Era facile, troppo facile prevederlo. Ancora una strage di migranti, “colpevoli”soltanto di avere tentato la via dell’immigrazione irregolare. Solo il ministro Maroni continua a ritenere che l’intensificarsi dei controlli di polizia nelle acque antistanti i paesi nordafricani possa sortire un effetto dissuasivo, scoraggiare le partenze, e “bloccare” gli arrivi in Sicilia.
Su questa opinione del ministro si basa la decisione di trattenere a Lampedusa tutti i migranti irregolari che vi giungono e il “trasferimento” della Commissione territoriale per i richiedenti asilo da Trapani nell’isola pelagica, per esaminare nel modo più sbrigativo le istanze di protezione internazionale ed allontanare con la forza tutti coloro che non conseguano il riconoscimento dello status.
Anche a costo di sacrificare i diritti di difesa riconosciuti ai migranti dalla legge, dalle direttive comunitarie e dalle convenzioni internazionali. Quanto questa opinione del ministro risulti infondata lo conferma adesso l’intensificarsi degli “sbarchi” a Lampedusa, dove oltre 1500 migranti rimangono stipati in un centro che dovrebbe essere soltanto “di prima accoglienza e soccorso”. E la situazione potrebbe essere ancora più grave nei prossimi mesi.
A questa “emergenza permanente” a Lampedusa, si aggiunge adesso l’ennesima strage di migranti, ventisei dispersi dopo l’affondamento del barcone sul quale si trovavano, davanti alla costa di La Marsa, una località turistica a venti chilometri da Tunisi. Una ulteriore conferma che anche nei paesi che, a differenza della Libia, sono da tempo dotati di un corpo di polizia marittima e che perseguono maggiormente, in collaborazione con l’Italia, l’obiettivo di arrestare i migranti che intraprendono la rotta verso la Sicilia, la disperazione dei senza futuro ed il sistema dei controlli di polizia continuano a produrre tragedie.
Questa volta si tratta di persone in fuga da una Tunisia che sta riducendo alla fame i ceti più deboli e ha represso con la polizia le proteste dei lavoratori, processando e condannando i principali rappresentanti del movimento di lotta. Pur di fuggire e di sottrarsi ai controlli di polizia si parte di notte, su imbarcazioni più piccole, in pieno inverno, su rotte più pericolose, non appena il mare sembra placarsi. E non sempre il viaggio termina in Sicilia. Altre volte il viaggio, l’illusione di un futuro diverso dura appena poche centinaia di metri.
L’affondamento del natante sul quale erano imbarcati i migranti, a poca distanza dalla costa tunisina, al punto che nelle acque gelide di gennaio alcuni di loro sono sopravvissuti raggiungendo a nuoto la riva, ed il pronto immediato intervento di diverse unità navali militari e civili, che già si trovavano nelle vicinanze, farebbero presumere che il naufragio possa essersi verificato in un area sotto il controllo delle forze di polizia marittima, magari dopo un tentativo di intercettazione e di blocco navale. Non si sa se questa “disgrazia” sia stata frutto di un pattugliamento in funzione di contrasto dell’immigrazione “clandestina” o alle condizioni meteo, che secondo i bollettini dovevano essere abbastanza buone.
Anche in questo caso la verità, probabilmente, non si conoscerà mai. Ai sopravvissuti verrà fatto capire, come al solito, che è meglio dimenticare tutto, e non provarci mai più. Rimangono “soltanto” altre ventisei vittime della Fortezza Europa, vittime delle politiche di contrasto dell’immigrazione (non solo quella c.d. “clandestina”), politiche che vietano qualunque possibilità di ingresso legale, tanto ai richiedenti asilo, tra i quali vi possono essere anche tunisini in fuga dal regime di Ben Ali, è bene ricordarlo, che ai migranti economici in fuga dalla fame e dalla devastazione ambientale.
E rimane l’arrogante certezza di quei politici che sono convinti, e vorrebbero convincere l’opinione pubblica, che le misure di polizia e gli accordi di riammissione stipulati con i paesi del Nord-Africa possano arginare i migranti che tentano di attraversare il canale di Sicilia. Per questo si invoca l’Unione Europea perché finanzi ancora le missioni nel Mediterraneo di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne e su iniziativa del governo italiano si coalizzano gli stati più chiusi rispetto all’immigrazione, come Malta, Cipro e la Grecia per proporre all’Unione Europea misure ancora più restrittive contro i migranti irregolari. Di fronte a questa arroganza, che va oltre una linea politica, ma diventa sempre più disprezzo della vita dei migranti, continua ad allungarsi la lista dei morti e dei dispersi.
Presto la situazione diventerà sempre più grave anche sul territorio italiano, perché Lampedusa non si potrà applicare la legge dello stato anche se continua a rimanere territorio italiano, luogo emblematico dove dovrebbero valere sempre le regole e le garanzie dello stato di diritto, dello stato democratico, e non le stravaganti iniziative delle autorità politiche ed amministrative che trattano l’isola come uno spazio extraterritoriale, quasi una piattaforma galleggiante sempre più vicina all’Africa..
Questa ennesima strage, e l’intensificarsi degli sbarchi a Lampedusa, malgrado le direttive impartite dal governo italiano che avrebbero dovuto valere come “annuncio” dissuasivo nei confronti dei candidati all’emigrazione clandestina, forniscono la chiave di lettura che permette di valutare la portata presente e futura delle decisioni del governo italiano in questa materia. Un governo italiano nel quale ci sono ministri che vorrebbero stipulare accordi di polizia per praticare il blocco dei migranti nelle acque territoriali dei paesi di partenza, proprio dove hanno fatto naufragio i 26 tunisini dispersi nella giornata di oggi, e creare un successivo “luogo di blocco” a Lampedusa, promettendo (senza potere certo realizzare) il rimpatrio diretto di quanti vi giungano irregolarmente e non ottengano il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione internazionale.
Ancora una volta il tentativo di mostrare la faccia dura ai migranti che vorrebbero entrare in Europa, buono per guadagnare ancora qualche punto nei sondaggi, corrisponde al ripetersi di tragedie dell’immigrazione irregolare e ad una continua riproduzione della clandestinità, al di qua e al di là delle frontiere, una clandestinità indotta dai decisori politici più che dai migranti che ne sono vittime, una condizione imposta e non scelta da persone che non hanno alternative, che alla fine contribuisce a diffondere la precarietà e l’esclusione al di quà e al di là delle frontiere. E di questo i cittadini italiani dovrebbero avere veramente paura.