Adesso è la crisi a preoccupare gli italiani

Sicurezza, il grande bluff della paura

Alessio Magro
  L’indagine promossa da Unipolis dice che gli italiani ora si sentono meno insicuri. Appena qualche anno fa tremavano al pensiero degli immigrati violenti, proprio quando i reati erano in calo. Nel 2007 un picco storico di notizie “nere” ha falsato la percezione della gente. I telegiornali ed i media in generale sono i responsabili, ma non sentono la necessità di porsi delle domande
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Novembre 2007, il grande bluff della paura. Gli italiani tremano di fronte all’invasione degli immigrati violenti, che appaiono continuamente sui media, proprio mentre il numero di reati cala. E’ il più grande paradosso dell’ultimo decennio quello creato dai Tg nazionali: un corto circuito mediatico, che ha influenzato la percezione della realtà degli italiani, proseguito fino alle politiche di primavera. Una vera e propria “psicosi collettiva”.

Un caso che sbalordisce. E sbalordisce ancor di più perché le cifre della seconda indagine “La sicurezza in Italia: significati, immagine e realtà” (ottobre 2007-ottobre 2008, presentata nel corso di una conferenza stampa) registrano una netta inversione di tendenza negli ultimi 4 mesi. Le tabelle – elaborate da Demos e  Osservatorio di Pavia per conto della Fondazione Unipolis – dicono che “gli italiani hanno meno paura della propria incolumità” spiega il professore Ilvo Diamanti (curatore delle indagini). E hanno ancora meno paura dello straniero.

Un fatto positivo, ma una conferma dell’enorme potenziale discorsivo dell’informazione italiana. “L’indagine – aggiunge Diamanti – restituisce lo scollamento tra il reale e la percezione del reale, che è influenzata dalla rappresentazione dei media”. In altri termini i gradi insicurezza e criminalità viaggiano follemente per fatti loro. I media “sovraespongono” il fenomeno, quei media “in relazione stretta con la politica”, fa notare il noto professore di Urbino, durante quella che “è una fase molto lunga di intreccio tra informazione, politica e politiche sulla sicurezza”. Ognuno ne tragga le conseguenze.

Cifre alla mano, il direttore di Demos Fabio Bordignon  traccia la curva delle paure nostrane. Il sondaggio ci dice che “calano tutti gli indicatori relativi all’insicurezza personale, anche se gli italiani pensano che la criminalità sia aumentata negli ultimi anni”. Più ci si allontana dal personale, dal quotidiano, maggiore è la percezione dell’insicurezza, “che potremmo definire ideologica”. Non è tale la paura della crisi. La pensione, la disoccupazione, la crisi internazionale, il futuro proprio e dei figli. Angosce concrete, che precedono la crisi vera e propria e restano costanti. Anche questo è un dato significativo: negli ultimi 12 mesi un italiano su 3-4 (con una diminuzione di ben 7 punti)  guarda con preoccupazione per la propria incolumità, ma sono 6 su 10 quelli che hanno timori di natura economica, e il dato resta costante anche adesso che la crisi è esplosa nel reale  e sui media.

“Le preoccupazioni di natura economica sono stabilmente consistenti” spiega Chiara Saraceno. Per la professoressa dell’università di  Torino anche in questo caso esisterebbe un condizionamento mediatico, una sorta di soglia ormai insuperabile, “preparata a lungo. Ad esempio si è parlato per anni di impoverimento del ceto medio e si sono date cifre improbabili sul numero dei nuovi poveri”. Notizie ansiogene, percezione falsata, o quanto meno in questo caso in anticipo rispetto agli eventi, “un serio problema di comunicazione” chiude la Saraceno.

“Abbiamo registrato una sorta di bolla, c’è un picco come il Pordoi nei grafici”. Si entra nel vivo dell’indagine con l’analisi di Antonio Nizzoli dell’0sservatorio di Pavia. Nel monitoraggio dei Tg serali, è stato appunto rilevato il picco di esposizione delle notizie sulla criminalità negli ultimi mesi del 2007. Colpiscono i grafici. Percezione dell’insicurezza e numero di reati coincidono nel 2005, la forbice si allarga piano piano, fino al picco Pordoi. Poi il “raffredamento emozionale” degli ultimi mesi. Perché? Il numero di notizie “di cronaca nera” schizza  e raddoppia. Un record. Un altro grafico fotografa la realtà televisiva: Mediaset dedica sempre più spazio alle notizie sulla criminalità rispetto alla Rai, ma la forbice resta costante. I Tg si inseguono, e le reti ammiraglie fanno la tendenza.

Ci pensa Gad Lerner, che ha moderato l’incontro, ad accendere la miccia. Grande vecchio? “Non credo ai complotti – dice il giornalista – non credo agli imprenditori della paura. E’ la qualità dell’informazione, il modo di dare le notizie a influenzare gli spettatori”. E ancora “il nostro Paese è diffidente verso gli immigrati”.

Diamanti prova con diplomazia a trarre conclusioni opposte. Campagna elettorale, influenza massiccia della politica sui mezzi di comunicazione, la lunga esposizione alla crisi finanziaria rendono il Paese vulnerabile. Poi l’ottimismo del tecnico: i dati registrano però “una deflazione di ostilità etnica”, e il “paese ha meno paura, noi pure”.

Molto più dura la Saraceno: “Non ci sarà il grande vecchio, ma l’informazione è circolare e appiattita, un circolo vizioso che qualcuno dovrebbe spezzare”. Tocca a monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, chiedere “un pacchetto di politiche di integrazione”, perché “un territorio solidale è anche un territorio più sicuro”. Il professor Massimo Livi Bacci (università di Firenze) parla esplicitamente di “psicosi collettiva” tornando al novembre 2007. E poi tira fuori un dato la dice lunga: dal ’90 ad oggi i reati di omicidio si sono dimezzati. Ma anche un dato positivo: dieci anni fa il 50% degli italiani temeva gli immigrati, oggi la percentuale è del 30%. “C’è più razionalità, adesso ci vorrebbe correttezza” chiude Livi Bacci.

A tirare le fila del dibattito ci pensa Pierluigi Stefanini, presidente di Fondazione Unipolis e di Unipol Gruppo Finanziario. La crescente esposizione delle fasce deboli alla crisi finanziaria e sociale, la forbice che si allarga, la paura della gente, dati oggettivi “che vanno compresi, per comprendere il reale” dice Stefanini. Ecco il perché dell’indagine voluta da Unipolis, un momento di approfondimento che la fondazione intende produrre con continuità. Uno strumento “per fornire elementi di stimolo e confronto, elementi di oggettività che diano spunti riflessione alla politica e, perché no, all’informazione”. Un esempio: “Si parla di incidenti stradali, di ubriachi alla guida e immigrati al volante. Non si parla però delle cause strutturali, della sicurezza dei mezzi, delle strade, del sistema di trasporto in Italia”. E infine Stefanini chiude un messaggio: “Chi ha potere influenza il Paese. Noi ci interroghiamo su questa grande responsabilità”.

 

Il rapporto completo [PDF]

Il commento di Ilvo Diamanti

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