Il mostro sullo Stretto di Messina

E se il Ponte fosse un crack finanziario?

Claudio Cordova
  Parte dei soldi che servono per il Ponte è stata stanziata dal CIPE, il resto (3,5 miliardi di euro) dovrà essere reperito sul mercato finanziario attraverso prestiti o obbligazioni. Ma i flussi di traffico previsti basteranno a ripagare l`opera? Oppure si ricorrerà alla clausola per cui dopo 30 anni lo Stato dovrà coprire metà dell`investimento? In quel caso un`opera inutile sarà sulle spalle di tutti i contribuenti...
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Dal 1981 esiste una società pubblica responsabile della progettazione, costruzione e gestione del Ponte sullo Stretto, è la Stretto di Messina SpA, che ha anche rischiato di sciogliersi, ma, nell’ottobre del 2007, è stata salvata dal voto dei parlamentari dell’Italia dei Valori che si sono opposti. L’Amministratore delegato della Stretto di Messina SpA è Pietro Ciucci, presidente di Anas, la società che gestisce le autostrade italiane. Anche la A3, Salerno-Reggio Calabria.

Può sembrare una precisazione inutile, ma tra poco vedremo che non è così. Torniamo a parlare di soldi: il Ponte sullo Stretto di Messina costerà 6 miliardi di euro, 2,5 miliardi saranno messi sul tavolo dalla Stretto di Messina SpA; circa due settimane fa sono stati stanziati 1,3 miliardi di euro, in seguito al via libera all`impegno delle risorse arrivato dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. Gli altri 3,5 miliardi dovranno essere reperiti sul mercato finanziario attraverso prestiti o obbligazioni. Una volta costruito e inaugurato il Ponte, tali debiti verranno coperti attraverso gli incassi che il Ponte riuscirà ad accumulare. Il Ponte, insomma, dovrà autofinanziarsi. Dovrà essere costruito con dei soldi che, in futuro, dovranno essere restituiti a chi li ha concessi.

Va bene. Ma se il Ponte si dovesse rivelare un “gioco a perdere”?

Nessun ragionamento finanziario, ma, semplicemente, logico. Il traffico di automobili e camion rappresenta la parte più consistente dei flussi dello Stretto di Messina: i mezzi pesanti partono da Messina alla volta delle più disparate destinazioni. Ma, c’è da chiedersi, una volta giunti a Reggio Calabria, cosa si fa? Le condizioni della A3 sono imbarazzanti, perché un autotrasportatore dovrebbe affrontare un viaggio lungo (esistono numerosi tratti dell’autostrada in cui il traffico procede su un’unica corsia) e costoso?

E’ vero, prima o poi i lavori di ammodernamento della A3 finiranno (e sulla data della fine dei lavori, Pietro Ciucci, che è presidente di Anas, dovrebbe conoscere le cose meglio di chiunque altro) ma è anche vero che i tempi e i costi del viaggio saranno sempre troppo elevati. Poco convenienti.

Poco convenienti perché, per esempio, proprio da Messina esistono delle navi che trasportano mezzi colmi di merci a Salerno e a Civitavecchia. Da quel punto d’Italia la distribuzione dei carichi sarà molto più veloce ed economica. E infatti, il trasporto marittimo, più veloce e meno costoso, in pochi anni è cresciuto in maniera esponenziale. Insomma, perchè un autotrasportatore dovrebbe percorrere il ponte sullo Stretto, affrontando poi l`inferno della A3 Salerno-Reggio Calabria, quando, invece, tramite il trasporto marittimo potrebbe risparmiare tempo e quattrini?

Infatti, già adesso, a dispetto delle stime effettuate dalla Stretto di Messina SpA, i traffici sullo Stretto sono in caduta libera. La Stretto di Messina SpA sembra aver sbagliato anche i calcoli sui tempi di realizzazione dell’opera. Calcoli teorici, si intende, perchè un`opera del genere non è mai stata costruita, quindi non è possibile fare alcun tipo di paragone. Ad ogni modo, si sa, più tempo si impiega a costruire qualcosa, più si spende, più i cantieri restano aperti, più i costi si alzano.

Continuiamo a parlare di soldi, ma facciamolo sotto un altro punto di vista: il ponte costa tanti quattrini che, per oltre la metà, dovranno essere racimolati attraverso dei prestiti. Più il ponte sarà utilizzato, più si rivelerà un investimento azzeccato, prima sarà possibile estinguere i debiti contratti.

Ma se il ponte, invece, non riuscisse a sostenersi economicamente? Quando un`attività economica o commerciale non riesce a far i soldi necessari per “vivere” viene dichiarata fallita dai proprietari e la bottega si chiude.

Ma il ponte non è una pizzeria. E nemmeno un negozio di abbigliamento. C’è una clausola nel contratto tra Stato e Stretto di Messina Spa: quest’ultima avrà in gestione, per trent’anni il Ponte sullo Stretto, al termine dei trent’anni, qualora non si sia riusciti a coprire i costi di realizzazione attraverso i pedaggi, la somma restante, fino a un massimo del 50% del costo di investimento, sarà coperta dallo Stato. Cioè dai cittadini. Si rischia, in buona sostanza, di caricare le generazioni future di un debito per un’opera che, magari, tra trent’anni nessuno vorrà.

Il Ponte, così come è stato pensato avrà una portata di 600 automobili ogni ora e di 200 treni al giorno. Ma se, invece, dovesse rimanere “deserto”?

E’ vero, nella peggiore delle ipotesi lo Stato appianerà i debiti, ma, anche in questo caso, c`è un ultimo interrogativo: se davvero dovesse verificarsi tale ipotesi, tra trent’anni, quando la Stretto di Messina SpA vedrà finire la propria concessione, chi sarà disposto a succedere alla società nella gestione di un’opera che si è rivelata un investimento fallimentare?

Chi avrà voglia di ripescare l’opera e la sua gestione da un eventuale crack finanziario?

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