Gli operatori della sanità calabrese non sembrano aver voglia di fare i conti con la disastrosa situazione che ha prodotto morti in serie e giornate drammatiche, notti insonni e genitori dall’esistenza sconvolta, prime pagine sui giornali di tutto il mondo, istruttorie, indagini, inchieste, ispezioni, giovanissime vite stroncate senza un perché e situazioni surreali. Mentre la Commissione antimafia, nella sua relazione sulla `ndrangheta, parla di veri e propri omicidi prodotti da un sistema ben preciso e non di fatalità, le risposte dall’interno degli ospedali sono intrise del solito vittimismo. “Da tre anni, l’ospedale di Vibo Valentia conquista ciclicamente le cronache nazionali per le morti sospette. In realtà, leggendo le dinamiche e le responsabilità ricostruite dall’autorità giudiziaria, si tratterebbe di veri e propri omicidi, le cui responsabilità non possono restare impunite. Del resto basta scorrere il rapporto dei Nas, riferito dal ministro della salute in Commissione sanità al Senato l’11 dicembre 2007, a seguito di un ulteriore tragico caso, per cogliere le gravi responsabilità: ‘numerose sono le irregolarità nelle unità operative del presidio ospedaliero di Vibo Valentia, in particolare nelle unità operative di nefrologia e dialisi, chirurgia d’urgenza, chirurgia generale e blocco operatorio, malattie infettive, ginecologia ed ostetricia, rianimazione e terapia intensiva, neurologia, endoscopia, otorinolaringoiatria, pediatria, medicina generale, cardiologia e farmacia. Anche la mensa presenta numerosi deficit’. Così le verifiche dei Nas. C’è da chiedersi cos’altro rimanga dell’ospedale. […]”.
La sanità è il buco nero della Calabria, è il segno più evidente del degrado, è la metafora dello scambio politico-mafioso, del disprezzo assoluto delle persone e del valore della vita. Il mondo della sanità è importante, innanzitutto, per “l’occupazione che assicura e l’indotto che ne deriva… Di qui gli investimenti della criminalità organizzata, non solo di tipo economico (con la realizzazione di attività imprenditoriali nello specifico settore), ma anche, e soprattutto, sui soggetti politici ad essa legati”. Le parole del giudice reggino sono contenute in un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che ha riguardato, tra gli altri, Domenico Crea. Descrivono bene un contesto in cui il malato è assolutamente marginale: appalti, flussi di denaro, posti di lavoro in cui non si lavora sono invece il centro.
Colpa delle televendite
Ma come rispondono i medici calabresi? In una lettera dal titolo “Stop ai processi mediatici sulla Sanità”, pubblicato il 23 febbraio 2008 dal quotidiano Calabria Ora, la Federazione regionale calabrese dell’Ordine dei medici scrive: “I recenti casi di presunta [corsivo mio] malasanità ed il conseguente tribunale mediatico messo in piedi contro i medici ritenuti responsabili hanno portato ad un clima che non ha precedenti nella storia della Calabria. Processi sommari e ripetute accuse da parte dei media e di alcuni esponenti politici hanno dipingono oggi la categoria dei medici nella sua generalità come l’espressione più alta dello sfacelo della sanità regionale. […] Non è la responsabilità professionale in nodo della questione.
I medici sanno bene cosa sia e come sia diventato difficile affermare e difendere quei suoi pilastri deontologici nel quotidiano battage mediatico che inculca nei pazienti e nei loro familiari il concetto che il risultato di una terapia debba essere, per forza, positivo e che qualora non lo fosse la responsabilità è, ovviamente, dei medici. Medici ai quali si chiede di soddisfare sempre e comunque il desiderio di vita e salute ad oltranza di una società fortemente influenzata da mode e messaggi da televendita, cosa certamente inconciliabile con la realtà delle conoscenze scientifiche…”
Testarda realtà
I fatti, purtroppo, sono testardi. Federica è morta – a 16 anni, il 26 gennaio 2007 nell’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia, dove era entrata per una banale operazione di appendicite. Esattamente un anno dopo, Eva è morta nello stesso ospedale in seguito ad una altrettanto banale operazione alle tonsille. Anche lei aveva 16 anni.
Le cause delle due morti ancora non sono state chiarite. Nella notte del 29 ottobre 2007 è invece morto, nell’ospedale di Reggio Calabria, a soli 12 anni, Flavio: dopo essere caduto da una giostra ha dovuto aspettare oltre quattro ore un mezzo di soccorso per essere trasferito da un ospedale ad un altro. Orazio, invece, è morto il 26 dicembre del 2007, sempre allo “Jazzolino”, per mancanza di posti letto. Aveva 80 anni. Nei primi giorni del 2008 Giuseppe moriva a 2 anni e mezzo per una faringite. Il reparto di pediatria del famigerato “Jazzolino” era chiuso a causa delle vicende precedenti, quindi si è reso necessario il ricovero a Lamezia.
Qui, nella notte, il bambino è deceduto. Il 4 marzo del 2008 Angela, incinta di 2 mesi, è morta nell’ospedale di Polistena proveniente dalla clinica “Villa Elisa” di Cinquefrondi, dove non sarebbe stato compreso il suo grave stato di salute. Due mesi prima due casi controversi, un bambino nato morto a Vibo, una ricercatrice di Cosenza operata alla corda vocale sbagliata.
Altri casi sono stati segnalati dalla stampa, ma non hanno avuto grande eco solo perché non si sono conclusi col più tragico degli esiti. Una inchiesta del Corriere della Sera – nel gennaio 2008 – evidenziava solo nella ASL di Vibo un esercito di 1900 dipendenti che producono… 200 posti letto ed una media di 191 ricoveri al giorno.
Diversi interventi dei NAS evidenziavano irregolarità di ogni tipo. La serie di interventi governativi portava ad ipotesi fantastiche, come l’affidamento della sanità calabrese alla Protezione civile (“Curiamoli sotto le tende, come in Darfur”, chiosava l’Espresso a maggio del 2007) ed a situazioni surreali, come il sequestro di un intero ospedale, quello di Melito Porto Salvo. A Locri e dintorni, l’operazione “Onorata Sanità” evidenziava il contesto spregevole in cui era maturato il delitto Fortugno: denaro pubblico destinato ai malati ed invece drenato con scientificità meticolosa nelle tasche dei boss della politica regionale e dei loro servi; cliniche private ingrassate col denaro dei contribuenti ed orientate solo al profitto, dove i dipendenti potevano permettersi di sghignazzare anche di fronte ai malati ad un passo dalla morte; una percentuale di pregiudicati e parenti di delinquenti nel personale ASL da far sembrare quantomeno inadeguata la definizione di “infiltrazione” mafiosa usata dai giornalisti; un personaggio come Crea che di fronte al magistrato tesseva esclusivamente l’elogio di sé (“io sono uno che ha studiato” era il leit motiv) e per spiegare la provenienza dei suoi redditi ricorreva alla surreale spiegazione dei “soldi sotto il materasso”.
Ma per i medici e per i maggiorenti degli ospedali calabresi, come nel più classico dei luoghi comuni, “la colpa è della televisione”.