I primi cadaveri sono già stati recuperati, mentre le ricerche continuano, un`altra strage, avvenuta proprio quando era ormai vicina una unità della nostra Marina impegnata nell’intervento di salvataggio. La strage, silenziosa e spesso ignorata anche dai mezzi di informazione, continua, nulla si sa delle modalità di impiego e dei risultati dell’intervento delle unità di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che dallo scorso 18 maggio è impegnata nel Canale di Sicilia, a ridosso delle acque libiche, per “contrastare l’immigrazione clandestina” e respingere verso i porti di partenza le imbarcazioni cariche di migranti. Un compito impossibile da assolvere, al di là della funzione “pedagogica” che la militarizzazione del Mediterraneo dovrebbe sortire.
Nessun candidato all’emigrazione clandestina si sta facendo spaventare dalla presenza delle unità militari europee che tentano, invano, di sbarrare la strada alle imbarcazioni che la Libia e gli altri paesi nord-africani lasciano partire periodicamente, con la collusione delle organizzazioni criminali e, spesso, delle polizie di frontiera.
Il numero degli immigrati giunti a Lampedusa è raddoppiato rispetto allo scorso anno, e lo stesso si può dire per le vittime, anche se tutti riconoscono che non sarà mai possibile conoscere il numero esatto dei morti. Sempre più spesso però i cadaveri si impigliano nelle reti dei pescatori o sugli scogli di Lampedusa. Il prezzo imposto dalle rotte sempre più lunghe e difficili e dai mezzi a perdere che i trafficanti forniscono ai migranti per la traversata. E quando si riesce ad arrivare può andare ancora peggio.
Solo la polizia e alcuni magistrati di Agrigento continuano a credere che tra i migranti ci siano gli scafisti, con decine di condanne per direttissima, senza una effettiva possibilità di difesa, anche a carico di potenziali richiedenti asilo. In realtà le imbarcazioni vengono affidate per viaggi senza ritorno, direttamente ai migranti che si alternano alla loro guida. Le nuove misure del pacchetto sicurezza, che estendono la durata della detenzione nei centri di detenzione amministrativa e criminalizzano l’ingresso ed il soggiorno irregolari, aumentando a dismisura il numero dei soggetti potenzialmente espellibili, accrescono a dismisura l’arbitrio di polizia ma riducono inesorabilmente le possibilità effettive di dare esecuzione alle espulsioni.
Lampedusa e i vecchi/nuovi centri di detenzione amministrativa, adesso denominati CIE (centri di identificazione ed espulsione) sono al collasso, nei CIE ( ex CPT) l’ordine rimane affidato soltanto ai manganelli di turno, e non si sa quando e in quali condizioni saranno aperte le altre strutture detentive annunciate dal governo. Le possibilità di effettiva espulsione sono ancora più ridotte (si potrebbe dire a questo punto, per fortuna) per effetto di una politica estera che si basa solo sulle promesse di cooperazione futura e sullo scambio di partite economiche, sempre sulla pelle dei migranti, ma non riesce neppure a coinvolgere le scaltre dittature che reggono i paesi nordafricani a contrastare effettivamente l’immigrazione clandestina.
La Libia o l’Egitto rimpatriano alcune centinaia di eritrei riconsegnandoli ai loro torturatori, ma anche questo purtroppo è più una operazione di immagine, che un effettivo strumento di contrasto dell’immigrazione clandestina. E chiunque ha i mezzi economici per corrompere una guardia, magari con una rimessa Western Union fatta da un parente in Europa, può proseguire il suo viaggio. Tutto all’insegna di una contrattazione continua, sul terreno, nelle carceri come ai tavoli di governo, tanti migranti espulsi o trattenuti, tante commesse per le imprese di un paese europeo, tanti rifornimenti in tecnologie militari ai potentati nordafricani per un improbabile controllo delle frontiere meridionali tra la Libia il Chad e il Niger, tra l’Egitto e il Sudan, tra il Marocco e la Mauritania e il Mali.
Tante le vittime nei deserti africani come nelle acque del Mediterraneo. Cambiano le rotte e cambia la composizione e la provenienza dell’immigrazione irregolare che tenta di raggiungere Lampedusa, e sempre più spesso le coste della Sicilia sud-orientale, da Pozzallo a Porto Palo di Capo Passero. Tra gli immigrati soccorsi in mare dalle unità della nostra marina sempre più spesso donne e minori non accompagnati in fuga dall’inferno libico, come conferma Medici senza Frontiere (MSF), aumentati rispettivamente dell’11% e del 4,6%.
Sempre più numerosi i migranti in fuga dalla Somalia, dall’Etiopia e dalla Nigeria, tutti potenziali richiedenti asilo, che troppo spesso incappano in un provvedimento di espulsione o di respingimento una condanna alla clandestinità permanente. Che fare di fronte a questa strage silenziosa? Innanzitutto occorre chiudere la stagione dei processi ai comandanti di imbarcazioni civili che hanno salvato vite di migranti in procinto di annegare, come è successo nel caso della nave tedesca Cap Anamur nel 2004 e dei pescherecci tunisini alla fine dell’estate del 2007.
Occorre ridare la serenità ai lavoratori del mare ed alle organizzazioni umanitarie che gli interventi di salvataggio non produrranno conseguenze penali, un modo per rendere più tempestive le operazioni di salvataggio e ridurre il numero delle vittime. Bisogna adottare nuove regole di ingaggio e di collaborazione tra i numerosi pescherecci che operano nel Canale di Sicilia e i mezzi della marina, in modo da procedere al salvataggio subito dopo il primo avvistamento, senza attendere il tempo necessario per l’arrivo di una unità militare. Le unità di Frontex vanno riconvertite a compiti di salvataggio, e le loro attività devono essere rese pubbliche. In mare interviene per una operazione di salvataggio chi si trova più vicino, non necessariamente chi si trova su una imbarcazione militare.
E sono ancora troppe le testimonianze di migranti che sono rimasti per giorni alla deriva nel Canale di Sicilia perché i pescherecci che li avvistavano proseguivano nella loro attività di pesca, senza rischiare il fermo ed il sequestro dei loro mezzi. Si devono poi aprire veri e propri “corridoi umanitari” che consentano ai migranti in fuga dalla Libia di abbandonare quel paese verso altri stati, anche in Europa, nei quali il loro diritto di asilo possa essere riconosciuto. Va riconosciuto l’asilo extraterritoriale anche nei paesi di transito. E per i migranti economici devono comunque essere garantiti i diritti fondamentali ed il diritto al rientro nel paese di origine, e da li una effettiva possibilità di ingresso in Europa per ricerca di lavoro.
Esattamente il contrario delle politiche migratorie che si stanno consolidato dietro il progetto di Unione Euro-mediterranea, un progetto che nasce già morto, perché molti paesi del nord-africa, tra i quali la Libia, sono apertamente contrari. L’intensificato flusso di immigrazione clandestina, il raddoppio degli arrivi a Lampedusa e in Sicilia, significa proprio che la collaborazione, tanto pubblicizzata da anni, tra i paesi delle due rive del Mediterraneo per “combattere l’immigrazione illegale” è l’ennesimo spot pubblicitario di Sarkozy e di Berlusconi. Ma D’Alema e Zapatero non si sono dimostrati troppo diversi, almeno sulle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera.
Per battere questi politici venditori di fumo, imprenditori della “sicurezza”, che hanno costruito sugli allarmismi e sugli stati di emergenza le loro fortune (o sfortune) elettorali, mentre sono gli autentici responsabili delle “stragi dell’immigrazione clandestina” e della moltiplicazione del numero degli immigrati irregolari, occorre mobilitare l’opinione pubblica, rinforzando le reti di difesa legale e sociale tra le due sponde del mediterraneo, dando voce ai parenti delle vittime dell’immigrazione clandestina, alle associazioni indipendenti che difendono i diritti dei migranti nei paesi di transito, a quei coraggiosi giornalisti indipendenti che testimoniano ogni giorno il fallimento delle politiche securitarie degli stati europei ed il loro altissimo costo in termini di vite umane.
Se i partiti che in Europa oggi sono all’opposizione volessero riprendere una iniziativa più forte in materia di immigrazione, anche in vista delle prossime elezioni europee del 2009, dovrebbero individuare proprio nel capovolgimento della politica comunitaria in materia di immigrazione e asilo uno dei capisaldi del loro impegno. Senza il contributo degli immigrati ( da regolarizzare) e senza il riconoscimento dei diritti fondamentali (a partire dal diritto di asilo) l’Europa è condannata ad un rapido declino, economico, sociale ed anche demografico. Va rivista la politica delle alleanze internazionali. Magari proprio a partire dai rapporti con i dittatori dei paesi della costa sud del mediterraneo che troppo spesso vengono considerati come partner affidabili piuttosto che come despoti autoritari e alleati dei trafficanti di uomini, che tutti a parole dichiarano di volere combattere.