1. Il 22 giugno del 2008 un immigrato dall’apparente età di 30 anni è stato trovato morto in un container di un traghetto di linea giunto a Venezia e proveniente da Igoumenitsa, in Grecia. Nello stesso container erano stipati altri 6 extracomunitari, probabilmente di origine mediorientale, ricoverati in ospedale a Venezia. La scoperta del cadavere è stata segnalata alla capitaneria di Porto dalle persone che erano a bordo della nave. Sul caso starebbe ancora indagando la polizia di frontiera.
Il 28 giugno del 2008 era stato scoperto il corpo di un giovane irakeno all’interno di un camion carico di cocomeri giunto a Venezia da Patrasso. Il 4 luglio del 2008 era stato ritrovato un iracheno morto nella stiva del traghetto greco Icarus in sosta al porto di Venezia. Era la terza vittima in due settimane nel porto veneziano. Il 12 settembre 2008 un ragazzo afgano di 16 anni è stato trovato morto in un tir sulla nave Ionian Quuen giunta a Brindisi dallo scalo greco di Igoumenitsa.
Il Mediterraneo non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e navi mercantili, dove spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container, come avviene sempre più spesso tra la Grecia e l`Italia. Anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime, non si muore soltanto nel canale di Sicilia a sud di Lampedusa e Malta: sono oltre cento le morti accertate per soffocamento o annegamento alle frontiere marittime dell’Adriatico ( per la fonte delle diverse notizie si rinvia al sito fortresseurope.blogspot.com). Quando non si muore dentro un container o travolti sull’asfalto, le pratiche della polizia di frontiera con respingimenti sommari e “riaffido” dei migranti ai comandanti delle navi, violano i diritti dei soggetti più vulnerabili come donne e minori, o negano il fondamentale diritto di asilo e di protezione internazionale.
Nel mese di settembre, secondo quanto riferisce l’Ansa, una donna irachena ha tentato per due volte in 5 giorni di sbarcare “clandestinamente” nel porto di Ancona provenendo dalla Grecia, con 4 figli tra 6 e 13 anni. In entrambi i casi e’ stata intercettata e respinta immediatamente con i figli verso Patrasso, senza alcun provvedimento formale (che si sarebbe potuto impugnare) ma sulla base di un mero comportamento materiale di allontanamento con riaffido al comandante della nave (che non lascia traccia documentale, al di fuori degli archivi interni della polizia) messo in atto dalla polizia di frontiera, che non ha consentito neppure la proposizione di una istanza di protezione internazionale e l’accesso alla procedura Dublino per la determinazione dello stato competente ad esaminare la richiesta di asilo. Il 15 settembre la donna con i suoi figli era stata accompagnata in Italia da un turco, poi arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Il 20 settembre la stessa donna è stata fermata dalla polizia all’attracco ad Ancona della nave traghetto Olympic Champion, a bordo di un’auto condotta da un iracheno di 26 anni anche lui successivamente arrestato. Non si conosce la sorte di questi procedimenti penali, ma sarebbe opportuno che i difensori degli imputati facessero rilevare gli abusi commessi dalle autorità di polizia che con il loro comportamento arbitrario hanno qualificato come “clandestina” una persona che aveva il diritto di accedere ad una procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Almeno di questa triste vicenda resterebbe qualche memoria.
Della donna e dei suoi figli purtroppo si sono perse le tracce, forse per sempre, inghiottite dall’inferno del porto di Patrasso dove oltre tremila migranti sono in attesa di potere partire verso l’Italia, o fino al prossimo tentativo di ingresso in Italia. Quali costi umani comportino queste prassi di polizia e queste “riammissioni” in Grecia di potenziali richiedenti asilo, nessuno potrà mai saperlo. La lotta contro l’immigrazione “illegale” per fermare alcune migliaia di disperati in fuga verso un Europa che costringe alla illegalità per la mancanza di ingressi legali per lavoro e nega di fatto il riconoscimento effettivo del diritto di asilo, delegando il “lavoro sporco” ai paesi di transito e agli stati che stanno alle frontiere esterne di Schengen..
2. In Italia, alle frontiere portuali, si è diffusa dunque una pratica del tutto arbitraria, quella dei “respingimenti immediati informali” camuffati come pratiche di riammissione ai sensi dell’art. 10 comma 3, dai porti dell’Adriatico, come quello di Ancona, Bari o Venezia, anche a danno di minori o di soggetti particolarmente vulnerabili, reimbarcati sulle stesse imbarcazioni commerciali sulle quali avevano raggiunto un porto italiano, senza alcuna possibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale, come denunciato con ampia documentazione, nel corso di un recente convegno a Venezia, dalle organizzazioni umanitarie che si occupano dell’accoglienza dei migranti alle frontiere marittime.
Al di là della loro dubbia formalizzazione, le misure di allontanamento forzato praticate negli ultimi anni nei porti di Brindisi, Bari, Ancona, Venezia, risultano del tutto illegittime ed arbitrarie in quanto l`art.10 del TU 286/98 che prevede il respingimento, da parte della polizia di frontiera, degli stranieri “che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti (…) per l`ingresso nel territorio dello Stato”, introduce una importante eccezione a tale disposizione. Si prevede infatti che il questore può disporre il respingimento con accompagnamento alla frontiera nei confronti degli stranieri che “sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all`ingresso o subito dopo”, ma si aggiunge poi che (articolo 10, comma 4 del Testo unico n.286 del 1998) tali disposizioni non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l`asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l`adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari”. Ma tanto, si sa, secondo la polizia di frontiera nessuno dei migranti che vengono respinti ha fatto richiesta di asilo o di protezione internazionale… Solo una minima parte dei migranti giunti alle frontiere marittime dell’Adriatico ha potuto usufruire dei servizi di accoglienza alla frontiera, previsti dalla legge ed affidati ad organizzazioni non governative.
Da parte del governo la prassi dei respingimenti con accompagnamento immediato in frontiera è stata giustificata con il richiamo all’Accordo tra il governo greco e il governo italiano “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, sottoscritto a Roma il 30 marzo 1999 che consentirebbe un respingimento in frontiera “senza formalità”. Ma basta leggere i protocolli esecutivi di questo accordo per comprendere come le “formalità” siano previste anche nel caso di respingimento in frontiera di migranti irregolari, e si tratta proprio di quelle formalità che non vengono adottate dalla polizia di frontiera italiana..
Questo Accordo intergovernativo italo-greco, per come viene concretamente applicato, risulta in contrasto con i successivi regolamenti comunitari denominati Dublino II, n.343 del 2003, e Codice attraversamento frontiere Schengen n.562 del 2006, oltre che con il recentissimo decreto legislativo n.25 del 2008 che abolisce qualunque potere discrezionale della polizia di frontiera nel giudicare irricevibili le istanze di asilo, imponendo una adeguata informazione e procedure di garanzia, compresa la possibilità di un interprete indipendente, per tutti i potenziali richiedenti asilo, come vanno qualificati certamente, in base ai documenti delle più importanti agenzie umanitarie, gli afghani e gli iracheni. Ma è sufficiente impedire la presentazione di una domanda di asilo, negare informazioni e traduzione linguistica degli atti, con la pratica della riammissione immediata stabilita sulla base dell’accordo Italia Grecia del 1999 ed il gioco è fatto, nessun richiedente asilo, solo “clandestini” da respingere immediatamente. Nessuna scomoda traccia documentale, tutto scompare nella clandestinità, anche gli abusi commessi dalle autorità amministrative.
Si deve segnalare su questo punto la sentenza del TAR Puglia n. 1870 del 24 giugno 2008, un caso isolato nel quale si è riusciti a fare valere davanti al tribunale amministrativo le istanze di difesa di un cittadino straniero destinatario di un provvedimento di allontanamento forzato, in base al regolamento Dublino n.343 del 2003. La decisione dei giudici pugliesi costituisce un importante precedente per valutare la gravità degli abusi che le forze di polizia italiane commettono quotidianamente obbligando i migranti afghani, irakeni e di altra nazionalità ad imbarcarsi nei porti dell’Adriatico ( Brindisi, Bari, Ancona, Venezia, Trieste) su navi dirette in Grecia, senza avviare nessuna delle procedure che la legge impone in caso di fermo di immigrati irregolari sul territorio nazionale, tra le quali rientra la possibilità di accesso alla procedura di asilo e di protezione sussidiaria, e in questo ambito l’eventuale applicazione del Regolamento Dublino n. 343 del 2003, che prevede l’esame dell’istanza di protezione internazionale da parte del primo paese dell’Unione Europea nel quale il richiedente asilo abbia fatto ingresso. Ma lo stesso Regolamento Dublino prevede diverse “clausole umanitarie” che consentono anche ad altri paesi di accogliere la richiesta di protezione come ha suggerito da tempo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel caso della Grecia.
3. A fronte di una giurisprudenza amministrativa che poteva limitare l’applicazione del Regolamento Dublino II nei confronti della Grecia, anche alla luce dell’adempimento degli obblighi internazionali di protezione e di quanto dettato dal decreto legislativo n. 25 del 2008, le autorità italiane hanno preferito intensificare la pratica della “riammissione”, che non è un “respingimento”, comunque provvedimento amministrativo impugnabile davanti al TAR, non è una “espulsione”, altro provvedimento che sarebbe impugnabile davanti al giudice ordinario, e non è neppure un provvedimento di trasferimento in base alla Convenzione di Dublino, misura altrettanto impugnabile, che comunque obbliga ad una fase procedimentale nella quale deve essere chiamata a pronunciarsi l’Unità Dublino, circostanza che in questo caso non si sarebbe verificata.
Malgrado l’adozione del decreto legislativo 25 del 2008 sulle procedure per il riconoscimento degli status di protezione internazionale, che dovrebbe sottrarre alla polizia di frontiera qualunque potere discrezionale nell’ammissione alle procedure di asilo e di protezione sussidiaria, succede ancora che lo straniero che attraversi irregolarmente una frontiera marittima entri in contatto esclusivamente con il personale di Polizia e possa essere accompagnato in frontiera senza riuscire a presentare domanda di protezione internazionale.
La presenza, nei servizi di frontiera di organismi terzi rispetto alla Polizia quali enti ed associazioni di tutela (ad esempio il CIR e l’ACNUR) non è sempre garantita e, soprattutto, l’ente incaricato non è posto nelle condizioni di operare con piena indipendenza dal momento che il servizio prestato è presente solo nella misura in cui è “consentito” dalla medesima Autorità di polizia. Ciò vale in particolare per la fase del primo contatto con lo straniero – quali ad esempio l’area di transito aeroportuale, il centro di prima accoglienza, spesso un tendone o un hangar, o la nave all’attracco, luoghi spesso preclusi all’accesso di enti terzi, con le motivazioni più varie (motivi di sicurezza, natura extraterritoriale dell’area etc.).
La mancanza di soggetti che possano effettuare con tempestività un monitoraggio indipendente rende oltremodo difficile l’emersione di eventuali comportamenti illeciti da parte delle Autorità di polizia marittima, come si è verificato in questa occasione nel porto di Ancona, ed in passato a Bari, a Brindisi e a Venezia, e rende difficile altresì la stessa registrazione documentale delle prassi applicate dalla Polmare in violazione sostanziale, non solo del Regolamento Dublino n.343/2003 e del codice delle frontiere Schengen, ma anche del principio di “non refoulement” sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
4. La discrezionalità della polizia di frontiera va ridimensionata anche facendo richiamo alle direttive comunitarie che la più recente giurisprudenza ritiene vincolanti anche per l’interpretazione del diritto interno. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ( sentenza n. 27310 depositata in cancelleria il 17 novembre 2008) ha riconosciuto il diritto di asilo costituzionale con riferimento alle norme interne ed alle direttive comunitarie in materia, facendo espresso richiamo sia alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, che ai trattati internazionali, come la Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. La Corte chiarisce poi i diversi presupposti che possono riscontrarsi per stabilire lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea ex art. 5.6 del T.U. sull’immigrazione n.286 del 1998, ponendo fine a quella sovrapposizione tra le diverse fattispecie che aveva caratterizzato le precedenti sentenze più restrittive della prima sezione della stessa Corte.
Alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione appare in tutta la sua gravità la pratica dei respingimenti in frontiera alle frontiere marittime di quanti giungendo dalla Grecia, in particolare irakeni ed afghani, non sono messi nelle condizioni di fare valere una istanza di asilo o di protezione internazionale. E` infatti evidente che ai richiedenti asilo che si respingono con varie modalità ( anche impedendo fisicamente lo sbarco sulla banchina portuale) dai porti dell’Adriatico verso la Grecia non si può applicare un provvedimento di riammissione ai sensi della Convenzione di Dublino, di fatto un respingimento alla frontiera per il rischio documentato che poi queste stesse persone possano venire espulse ancora una volta dalla Grecia verso i paesi di transito e di provenienza, violando persino il principio di non “refoulement” ( respingimento) stabilito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
L’ACNUR, nel documento di raccomandazioni del 15 aprile 2008, ribadito da una presa di posizione ancora più netta nel mese di dicembre dello steso anno – ha espresso la propria preoccupazione per le difficoltà che i richiedenti asilo incontrano in Grecia nell’accesso e nel godimento di una protezione effettiva, in linea con gli standards internazionali ed europei e raccomanda espressamente ai Governi europei di non rinviare in Grecia i richiedenti asilo in applicazione del regolamento Dublino fino ad ulteriore avviso. L’ACNUR ha invece raccomandato, agli stessi Governi, “l’applicazione dell’art. 3 (2) del regolamento Dublino, che permette agli Stati di esaminare una richiesta di asilo anche quando questo esame non sarebbe di propria competenza secondo i criteri stabiliti dal regolamento stesso”.
Negli stessi giorni nei quali si è appreso della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è verificato un importante intervento della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che sulla base di un ricorso in via di urgenza, ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura, ha individuato la possibile violazione dell’art. 34 CEDU ( diritto ad un ricorso individuale) e ha intimato allo Stato italiano di sospendere dell’espulsione di un cittadino afgano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008, come ampiamente riferito nel sito www.asgi.it.
Rimane da verificare se il governo italiano si conformerà a quanto intimato dalla Corte di Strasburgo, o violerà ancora l’ordine impartito dalla stessa Corte, come già avvenuto per la prima volta nello scorso giugno ai danni di un richiedente asilo tunisino, per il quale la corte europea aveva chiesto la sospensione dell’espulsione, ma che la polizia di stato aveva comunque rimpatriato nel paese di origine. In precedenza il Tribunale Amministrativo della Regione Puglia aveva sospeso l’esecuzione di una “riammissione” ai sensi della Convenzione di Dublino di un richiedente asilo verso la Grecia, paese di primo ingresso nell’Unione Europea, a causa del rischio fondato che in quel paese lo stesso richiedente asilo non fosse messo nella condizione di fare valere il diritto alla protezione internazionale a causa degli standard minimi del riconoscimento di tale diritto in quel paese ( con percentuali di accoglimento inferiori all’uno per cento delle domande)
5. Malgrado la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo, e nonostante la chiarissima decisione del Tribunale amministrativo della Regione Puglia, la condizione dei potenziali richiedenti asilo che giungono alle frontiere marittime dei porti italiani in Adriatico rimangono assai incerte. Si tratta di una realtà che emerge solo quando si scopre qualche cadavere all’interno di un container, ma tutto il resto rimane nell’ombra anche a causa dello sbarramento militare delle aree portuali e della mancata possibilità di accesso per gli operatori delle agenzie umanitarie ai migranti che sono fermati subito dopo l’attracco della nave in porto, in qualche caso quando si trovano ancora a bordo della stessa nave. In questi casi non è facile reperire avvocati di fiducia ed interpreti indipendenti, nessuno fornisce informazioni ai potenziali richiedenti asilo, spesso minori non accompagnati e talvolta anche donne, provenienti in maggioranza da Afghanistan ed Irak attraverso la Turchia e la Grecia, percorso che rischiano di percorrere a ritroso se scatta la collaborazione delle forze di polizia di questi paesi nelle procedure informali di “riammissione”.
Più frequentemente a fronte dei costi delle operazioni di rimpatrio, la procedura di riammissione in base alla Convenzione Dublino si risolve nella liberazione a Patrasso di coloro che vengono allontanati dall’Italia. Le proteste di questi ultimi giorni hanno fatto vedere a tutto il mondo quale sia la situazione di ingovernabilità e la violenza della polizia di Patrasso. Si apprende inoltre che una recente indagine della magistratura greca ha messo totto accusa undici poliziotti di frontiera accusati di estorcere danaro per favorire le partenze dei migranti verso l’Italia. Ma è verso questi poliziotti che la polizia italiana respinge centinaia di migranti verso Patrasso. In sostanza, la polizia di frontiera italiana si limita a impedire la discesa dei potenziali richiedenti asilo dalle navi con le quali giungono nei porti italiani, o provvede a reimbarcarli su quelle stesse navi quando sono riusciti e sbarcare, magari nascondendosi in un container o sotto un tir, ma in questo modo non fa altro che moltiplicare il numero di coloro che ritentano l’ingresso irregolare pur avendo titolo in molti casi a fare valere una richiesta di protezione internazionale. E sono decine le vittime di questi tentativi di ingresso, persone che perdono la vita quando avrebbero almeno diritto a presentare una richiesta di asilo e ad essere giudicati da una commissione imparziale in un paese nel quale il diritto di asilo, e la protezione internazionale, previsti ormai dalle direttive comunitarie oltre che dalle costituzioni nazionali, possano avere riconoscimento effettivo. In ogni caso andrebbe operata una valutazione caso per caso delle conseguenze della decisione di rimpatrio o di riammissione in relazione alla specifica situazione della persona e non procedendo per gruppi interi, prassi nella quale si potrebbe anche riscontrare la violazione del divieto di espulsioni collettive.
Anche nei casi di respingimento in frontiera o di riammissione ai sensi della convenzione di Dublino, rimane comunque l’obbligo, in base alle norme sul procedimento amministrativo, di specificare in motivazione non solo i motivi del provvedimento, ma anche i motivi per cui non si è ritenuto di dover disporre l’ammissione al territorio nazionale e l’accesso alla procedura di asilo. Né può reggere all’infinito la giustificazione addotta dalle forze di polizia secondo le quali i potenziali richiedenti asilo che rimangono ( spesso a forza, in condizioni di detenzione in cabine/prigione a discrezionalità del comandante) sulle navi o che vengono riaccompagnati sulla nave ed “affidati” allo stesso comandante, non abbiano presentato una richiesta di asilo o di protezione internazionale. Sono proprio gli stessi migranti, dopo il primo tentativo fallito, quando riescono finalmente a ritornare nel nostro paese, accedere alla procedura di asilo ed ottenere uno status di soggiorno legale, che raccontano con dovizia di particolari le vessazioni che hanno dovuto subire a bordo delle navi quando la polizia Italia li aveva bloccati a bordo o costretti a risalire sulla nave pronta a salpare dopo qualche ora per il viaggio di ritorno verso la Grecia.
6. Di fronte a leggi sempre più orientate alla repressione ed alla discriminazione istituzionale, e in presenza di a prassi amministrative che negano l’ammissione alla procedura di asilo, le decisioni delle corti nazionali ed internazionali sembrerebbero riconoscere adesso una qualche possibilità di difendere realmente i diritti fondamentali della persona migrante, a partire dal diritto di chiedere asilo e protezione internazionale. In un momento nel quale le associazioni umanitarie indipendenti vengono allontanate dai luoghi di confine, sempre più militarizzati, ormai spazi extraterritoriali nei quali non valgono le leggi dello stato ed i principi del diritto internazionale e comunitario, diventa sempre più importante garantire a tutti i migranti l’accesso alla mediazione linguistica ed alla difesa legale.
Occorre intensificare il lavoro quotidiano di monitoraggio e di denuncia di quanto avviene alle frontiere marittime nei porti di Brindisi, Bari, Ancona, Venezia, per impedire che questi spazi diventino altri “campi di sbarramento” e di esclusione rispetto a soggetti, anche minori, che appaiono particolarmente vulnerabili. Bisogna evitare che quelle pratiche di allontanamento forzato e di riammissione, con le quali si vorrebbe fare statistica e trasmettere un messaggio rassicurante alla popolazione, determinino invece condizioni di clandestinità e di disperazione che avvantaggiano la criminalità e causano un numero crescente di vittime innocenti.
Si deve tentare dunque di raggiungere il numero più elevato possibile di potenziali richiedenti asilo anche chiedendo la collaborazione dei comandanti delle navi traghetto. Qualora questa collaborazione non si riscontrasse vanno ideate e praticate forme diverse di controinformazione e di boicottaggio per sanzionare quelle compagnie di navigazione che impediscono l’accesso alla procedura di asilo o si prestano ad effettuare rimpatri e riammissioni, dopo l’arrivo dei migranti irregolari alle frontiere portuali italiane. E poi bisogna praticare interventi di assistenza e di informazione alle frontiere, che, previsti dalla legge da anni, sono rimasti solo sulla carta. Un impegno indifferibile che richiama la responsabilità di associazioni, gruppi di cittadini, enti locali.
E’ tempo anche che, come avvenuto a Lampedusa e in altre parti della Sicilia, le grandi agenzie internazionali come il Comitato per la prevenzione della tortura e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che tutelano i diritti fondamentali della persona migrante, ascoltino le denunce delle associazioni umanitarie ed inviino missioni ed ispezioni nei porti dell’Adriatico per rilevare gli abusi che si verificano e costringere le autorità italiane e greche a porvi fine.