Sulla base di non meglio precisate «disposizioni ministeriali impartite in risposta a quesiti posti dagli uffici periferici», e «alla luce di una più attenta ed analitica lettura del dettato normativo, coordinato con le istruzioni ministeriali» alcune questure hanno emesso circolari nelle quali, dopo il dovuto richiamo all`art 35 del testo unico sull`immigrazione, si ribadiva che gli uffici non avrebbero più rilasciato permessi di soggiorno per cure mediche a stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello stato, ad eccezione delle donne in stato di gravidanza e fino a sei mesi di vita del bambino, così come espressamente previsto dall`art. 28 c.1 lett.c del citato Dpr 349/99 così come modificato dal Dpr n.304/04, in relazione all`art. 19 del D.L.vo n.286/98. I risultati concreti di questa «più attenta ed analitica lettura del dettato normativo italiano» sono stati numerosi provvedimenti di espulsione nei confronti di persone già da tempo in cura presso strutture pubbliche italiane, e in molti casi già titolari di un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche, con l`avvertenza «che si provvederà alla sospensione dell`esecuzione del provvedimento, in presenza di certificazione medica attestante la gravità della patologia e la necessità della erogazione di prestazioni sanitarie urgenti e comunque essenziali».
Non si comprende quale principio di sana, imparziale e trasparente amministrazione possa portare le Questure ad emettere provvedimenti che producono effetti che possono essere immediatamente sospesi, sulla base di una certificazione medica di cui sono o potrebbero essere già in possesso, con l`unica conseguenza di instaurare situazioni di contenzioso, o di allontanamento nella clandestinità dei destinatari, e con grave nocumento della salute loro, oltre che di quella di tutti i cittadini, trattandosi spesso di patologie altamente infettive. Se poi i provvedimenti non dovessero essere sospesi si tratterebbe di una vera e propria condanna a morte disposta per via amministrativa, in quanto è noto che le possibilità effettive di cura dell`Aids e di altre patologie altrettanto gravi, in paesi come gli stati della ex Jugoslavia o la Nigeria, sono praticamente vicine allo zero, soprattutto per chi viene rimpatriato senza mezzi economici a seguito di una espulsione con accompagnamento.
Il tutto appare ancora più assurdo se si confronta tale situazione con quanto accadeva nel 2003, quando il governo di allora si impegnava a garantire la permanenza sul territorio italiano degli stranieri privi di permesso di soggiorno affetti da patologie gravi. Il sottosegretario agli Interni Mantovano, rispondendo a un`interrogazione parlamentare, assicurava che nel decreto di attuazione della legge Bossi-Fini sull`immigrazione sarebbero state introdotte nuove tipologie di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore delle persone affette da problemi di salute. Queste dichiarazioni erano accolte con favore dalle associazioni non governative che tutelano il diritto alla salute dei migranti.
Venivano assicurate non solo la corretta applicazione della legge – e quindi il divieto di allontanare gli irregolari bisognosi di cure – ma anche l`introduzione di un ulteriore strumento di tutela: la concessione di permessi di soggiorno straordinari per gli stranieri che scoprono in Italia di essere gravemente ammalati. Alle dichiarazioni del governo di allora non seguiva un espresso riconoscimento del diritto degli stranieri irregolari già presenti in Italia ad un permesso di soggiorno per cure mediche.
Si registrava invece una prassi consolidata delle Questure che concedevano agli immigrati affetti da grave patologie, aventi carattere anche continuativo, un permesso per cure mediche, analogo a quello previsto per le donne in stato di gravidanza. I provvedimenti presi non potranno essere eseguiti per ora, ma chi subisce le espulsioni sarà condannato a una clandestinità eterna o alla discrezionalità delle autorità.
Testo unico e convenzioni internazionali parlano chiaro, ma forse sono subentrate altre ragioni: voglia di accaparrarsi consensi e tendenza delle Regioni a voler risparmiare in questa maniera sulla spesa sanitaria. Dovrebbe rispondere il governo ancora in carica, ma finora ha prevalso il silenzio.