Reportage dall`interno di Sigonella

Radar, sommergibili ed immigrati. Sigonella, la base italiana che ospita gli USA

Antonello Mangano
  Sigonella è formalmente una base italiana, ma la sproporzione di mezzi e ruoli strategici rispetto agli “ospiti” USA è evidente. Sono affidati agli italiani la gestione del radar che guida mezzi civili e militari, il pattugliamento con vecchi Atlantique di fantomatici sommergibili ed il controllo anti-immigrazione. Gli Usa, al contrario, si occupano con imponenza di mezzi del supporto logistico ai teatri di guerra mediorientali. Intanto la riconversione civile appare non solo semplice da realizzare ma addirittura indispensabile…
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La base italiana del 41.mo stormo “Antisom” è stata pensata per il classico scenario da “guerra fredda”. Sommergibili infidi sotto il pelo d’acqua del Mediterraneo, regimi nordafricani non troppo affidabili, marina ed aviazione proiettate minacciose verso il fianco sud dell’alleanza atlantica.

Che questa situazione da vecchio “risiko” non esista più ne sono convinti tutti (a partire dal Ministero della Difesa che non destina più un soldo alla base, vecchi Atlantique e muri scrostati le prove evidenti) tranne cbe i militari del luogo.

La loro funzione antisommergibile si limita alle esercitazioni congiunte ed a volenterosi pattugliamenti. Per il resto, la giornata è impegnata in un’unica attività: il contrasto all’immigrazione clandestina, che nei fatti diventa una paradossale, generosa e nascosta forma di salvataggio in mare.

I velivoli dell’aeronautica pattugliano giornalmente il Mediterraneo (“ma sempre in acque internazionali”), dove non è raro incontrare quelle che i telegiornali senza fantasia definiscono “carrette del mare”. Dotati di attrezzature per il SAR (Search And Rescue, Ricerca e Soccorso), impediscono spesso alla lista dei naufraghi del Mediterraneo di allungarsi. Ma il loro compito finisce qui: successivamente, infatti, segnalano alla Finanza o alla Guardia Costiera la posizione del natante, che viene condotto al porto più vicino tra strette di mano, congratulazioni e riflettori televisivi.

“Uno dei motivi di insoddisfazione è questo”, dicono gli ufficiali. “Il nostro lavoro non è conosciuto. La fotografia degli ‘uomini tonno’ (i 27 eritrei rimasti aggrappati nel maggio 2007, per tre giorni e tre notti, al largo della Libia ad una gabbia-tonnara perché il proprietario del peschereccio non voleva perdere il prezioso carico di pesce da un milione di dollari) ha fatto il giro del mondo. Ma in pochi sanno che siamo stati noi ad individuarli ed a permetterne il salvataggio”.

Sono alcune delle informazioni derivate dall’ispezione condotta dall’onorevole Salvatore Cannavò nella base siciliana, guidati dal comandante Antonio Giuseppe Di Fiore e dal vice comandante della Naval Air Station. È il 31 marzo 2008, bella giornata di primavera: caffè e pasticcini, slide introduttive fatte con Powerpoint e mostrate nell’aula briefing, giro in pulmino, palazzo del radar, centro piloti e stazione meteo, invito a pranzo (cortesemente declinato), diploma e gadget finale. Public relations d’alto livello, toni distesi ma pure la impalpabile tensione di chi sta sostenendo un piccolo esame.

“Da me dipende la vita di mille persone l’ora”

Una grande stanza completamente al buio, ad eccezione dei riflessi verdi delle luci dei radar. Da queste luci e da quei pochi uomini dipende la sicurezza di tutti i passeggeri in decollo ed in atterraggio presso l’aeroporto di Fontanarossa, quarto scalo italiano per volume di traffico, così come quella dei veicoli militari Usa e italiani in transito dalla base.

“Spesso capita di gestire anche quattro velivoli insieme”, dice il responsabile dell’ufficio. Calcolando una media di 250 persone per aereo, ci sono momenti in cui garantiamo la sicurezza a circa mille persone alla volta. Non è una responsabilità da poco”.

Specie d’estate, quando al traffico ordinario si sommano i tanti charter; ma anche d’inverno, quando le nuvole possono impedire completamente la vista, ed il pilota atterra del tutto alla cieca, solo con l’ausilio del radar e di un fascio elettromagnetico che parte dalla pista.

Il radar di Sigonella è uno dei pochi cui spetta sia la gestione del traffico militare che di quello civile. Il comandante Di Fiore sostiene che è soprattutto una questione di costi, perché impiantarne uno nuovo a Fontanarossa comporterebbe un investimento notevole.

Eppure in questa stanza non sembrano troppo felici di tanti oneri, e la discussione cade sulla vicenda di Elmas, altro aeroporto civile col radar in mano ai militari di Decimomannu. I nodi vengono al pettine al primo incidente: un Cessna che nel 2004 va a schiantarsi sulle alture di Bacu Malu, un equipaggio sterminato compresi due cardiochirurghi che trasportavano un cuore da trapiantare all’ospedale Brotzu di Cagliari.

Il radar avrebbe individuato un Atlantique in esercitazione nell’ambito di manovre militari già comunicate, dunque il Cessna sarebbe stato costretto ad una fatale deviazione di rotta. Ed ecco che va in scena una piccola Ustica sarda a base di tracce cancellate ed ipotesi contraddittorie, l’ennesima conferma del conflitto d’interessi tra l’esigenza al segreto dei militari e quella di verità del resto del mondo.

Quattro anni dopo pagano le ultime ruote del carro, due militari in quel momento al radar: un paio d’anni in primo grado per “avere autorizzato l`avvicinamento a vista notturno senza fornire tutte le informazioni necessaria sull`orografia del territorio”.

L’ufficiale in sala ancora non ci crede, si sente solidale, anzi: direttamente chiamato in causa da quella sentenza. Due anni per non aver parlato a sufficienza. E, aggiungiamo noi, del tutto ignorato lo sfondo dei war games e delle tracce cancellate.

Intanto tre piccole luci lampeggiano, segnalano due aerei civili che stanno per atterrare sulle piste di Fontanarossa ed uno in avvicinamento verso Sigonella. Il raggio circolare disegna i contorni della Sicilia orientale e della punta dello stivale, in alto la sagoma delle Eolie. Oggi solo ordinaria amministrazione.

Centodieci milioni di Euro

Essere ricchi e non saperlo. Sembra il beffardo destino di questa fetta di territorio tra le province di Catania e Siracusa, tra la sagoma inconfondibile dell’Etna e il blu intenso dello Jonio. Stando ai calcoli della base, infatti, è di 110 milioni di euro l’anno l’impatto positivo che la presenza dei gringos avrebbe sulla fragile economia locale.

Come è stata calcolata questa cifra? Con il metodo statistico del “pollo a testa”, a quanto pare. Considerando una presenza di circa 5000 nordamericani, e computando una cifra forfetaria spesa da ognuno… Guardandosi attorno si ha una sensazione opposta: i cargo che atterrano sulle due piste del piccolo aeroporto interno trasportano beni di ogni genere; ospedali, pub, cinema, palestre e piscine sono presenti all’interno; molti locali hanno aperto nei pressi della base. Sembra un sistema autosufficiente con pochi contatti esterni fatta eccezione per qualche centinaio di lavoratori civili assunti all’interno ma storicamente alle prese con problemi contrattuali e questioni sindacali.

Un po’ poco per arrivare a quelle cifre, un po’ poco per non pensare a quanto una riconversione civile potrebbe essere comoda e vantaggiosa.

Una base tricolore

Chi sono quei ragazzotti alti, cortesi ed atletici che sfoggiano le divise della US Navy? Graditi ospiti, affittuari generosi, yankees ingombranti, amici leali, colonialisti presuntosi o semplicemente una testimonianza del peso politico della prima potenza militare del mondo?

L’ultima volta che si provò ad affrontare seriamente la questione fu quando i carabinieri italiani puntarono i fucili contro i marines. Era la notte di Sigonella, anno 1985, presidenza Craxi, la vicenda dell’Achille Lauro la causa scatenante; diciamo però anche che si trattò del primo ed ultimo tentativo di rispondere alla domanda: ma chi comanda a Sigonella?

I militari italiani dimostrano di avere le idee chiare: la base Usa non esiste, cioè non è presente in quanto installazione degli Stati Uniti, ma come struttura logistica ospitata dall’Italia in base a vecchi accordi internazionali, e che gli Stati Uniti pagano in vari modi, comprese forniture di carburante in forma di compensazione.

Ma come definirli dunque? “Diciamo ospiti, locatari?” Ecco, diciamo così. Usano attrezzature italiane, dal suolo al radar, ed informano le autorità italiane di ogni loro azione: perché senza il consenso degli italiani non potrebbero fare nulla. Questa la versione ufficiale, sostenuta in coro dai nostri interlocutori.

Il ruolo della NAS è il supporto logistico ai teatri militari (compresi quelli di guerra vera e propria) che vede l’esercito Usa impegnato in varie parti del mondo. Nettissima la sproporzione di uomini (gli statunitensi sono più del doppio) e soprattutto di mezzi. NAS1 e NAS2 sono due delle colonne portanti della guerra permanente al terrorismo globale, gli italiani (per fortuna) sembrano usciti da un film di Salvatores, cercano sommergibili poco probabili e quando capita salvano degli eritei dalla morte in mare.

Non diventare un numero

L’accoglienza al cancello della base è affidata ad un lugubre cartello, voci in inglese in una colonna e numeri mobili in plastica dall’altra: è un elenco di morti e feriti, aggiornato giornalmente. Non si riferisce alle montagne afghane né all’Iraq ma al bilancio di sangue della Catania-Gela, la superstrada su cui sfrecciano abitualmente i militari, spesso ubriachi, e che conta incidenti mortali fin dai primi arrivi del contingente USA.

La più grande battaglia di Sigonella è quella contro i suoi soldati ubriachi. Prima un osservatorio, quindi la cartellonistica, ancora tre riunioni a settimana del gruppo Alcolisti anonimi, un sistema interno di sanzioni a punti per gli indisciplinati, infine una rubrica fissa sulla prima pagina del giornale della base – The Signature – che implora: “Please, don’t become a statistic!”

Coloro che sono diventati freddi numeri sono i due morti da gennaio a marzo, punta dell’iceberg dei 77 incidenti, undici in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, 5 i fermati alla guida in stato di ebbrezza. Nel 2006 gli incidenti furono 323, 246 quelli dell’anno successivo.

I militari qui stanno male, troppe le differenze coi luoghi di provenienza, coi siciliani non hanno mai legato, le serate a base d’alcol o il conforto delle tante confessioni protestanti sono gli anestetizzanti al malessere. “Saigonella”, un esagerato riferimento all’inferno del Vietnam, è il nomignolo affibbiato alla Naval Air Station della piana di Catania.

Xirumi, solo una speculazione

“Hub of the Med”, il centro del Mediterraneo: è scritto ovunque, è il loro modo di definire la base, non trovando evidentemente altri elementi di interesse in questa fascia di terra bollente d’estate e fredda d’inverno (“exotic extremes”, li chiama la guida per i neoarrivati), ormai chiusa in una città autonoma con tutto all’interno o nelle immediate vicinanze, dall’ospedale alla discoteca, e che con i nuovi comodi residence (“rispetto ai nostri criteri sono hotel a cinque stelle”, dice il comandante italiano osservando i propri fabbricati dai muri scrostati; “designed to meet American standards”, specifica il sito di accoglienza per chi cerca casa, elencando microonde e lavastoviglie).

Li ha costruiti la CMC, una delle storiche coop rosse, sede a Ravenna ed appalti in mezzo mondo, a cominciare dall’Angola. Era il piano Mega 2, l’appalto che dopo la vittoria elettorale di Prodi certificava la nuova affidabilità atlantica dei temuti “comunisti”.

Fino a poco tempo fa Motta e Belpasso, i paesi più vicini, vedevano con favore la base perché fonte all’apparenza inesauribile di dollari scambiati con case d’affitto. Anche quest’ultimo contatto con la gente del posto sta venendo meno, dunque, e per recuperare – letteralmente – il terreno perduto nasce la speculazione di Xirumi, contrada di Lentini caratterizzata dal verde smeraldo degli aranceti che il re dei giornali e del cemento di Catania, Mario Ciancio Sanfilippo, vede già come un magnifico residence (mille casette a schiera su 91 ettari di inutili agrumi) e che qualcuno accoglie come richiesta diretta del comando Usa, come il comune lentinese pronto ad una variante al piano regolatore con destinazione d’uso agricola trasformata in residenziale.

“There was no commission, no”, un no secco e chiaro quello del vice-comandante Mike Biery, tre anni a Sigonella e nel destino un prossimo al ritorno a casa, in Florida. Un no identico a quello dell’allora comandante, capitano Joe Stuyvesant, di fronte alle telecamere di Canale 5. Gli Usa non hanno commissionato nessun residence, quelli che hanno sono sufficienti, alcuni sono ancora in costruzione, del resto il personale militare è stabile o in lieve calo. Questi siciliani, sempre a fare i furbi.

Il programma di Andò

Appena un anno fa Rita Borsellino sfidava Totò Vasa Vasa per la poltrona di presidente dalla Regione Sicilia. Presentava un programma che, tra le altre cose, chiedeva l’immediata riconversione di Sigonella in un grande aeroporto internazionale civile proiettato verso il Mediterraneo.

Sembra davvero passato molto tempo, oggi che la Borsellino è alleata di Anna Finocchiaro, candidata della sinistra. Il programma lo avrebbe scritto Salvo Andò, uscito indenne da molte vicende giudiziarie ed ex ministro della Difesa con i socialisti di Craxi.

Ovviamente, non c’è traccia di Sigonella nei nuovi programmi elettorali, e quella proposta (alla luce delle considerazioni precedenti assolutamente realistica e per certi aspetti necessaria) sembra relegata all’archeologia della politica isolana.

Oggi Andò è anche rettore della “Kore”, università di Enna che proprio nel giorno dell’ispezione stipulava una convenzione con Sigonella che permetterà ai militari di far valere i crediti formativi nell’acquisizione di una eventuale laurea.

Ma Andò, da ministro della Difesa, aveva avviato una sperimentazione ben più importante: l’operazione Vespri Siciliani, militari di leva messi in strada formalmente a combattere la mafia, nei fatti in prova generale per quello che sarebbe stato il “nuovo modello di difesa italiano”: via l’esercito di leva, gruppi speciali pronti a presidiare il territorio per difendere interessi strategici nazionali. Kosovo, Albania, Somalia, Afghanistan, Iraq… Da lì a poco l’esperimento sarebbe stato messo in pratica molte volte.

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