“Qui dove le montagne incontrano il mare, dove le spiagge sono paradisiache e la costiera è d’oro, con alberi di aranci e di limoni: questa è la Sicilia”. Benvenuti nell’isola da cartolina, benvenuti nella realtà virtuale dell’Hilton Corporation a confronto con la cupa costa tirrenica barcellonese: davanti l’eden delle Eolie, alle spalle le feroci cosche dei Nebrodi e del Longano.
L’Hilton di Portorosa è una delle maggiori strutture dell’isola, classe cinque stelle, 267 camere, tre ristoranti, attracco privato per yachts, spiaggia ed altri servizi da grande resort internazionale. Uno di quei mostri di cemento che dividono i fautori di un turismo industriale da quelli che invocano un modello leggero e sostenibile.
Ma la questione non è tutta qui, perché l’Hilton di Portorosa potrebbe rappresentare un nuovo modello di schiavismo patinato, di simbiosi nefasta tra grandi corporation internazionali e piccoli imprenditori indigeni. La mattina del 21 febbraio 2008 i clienti attoniti assistono ad un blitz tanto imponente quanto raro in questi luoghi: ispettorato del lavoro, Inps e carabinieri irrompono controllando cento lavoratori, con lo scopo di verificare quanto denunciato dalla Fisascat Cisl al Prefetto di Messina.
Il risultato è stupefacente: molti dei lavoratori sono in nero, e sono tante le irregolarità sulla gestione del personale. “La diffusione del lavoro nero e di forme di ricatto occupazionale anche nelle grandi aziende internazionali è la conferma di un allarme sociale che non deve essere più sottaciuto e sottovalutato”, dichiara il sindacato.
“La Fisascat Cisl, infatti, aveva già fatto presente al Prefetto di Messina tale rischio e rammenta che la stessa Hilton, convocata su istanza del sindacato presso l’Ufficio provinciale del lavoro per regolarizzare la posizione dei lavoratori, ha disertato l’incontro sottraendosi al dovere di affrontare la vertenza”.
“E’ preoccupante – aggiunge il segretario generale della Cisl di Messina – che anche le catene multinazionali praticano illegalità, evasione fiscale e ricatto in un settore strategico per lo sviluppo locale come il turismo. Un intreccio tra malaffare ed economia che va debellato subito, evitando che si sviluppi una pseudo-imprenditoria che si afferma grazie a complicità, condizionamenti territoriali e la presunzione di farla sempre franca”.
“Adesso come sindacato chiederemo alle istituzioni preposte di garantire che tutti i lavoratori dell’Hilton oggetto di ispezione siano regolarizzati e tutelati nella continuità occupazionale. Sarebbe un atto concreto per affermare il principio della legalità e la fiducia nelle istituzioni”.
Ma solamente dopo due mesi, ai primi di aprile, arriva l’annuncio che conclude la vicenda: presso l’Ufficio provinciale per il Lavoro di Messina un incontro tra i sindacati ed i rappresentanti della società Eurocostruzioni Spa che gestisce l’Hotel Hilton di Portorosa sancisce l’applicazione del contratto nazionale di categoria a tutto il personale impiegato, “entro 15 giorni”.
“E’ il primo risultato – dichiarano i segretari del sindacato – di un lavoro di denuncia avviato con il coinvolgimento degli organi ispettivi per far emergere le tante situazioni di sfruttamento dei lavoratori in tutta la provincia. Attendiamo adesso la relazione della visita ispettiva per avere contezza di quanti sono i lavoratori trovati senza contratto che saranno regolarizzati. Siamo convinti che grazie a queste azioni di denuncia si possano tutelare tutti quei cittadini che, lavorando in nero, sono sottoposti a continui ricatti da parte dei datori di lavoro”.
Molte settimane dopo, alla fine di aprile 2008, i dirigenti sindacali della Fisascat Cisl di Messina incontrano in assemblea i lavoratori che nei giorni precedenti erano stati oggetto di pressioni finalizzate a far sottoscrivere loro un verbale di conciliazione e di rinuncia ad alcune spettanze già maturate, piuttosto che avviare la corretta procedura di emersione del lavoro nero. Segnali da parte della società di voler perseguire la strada dell`irregolarità.
Quattocentonovantamila stanze
Hilton Corporation possiede più di 2.800 hotel per un totale di 490.000 stanze in 80 paesi del mondo. La vicenda siciliana ricorda quanto accade nel Terzo Mondo. Grandi multinazionali cedono in franchising il proprio marchio a ditte locali oppure affidano loro subappalti.
Dopo un accordo impegnativo come un contratto di franchising, il franchisor non può limitarsi ad incassare denaro, ma deve effettuare costanti ed attenti controlli, se non per etica almeno per interesse, perché il danno d’immagine inevitabilmente ricadrà sul marchio principale.
In occasione di scandali (quasi sempre concernenti lo sfruttamento dei lavoratori) il marchio internazionale teme per la propria reputazione e tende a scaricare le responsabilità sui referenti locali. Già anni fa aziende come Nike e Benetton hanno sostenuto con imbarazzo la strategia del “non ne sapevamo nulla”, per poi – di fronte ai boicottaggi – intraprendere una via diversa a base di codici di comportamento ed organi ispettivi autonomi.
Nel giro di poco tempo siamo passati dalla solidarietà agli operai bambini del Pakistan all’esperienza in prima persona. Cosa si chiedono i lavoratori siciliani? Se neanche una grande multinazionale si prende la briga di fare uno straccio di contratto, fosse pure a progetto, quale destino ci attende?
E i sindacati cosa fanno? Gli organi ispettivi perché esistono? Tutti coloro che parlano di legalità, in primis gli imprenditori che si oppongono al racket, perché non chiedono il rispetto delle regole anche in tema di lavoro?
Gli investimenti sul territorio, dal settore turistico a quello straripante dei centri commerciali, possono portare posti di lavoro o sono destinati solo a creare nuovi schiavi, precari e sottopagati?
Domande importanti, in un territorio alla fame. Domande essenziali cui la politica non sembra dare importanza; anzi, spesso si occupa di barattare voti di preferenza con “posti” di questo genere.
I media non fanno di meglio. La notizia del blitz di febbraio è stata riportata da qualche giornale locale ed alcuni siti, sempre a carattere locale. Tutti si sono limitati a riportare più o meno testualmente il comunicato del sindacato. Nei giorni successivi, la notizia è sparita, nonostante meritasse ampi approfondimenti (che fine hanno fatto i lavoratori? Sono stati regolarizzati? Quali gli effetti del blitz sulle strutture limitrofe che utilizzano lavoro nero?)
Sequestro per equivalente
L’Hilton di Portorosa era già diventato “famoso” per essere stato posto virtualmente sotto sequestro nel maggio del 2007, due mesi dopo l’inaugurazione, in seguito ad una indagine della Guardia di Finanza di Catania.
Fatture false per quattro milioni di euro finalizzate ad una maxi truffa nell’ambito dei finanziamenti per la legge 488. Il sequestro, dicono le carte dei magistrati, riguarda lo stabile ma non l’attività alberghiera, la ditta di Paternò ma non la Hilton International.
Un mese dopo il terreno sarà dissequestrato con tante scuse, gli avvocati dimostrano che le fatture sono regolari così come i requisiti dell’azienda per l’accesso ai finanziamenti.
La stessa multinazionale aveva precisato i termini della questione per riparare al gravissimo danno d’immagine:
“Il sequestro dell’hotel ‘Hilton’ di Portorosa è relativo non all’attività alberghiera ma all’immobile, di proprietà della società ‘Eurocostruzioni’ di Catania coinvolta nell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Catania. Secondo l’accusa, la società avrebbe gonfiato i costi sostenuti per realizzare il complesso turistico. L’hotel viene gestito in franchising e la società ‘Hilton’ è estranea ai fatti oggetto di indagine. Per consentire la prosecuzione dell’attività dell’albergo, la Procura di Catania ha disposto il sequestro preventivo di un terreno ubicato nel territorio di Paternò (Catania), appartenente sempre alla ‘Eurocostruzioni’ e di valore pari a quello dell’immobile di Portorosa. Tecnicamente la procedura si chiama ‘sequestro per equivalente’” (Comunicato stampa gestori Hilton).
È comprensibile l’esigenza di distinguere e prendere le distanze nel momento dello scandalo, successivamente rientrato: ma la multinazionale aveva riposto grandissima fiducia in Eurocostruzioni, una ditta che nel proprio curriculum su Internet elenca appena la struttura costruita a Portorosa ed il municipio di Ragalna.
“Dopo le esperienze di franchising con quattro hotel nei Caraibi a marchio ‘Coral by Hilton’, nove hotel in India a marchio ‘Trident by Hilton’ e diversi alberghi in Norvegia a marchio ‘Scandic’, Hilton International annuncia la firma del primo accordo Hilton”.
Quello di Portorosa è dunque il primo franchising “Hilton e basta” in Italia. “We are extremely proud to announce that Hilton Portorosa will be the first Hilton franchise in Italy”, dichiara Theo Kreutzer, vice president ‘Hilton Western Europe & Mediterranean’. La fiducia ad Eurocostruzioni sarà confermata con l’annuncio dell’apertura dello Scandic Hilton di Siracusa.
Finale
Il villaggio di Portorosa, sfondo della vicenda, è nato come modello per incrociare turismo residenziale e nautica da diporto, ma ha una storia che con un eufemismo definiremo tormentata. Oggetto di numerose indagini (di particolare rilievo quella del 2001 della procura di Palermo sulla cosca di Villabate) che hanno ipotizzato investimenti di soggetti riconducibili a Cosa Nostra, infiltrazioni mafiose in genere e probabilmente anche soggiorni di latitanti tra villette a schiera e barche di lusso.
Del resto tra lavoro nero e sfruttamento, irregolarità e soprusi, le uniche vittime appaiono le persone comuni che desiderano solo lavorare e crearsi una famiglia. E di fronte ad una grande multinazionale, leader del settore alberghiero internazionale, che produce sottoccupazione è facile rifugiarsi nel luogo comune del “piccolo è bello”, di una sostenibile economia locale.
Purtroppo, nelle piccole ditte del territorio il ricorso alla manodopera in nero, la cancellazione di diritti come ferie e maternità, i licenziamenti per ritorsione ed i piccoli soprusi quotidiani sono talmente consueti da apparire normali, e solo un’azione repressiva costante e capillare può ripristinare la tanto invocata legalità così come i diritti di chi lavora.
Pur apparendo l’ennesima boutade del rozzo arricchito, pur essendo un episodio nella campagna elettorale mediatica delle politiche 2008, la battuta di Berlusconi alle rimostranze di ragazza precaria (“si cerchi un ricco da sposare”) bene esprime l’arroganza di un ceto imprenditoriale nazionale incapace di innovare e confrontarsi a livello internazionale, e che nel Meridione è abile solo a sfruttare all’inverosimile la forza lavoro ed a drenare nelle proprie tasche denaro pubblico. Continuando a ritenersi al di sopra di ogni morale, di ogni legge e della stessa decenza.