Banca Intesa intende chiedere la liquidazione coatta, ovvero il fallimento, del Fondo Pensioni COMIT con la conseguente cessazione immediata di tutte le prestazioni, compreso il pagamento delle rate di pensione, e la liquidazione fallimentare di tutti i beni patrimoniali del Fondo.
Ad oggi non sappiamo come si concluderà la vicenda, ovvero se gli oltre diecimila lavoratori interessati vedranno volatilizzarsi in tutto o in parte la pensione integrativa che il fondo doveva assicurare loro, o se il Governo lancerà in qualche modo un “salvagente”, scaricando sulla collettività la copertura delle perdite del Fondo, così come è già avvenuto negli anni `90 di fronte alle crisi delle banche meridionali.
Quello che appare comunque evidente è il silenzio che sta accompagnando la sorte di oltre 10.000 famiglie, che rischiano di vedersi tagliare drasticamente il livello e tenore di vita promessi e “garantiti” loro da un fondo pensione(per di più bancario e con 83 anni di vita alle spalle!) che ha accumulato nel giro di qualche anno un disavanzo di 28,5 milioni di Euro.
Questo silenzio è evidente, ma anche logico.
Siamo nel momento in cui il governo si appresta a varare il decreto applicativo della riforma previdenziale che imporrà, in assenza di un esplicito e formale rifiuto dei lavoratori, il trasferimento coatto del TFR (Trattamento diFine Rapporto) ai Fondi Pensione.
Già i “numeri” dimostrano come la favola dei rendimenti promessi per avere una pensione decente con i Fondi pensione sia, appunto, una favola, e come nessun Fondo sia in grado di garantire lo stesso piccolo rendimento che il TFR invece assicura.
Ed ora, se portato alla conoscenza della maggioranza dei lavoratori, un caso come quello del Fondo Comit metterebbe brutalmente sotto gli occhi di tutti qualcosa che la storia dei Fondi pensione nel mondo ha dimostrato troppo frequentemente. Le forme di previdenza a capitalizzazione, tipiche della previdenza privata ed in particolare dei Fondi pensione, non sono cioè intrinsecamente idonee proprio sul piano previdenziale.
Questo perché nulla e nessuno può garantire che, per una qualunque ragione (un periodo di iperinflazione, una drastica svalutazione della moneta, gli effetti di operazioni speculative o truffaldine – alla Enron o alla Parmalat tanto per intenderci – o di mere scelte semplicemente sbagliate del gestore – come potrebbe essere il caso del Fondo Comit), l`intero capitale accantonato, o parte di esso, si volatilizzi lasciando in braghe di tela chi sui propri versamenti aveva costruito le speranze di una vecchiaia serena.
Se a questo accostiamo il fatto che la riscossione del TFR è invece garantita da un apposito fondo Inps anche di fronte al fallimento del datore di lavoro, si capisce perfettamente perché al caso Comit sia stata messa la sordina.
Diviene allora sempre più urgente organizzare nelle prossime settimane tutte le forze, le energie e le intelligenze comunque disponibili per coordinare una grande campagna informativa che faccia conoscere ai lavoratori la reale posta in gioco e li porti ad esprimere, nei sei mesi di tempo che avrannodalla data di entrata in vigore del decreto applicativo, il loro rifiuto a vedersi sottrarre il TFR per foraggiare la speculazione finanziaria mediante i Fondi pensione.