“Controllano le loro zone come i cani
quando fanno pipì, e da lì non si passa”
Un giudice di Reggio Calabria
Improvvisamente appaiono due uomini incappucciati, un fucile a canne mozze per ciascuno. I quattro operai della ditta Cossi di Sondrio li guardano esterrefatti, si stendono sull’asfalto sperando di non morire lì, i fucili puntati sulle loro teste, lo svincolo di Bagnara Calabra a due passi e tanta voglia di essere da qualche altra parte.
Qualche minaccia, poi in fretta su un camion dell’impresa, poche centinaia di metri percorsi sgommando per un furto appena simulato. I bravi cronisti l’hanno chiamata l’ “ennesima intimidazione”, e tutto è finito con poche righe d’Ansa riprese distrattamente dai giornali locali .
È solo l’ultimo episodio di quello che sta diventando il più grande romanzo noir della storia d’Italia, l’ammodernamento dell’autostrada che dovrebbe collegare Salerno a Reggio Calabria, ovvero metà dello stivale.
Le possibilità di sviluppo turistico, i semplici collegamenti tra le città del Sud, le opportunità di crescita per le imprese non possono prescindere da questa arteria, almeno in teoria. Invece dal 1997, anno di avvio dei lavori, i birilli dei cantieri costringono pullman, camion ed automobili a terrificanti slalom e code interminabili.
Sono numerosi gli incidenti già avvenuti, con altrettanti morti, tra cui l’automobilista deceduto a gennaio 2008 nei pressi del demenziale svincolo di Scilla, tutto cambi di corsia e restringimenti improvvisi, ucciso da un mezzo pesante che non indovinava il senso giusto, oppure la coppia che ha perso la vita nei pressi dello svincolo di Falerna nell’ottobre del 2008.
Ogni estate qualche politico si sveglia, “è una vergogna”, qualcuno propone navi da Milazzo a Gioia Tauro, un altro lancia accorate denunce, si segnalano percorsi alternativi, poi tutto si addormenta nuovamente finché non ci pensano i fucili a canne mozze della `ndrangheta a suonare la sveglia.
Il corridoio
Non dimentichiamo che stiamo parlando dell’ultimo tratto del famigerato corridoio “Berlino – Palermo”, la grande arteria europea che i fautori del Ponte sullo Stretto magnificavano quale elemento essenziale per lo sviluppo del Meridione, per la fine dell’isolamento siciliano, per la crescita di un’economia fondata sul trasporto gommato.
Se questa fosse stata una sincera teorizzazione, e non una di quelle balle da marketing della comunicazione che si apprendono nei Master, oggi tutti sarebbero disperati per la situazione dell’A3, perché il corridoio diventa un imbuto già in Campania, e non al momento di salire sul traghetto nel piccolo porto di Villa San Giovanni, estrema punta della penisola.
Molti dei protagonisti della vicenda Ponte sono anche gli attori di primo piano nei lavori della Salerno – Reggio Calabria, e qualcuno prima o poi dovrà chiedergliene conto.
La vicenda A3 chiama direttamente in causa la politica nazionale e l’imprenditoria del Paese. Perché va chiarito in via definitiva se la sovranità territoriale spetta alla ‘ndrangheta, ovvero circa 100 famiglie formate da rozzi semianalfabeti, i cui nomi sono notissimi da decenni, oppure allo Stato italiano.
E se le imprese che lavorano nel settore dei lavori pubblici vedono le cosche come partner ingombranti ed inaffidabili, ma necessari.
Se, infine, i tempi di realizzazione di una infrastruttura ordinaria come una striscia d’asfalto debbano essere contati scandendo i decenni.
Far West Calabria
Costruire una strada in Calabria non è un mestiere per tutti. Antonio Longo, costruttore di Soverato, amministratore delegato della Tecnovese, era a bordo della sua Audi A3 sulla trafficata strada per l’aeroporto di Lamezia. Alle 10 del mattino, una automobile lo affianca, un finestrino si abbassa, due colpi di fucile in pieno volto. Una morte spaventosa.
Al delitto non avrebbe assistito nessuno. Sono stati tre finanzieri liberi dal servizio, pensando ad un incidente, ad avvertire la polizia stradale della presenza di un`auto ferma contro il guard rail.
Longo era impegnato nei lavori per la realizzazione della Trasversale delle Serre, una strada che dovrà collegare la costa Jonica con quella Tirrenica attraversando la zona delle Serre Vibonesi.
La Trasversale sarà ricordata come una strada maledetta: a settembre veniva incendiato un furgoncino della “Impresa Spa”, impegnata nella realizzazione dell’opera nei pressi di Simbario, a due passi da Serra San Bruno, rischiando di provocare una strage. Il veicolo si trovava accanto ad alcune bombole di gas che, se raggiunte dalle fiamme, avrebbero provocato una strage delle decine di operai che stavano dormendo nei prefabbricati del cantiere. Le proteste dei sindacati e l’emozione del giorno dopo non produrrano nulla. Già due mesi prima un altro mezzo era stato incendiato.
Anche la statale 106 (chiamata “la strada della morte” per l’altissimo numero di incidenti stradali), ovvero la via che collega Reggio con Taranto è considerata dalle ‘ndrine come un affare proprio. Questa è la striscia di terra che fronteggia lo Jonio, la zona delle temibili famiglie di Africo, della Locride, di San Luca.
Tutto parte dalle indagini sulla variante di Palizzi, piccolo paese sulla costa nei pressi di Reggio. La commissione d’accesso della Prefettura indaga sui subappalti concessi da Condotte d’Acqua Spa, una delle prime ditte di costruzioni del Paese, a due imprese presumibilmente legate alle ‘ndrine. Siamo alla fine del 2007, parte l’indagine “Bellu lavuru” (il nome è frutto di una intercettazione ambientale effettuata presso il carcere di Parma tra il “tiradritto”, ovvero il boss Giuseppe Morabito, ed i parenti, che lo informano appunto dell’aggiudicazione del riammodernamento della SS. 106). Sotto inchiesta è la fornitura di calcestruzzi, che si rivela di pessima qualità dopo le verifiche disposte dalla Procura ed effettuate da tecnici specializzati dell`ANAS.
Ovviamente l’uso di materiali scadenti nella costruzione di una importante arteria stradale mette a repentaglio la sicurezza degli abitanti del luogo, oltre che di tutti coloro che occasionalmente si trovano a percorrerla.
I cittadini, tuttavia, non sembrano particolarmente sensibili rispetto ai danni sociali che questa criminalità apporta al loro territorio.
Per le maestranze che vengono dal Settentrione sono anni di esperienze forti. “Qui c’è il coprifuoco”, dice al telefono Giuseppe Talarico, geometra della Baldassini & Tognozzi impegnato nei lavori della A3. Non può rendersene conto, ma si trova in mezzo ad un conflitto di competenze territoriali tra clan. E racconta ad un amico quel che gli è capitato mentre delimitava un cantiere: “Mi hanno fermato in due con il fucile e mi hanno puntato la pistola in testa. Che fai? Non volevano che mettessi i picchetti”.
Ovviamente tralasceremo il lunghissimo elenco, un vero bollettino di guerra, degli attentati agli altri cantieri della regione. E’ pratica frequentissima dare fuoco ad escavatori ed a tutti gli altri mezzi, in particolare nelle ore notturne e specialmente nel reggino e nel vibonese.
C’è anche chi si è spinto oltre, come la ‘ndrina Soriano di Filandari, che è arrivata ad imporre una “tassa” di 20 euro ad ogni mezzo pesante che avesse necessità di attraversare la strada di montagna che attraversa il piccolo paese del vibonese. Operazione “Rotarico”, l’hanno chiamata i giudici della DDA: era il balzello di passaggio imposto nella antica città di Rota ai tempi dell’Impero romano.