Un milione e mezzo di euro. Questo il prezzo del riscatto per quello che è l’ultimo caso di sequestro in Calabria. Solo che stavolta il rapito era già morto da 5 anni: infatti, era stata rapita la sua salma, trafugata nel 2005 dal cimitero di Lamezia Terme.
Protagonista della vicenda l’imprenditore Perri, ucciso nel marzo del 2003 all’interno del suo ufficio, probabilmente per non aver pagato il pizzo sulla costruzione del centro “Due Mari”. Dopo l’omicidio gli estorsori chiesero ai figli 150mila euro. Teste dure, i calabresi. Due anni dopo “rapirono” la bara, negando ai familiari pure l’estremo conforto di piangere sulla tomba del congiunto assassinato, e chiesero il riscatto per la restituzione. Nel novembre del 2007, un manovale è arrestato per la richiesta milionaria.
Il venerdì santo del 2008 una telefonata anonima segnala nelle campagne lametine, lungo la strada che porta ai centri commerciali, la presenza di una bara. L’ennesima, durissima prova per i familiari: il riconoscimento dei resti.
Il giorno di Pasqua un agguato nei pressi di Crotone. Ucciso un uomo, figlio di un boss, e ferita la moglie. L’ennesimo episodio di una guerra tra cosche che di solito viene relegato nelle poche righe della cronaca nera. Ma stavolta c’è un particolare agghiacciante: viene ferita la figlioletta di cinque anni, che finisce in coma irreversibile. Partono i soliti commenti di circostanza sulla perdita di valori della `ndrangheta, che non si ferma di fronte a nulla. Si dimentica che, già dagli anni ’70, l’assassinio di donne e bambini è pratica abituale nelle faide.
Sembra quasi una lieta notizia, invece, quella che arriva a Pasquetta. Catturato il latitante Rocco Gallico, banalmente trovato nella villa di famiglia nel centro di Palmi, una abitazione dotata un visore notturno, rilevatori di microspie ed altre diavolerie elettroniche ma che evidentemente non porta fortuna, visto che lì nel ’92 era stato catturato suo fratello.
Ma se c’è una Calabria che emigra, che fugge disgustata, oppure che rimane e lotta, esiste una buona fetta di società che convive con questa cronaca degna della Colombia. Quella Calabria garantita dal denaro pubblico e quindi tranquilla, amante dell’eufemismo e dedita al vittimismo, quella che dà sempre la colpa allo Stato, quella che va in Chiesa, rispetta le tradizioni, si volta dall’altro lato, quella che pranza in famiglia e guarda il Tg Regionale della Rai, che nel giorno di Pasqua apre il notiziario con titoli a base di messe cantate e gite fuori porta, buone per ogni anno, valide per ogni ricorrenza.
Qualche mese fa una densa burrasca sembrava addensarsi sulla tranquilla redazione di una regione in tempesta: un pizzino ritrovato nel covo del “supremo”, il boss dei boss Condello, che si era adombrato per un servizio sul pizzo dell’autostrada che gli attribuiva reati mai commessi. Il quotidiano “Calabria Ora” riportava la presenza di una lettera di scuse al boss da parte del giornalista Rai; e da allora iniziava una farsa pirandelliana, culminata con il contorto comunicato della Procura secondo cui non esiste una lettera “il cui contenuto sia riconducibile a quella menzionata sulla stampa”.
“Se la lettera non esiste – ribatte il quotidiano – perché parlare del contenuto? Era più lineare e meno contorto dire: non esiste nessuna lettera di un giornalista al boss Condello. Perché aggiungere “il cui contenuto sia riconducibile a quella menzionata sulla stampa?”
Nei giorni successivi un assoluto silenzio, l’ordine si tranquillizza, la città respira, la normale vita riprende. “Il maltempo minaccia la tradizionale gita fuori porta…”