FOGGIA – A Verona lavorava come addetta alle pulizie, in una libreria. Poi l`incidente in auto, il femore rotto, la lunga degenza. E l`inizio di quella lenta discesa che dal ricco nord l`ha portata nelle campagne foggiane, in mezzo ai nuovi schiavi che alle prime luci dell`alba ogni mattino vanno a cercare lavoro nei campi per 20-25 euro al giorno. Nella masseria occupata dove vivono una trentina di nigeriani, in mezzo a una distesa piatta di piantagioni di pomodori e campi appena arati, la chiamano mommy, mamma. Avrà una cinquantina d`anni. Nel femore ha ancora i ferri dell`operazione. Vive in Italia da diciassette anni. L`incidente le ha fatto perdere il lavoro. E senza lavoro non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Adesso, con un decreto di espulsione alle spalle, è tagliata fuori dai giochi.
Foggia dista meno di 20 chilometri, ma è un altro mondo quello dove vivono i braccianti senza documenti. Un mondo di sfruttamento sul luogo di lavoro, di miseria nella vita quotidiana, e di segregazione nella vita sociale. Nella masserie occupate spesso non c`è elettricità, né ci sono bagni. La Regione ha finalmente montato le cisterne per l`acqua potabile, ma spesso si debbono percorrere chilometri a piedi con le taniche sulle spalle per raggiungerle. C. mi accompagna al piano di sopra della masseria dei nigeriani. È togolese ma vive con loro. In una stanza di pochi metri quadrati conto cinque materassi a una piazza e un matrimoniale. Alcuni buttati per terra, altri sulle reti. Alcuni dormono fuori. In una stanza al pian terreno, una vecchia cucina a gas serve a preparare il riso ogni sera. C. ha trent`anni. In Italia è arrivato otto anni fa, nel 2000. Sbarcò a Lampedusa e chiese asilo politico.
L`asilo non gli è mai stato riconosciuto. C`è un ricorso pendente presso la Commissione stralcio a Roma, ma otto anni non sono stati sufficienti a chiarire il suo caso. Fino al 2004 ha lavorato a Varese in un`azienda di montaggio di piscine prefabbricate. Aveva registrato il contratto con il permesso di soggiorno di un amico che gli somigliava. Poi i primi controlli, e l`ordine di espulsione. A Foggia vive dal 2005. Ma dall`Italia se ne vuole andare. “Com`è possibile vivere in queste condizioni e lavorare dieci ore al giorno nei campi per 25 euro! In Italia ci sono ancora gli schiavi!”. In Togo gli è rimasta soltanto la madre. Il padre è stato ucciso, durante la dittatura del vecchio presidente Eyadema, prima che partisse.
T. invece al ghetto ci è arrivato una settimana fa. Il 28 luglio. È uno dei 100 nigeriani che sbarcarono a Lampedusa alla fine di maggio e vennero trasferiti direttamente nel centro di identificazione e espulsione di Bari Palese, senza la possibilità di chiedere asilo politico. Dal Cie è uscito il 28 luglio. Qui ce l`ha portato il passaparola. Ma del bracciante non ha niente. Sulle palme delle sue mani non ci sono calli e gli occhiali da vista gli danno un`aria troppo seria. T. dice che in Nigeria lavorava come cameraman alla televisione NTA a Benin City. In Italia invece dovrà imparare a raccogliere pomodori. Non ha altra scelta. Gli servono soldi per proseguire il viaggio verso nord, dove magari troverà qualche lavoro in nero.
E dal nord invece c`è chi scende ogni estate per raccogliere i pomodori. Sono soprattutto senegalesi, che per un mese l`anno, approfittando della chiusura delle fabbriche, vengono ad arrotondare lo stipendio. Ma sono davvero pochi. La maggior parte di chi vive, lavora e si ammala nelle campagne foggiane, non ha un permesso di soggiorno. Ci sono potenziali rifugiati politici, persone bisognose di cura, uomini di cultura. Non hanno altra opzione. E intanto il governo, come ogni anno, annuncia che sta lavorando a un decreto flussi per l`ingresso di lavoratori stranieri. Quest`anno saranno 170.000 i visti rilasciati dalle nostre ambasciate. Poco importa se almeno il doppio già vivono e lavorano in Italia, schiavizzati nelle campagne foggiane piuttosto che nei cantieri edili romani. Probabilmente è più importante mantenere basso il prezzo del pomodoro.