Gli imprenditori della paura

Gli sbarchi riprendono, Lampedusa resiste

Fulvio Vassallo
  Oggi la situazione di Lampedusa viene spacciata dal governo come ”ritorno alla normalità”, dopo il rogo del centro di accoglienza trasformato in gran fretta in un centro di identificazione ed espulsione, un rogo innescato dalla disperazione dei migranti rinchiusi per mesi senza un provvedimento legittimo di trattenimento.
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Lampedusa è scomparsa dai principali mezzi di informazione ed il regime politico-mediatico continua a propagandare le missioni dei suoi gerarchi e del suoi poliziotti, in Tunisia, in Libia, in Nigeria, per dimostrare la efficacia degli accordi bilaterali e il rigore delle ”politiche di contrasto dell’immigrazione illegale”.

Sono certi, in questo modo, di moltiplicare ancora i consensi elettorali, distribuendo prima allarmismi creati ad arte, e poi propinando rimedi altrettanto falsi, ad una opinione pubblica imbambolata dai grandi canali televisivi. Si è voluto creare così la situazione esplosiva di Lampedusa, prodotta dai caotici decreti firmati da Maroni alla fine di gennaio, per trasformare i centri che neppure potevano qualificarsi come centri di accoglienza (la vecchia base Loran della Marina) in centri di identificazione ed espulsione, e poi riconvertendo provvisoriamente in CIE i centri di prima accoglienza e soccorso (come la struttura di Contrada Imbriacola).

Alla fine il rogo del 18 febbraio ha distrutto quella struttura e quel sistema di accoglienza che si erano faticosamente costruite negli ultimi due anni. Si volevano fermare nell’isola tutti i migranti che vi arrivavano, al punto da trasferire in quel lembo di terra, al centro del Canale di Sicilia, persino le procedure di asilo. Con la commissione territoriale, costretta per qualche settimana ad una improvvisa missione, da Trapani a Lampedusa, una missione poi interrotta di fronte al rischio di una procedura di infrazione davanti alla Corte di giustizia, per la evidente violazione di tutte le normative di emanazione comunitaria in materia di asilo e protezione internazionale.

Adesso la situazione di Lampedusa viene spacciata dal governo come ”ritorno alla normalità”, dopo il rogo del centro di accoglienza trasformato in gran fretta in un centro di identificazione ed espulsione, un rogo innescato dalla disperazione dei migranti rinchiusi per mesi senza un provvedimento legittimo di trattenimento, e non certo dalle visite di qualche parlamentare che ha potuto soltanto accertare condizioni disumane di detenzione, mentre continua la violazione delle più elementari normative sulla sicurezza.

Ma per fare chiarezza attendiamo ancora l’esito delle diverse inchieste avviate dalla Procura di Agrigento. E intanto l’isola, alla vigilia della visita del Commissario Europeo Barrot, programmata per il 13 marzo, continua ad essere presidiata da agenti antisommossa, gli unici clienti, per questa stagione, degli albergatori e dei ristoratori lampedusani abbandonati dai turisti. Forse quando finalmente arriverà Barrot, riusciranno a fargli trovare il centro vuoto, come è successo in passato, quando le visite ufficiali sono state annunciate con troppo anticipo, così saranno scomparse le prove viventi degli abusi commessi in queste settimane.

Sarà meno facile fare scomparire le tracce di queste persone nei procedimenti giudiziari che comunque sono stati avviati i diversi tribunali italiani. La verità sull’immigrazione irregolare nel Canale di Sicilia è un altra, e non conviene a chi specula sui grandi affari derivanti dalle ”politiche di contrasto dell’immigrazione illegale”. Solide allenaze basate, più che sul superamento delle antiche inimicizie, sui concreti argomenti della grande finanza internazionale. Per coprire la verità si è giunti all’intimidazione, come quando si sono definiti sobillatori quegli operatori umanitari e quei rappresentanti parlamentari che hanno visitato (o tentato di visitare) i campi di detenzione di Lampedusa.

Intimidazione, come quando si è permesso ai rappresentanti del governo libico di attaccare i giornalisti che avevano tentato di squarciare il velo di menzogne che ammanta il Trattato di amicizia tra Italia e Libia, ratificato alla cieca dal Parlamento italiano, un attacco personale che qualche giornale ha persino subito senza neppure concedere il diritto di replica ai suoi giornalisti. La verità è nei fatti che implacabili smentiscono menzogne e promesse elettorali. Non appena il tempo migliora la verità si concretizza nei corpi di uomini, donne, minori che raggiungono comunque le coste siciliane e poi scompaiono, inghiottiti da un sistema poliziesco che impedisce persino il contatto con i familiari e gli avvocati. Troppo scomodi per i professionisti della sicurezza che adesso devono dimostrare la riuscita dei loro piani.

La verità affiora in qualche raro articolo nelle pagine interne, come nel Corriere della sera del 3 marzo 2009. nei primi due mesi di quest’anno sono già arrivati in Sicilia 2120 migranti contro 1650 dello scorso anno, solo a Porto Empedocle, nell’ultima settimana oltre seicento migranti, quanti in un intero anno nel 2008. Complimenti ministro Maroni. E non dimentichi che molti sono richiedenti asilo. Che non riuscirà ad espellere in nessun modo, anche se manderà dentro i CIE i rappresentanti dei paesi di provenienza, come ha fatto anche a Lampedusa nelle settimane scorse. E in qualche occasione si è preferito fare proseguire verso nord, oltre Lampedusa, i migranti partiti dalla Libia, mentre si preparava l’ennesima sceneggiata tra Berlusconi e Gheddafi, tra abbracci, scambi di doni e dichiarazioni di solidarietà. E ancora la sera del 3 marzo un barcone con una sessantina di migranti a bordo è stato avvistato a 54 miglia a Sud di Lampedusa da un elicottero, di stanza sulla nave Sirio della Marina Militare, in servizio di perlustrazione nel Canale di Sicilia. Alla fine, nella notte il barcone è stato soccorso dalla marina e i migranti sono stati sbarcati a Lampedusa. 86 “extracomunitari tutti maghrebini”, come riferisce la stampa, sono stati trasferiti nel centro identificazione ed espulsione di Contrada Imbriacola, per metà ancora distrutto dall’incendio del 18 febbraio scorso“in vista del loro rimpatrio coatto”.

Ma altri 200 immigrati , tra cui 27 donne e un neonato, sono approdati a Lampedusa nella mattina del 4 febbraio, con un barcone che ha raggiunto direttamente le coste lampedusane, malgrado gli editti di Maroni e gli abbracci tra Berlusconi e Gheddafi. Ora nel centro di Contrada Imbriacola, si trovano oltre 500 persone, malgrado la struttura sia parzialmente inagibile e senza i requisiti amministrativi e logistici per essere considerata un CIE. Di certo si è ritornati all’accoglienza dietro le sbarre, vietata da tutte le convenzioni internazionali. Questi migranti sono riusciti a raggiungere Lampedusa perché le condizioni meteo erano dopo molto tempo più favorevoli. E se le condizioni del mare peggioreranno? E quando non ci sarà tempo per scortare le imbarcazioni cariche di migranti fino a Porto Empedocle, per centinaia di miglia in mare aperto, oltre Lampedusa, cosa si aspetterà? Almeno siamo certi che la nostra marina continuerà, come in passato, ad anteporre il dovere di salvare la vita umana in mare rispetto alle esigenze di immagine del governo, che vorrebbe dimostrare di riuscire a fermare le partenze dalla Libia, “chiudendo” la rotta per Lampedusa.

Anzi “chiudendo” l’intera isola di Lampedusa, trasformandola in un carcere. E continuano a trasformare il mediterraneo in un mare di morte, in un cimitero marino. No quella rotta è ancora aperta, come dimostrano i recenti sbarchi, proprio nell’isola di Lampedusa, quando il ministro dell’interno aveva promesso di bloccare le partenze dalla Libia. Una promessa che per fortuna nessuno potrà mai realizzare. E non serviranno a nulla le sei motovedette cedute ai libici. Neppure a salvare le vite umane in mare, conoscendo il contenuto del protocollo operativo sottoscritto tra Italia e Libia nel dicembre del 2007. Quella rotta che si vorrebbe sbarrare con i “pattugliamenti congiunti” costituisce l’unica via di fuga dall’inferno libico, l’unica possibilità di salvezza per chi cerca asilo o protezione internazionale, e anche per tanti migranti economici che devono abbandonare il proprio paese per la crisi economica internazionale che diventa disastro economico interno. Uomini, donne, minori, costretti dalla mancanza di canali di ingresso legale a farsi sfruttare due volte, prima dai trafficanti e poi, una volta giunti in Italia, dagli imprenditori della paura che producono clandestinità ed alimentano gli affari di quelle organizzazioni criminali che- a parole- tutti sostengono di volere combattere.

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