presenza di extracomunitari, “fino all’80 per cento” in aule definite “classi-ghetto”.

Il background dei leghisti

E’ chiaro che il “brodo” culturale della Lega è esattamente quello del nazismo: l’approccio amico-nemico, l’odio cieco e feroce per l’avversario di turno, la comunicativa rozza e senza sfumature, la chiusura al dubbio ed al pensiero razionale, un linguaggio violento a base di pallottole, maschilismo e crudeltà.
In questo la Lega non è sola, e si affianca ai partiti xenofobi europei di estrema destra che si muovono nello stesso campo ma che – con la breve parentesi di Haider in Austria – non decidono le politiche del governo nazionale . In più, la stupefacente parabola politica della classe politica leghista, l’ascesa durevole di un ceto semi-analfabeta ai posti di potere prima locali e poi nazionali ha creato un effetto “accodamento” prima negli altri partiti della destra e poi in quelli della sinistra moderata. “La Lega non ha tutti i torti”, “vince perché parla alla pancia della gente”, “coglie gli umori profondi”, “evidenzia problemi che non possiamo ignorare”.
E quando poi i numeri dicono che i reati sono in calo proprio mentre si grida all’“emergenza sicurezza”; quando il nemico nel corso degli anni diventa di volta in volta il politico di Roma, l’insegnante siciliano, l’infermiere campano, il muratore rumeno, il venditore di kebab o il senegalese col suo phone center; quando infine la Lega grida all’invasione e poi approva la più grande sanatoria della storia della Repubblica, i politici di opposizione non traggono da questi fatti elementi per decostruire una propaganda che serve solo a creare stupefacenti ed immeritate carriere ma si accodano flebili, diventando mediocri imitatori delle tesi estreme dei razzisti.

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