A causa di tali violenze, le comunità sono distrutte, i valori svaniscono. Quando i villaggi sono attaccati e saccheggiati nessuno è al sicuro, nessuno è risparmiato: donne, bambini e bambine, uomini sono uccise/i. A volte gli uomini sotto minaccia sono costretti a partecipare agli stupri contro le proprie mogli e figlie. La maggior parte delle violenze sono commesse da soldati appartenenti ai diversi gruppi armati che da anni occupano queste zone, anche se i soldati delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)/Interhamwe (arrivati nel Kivu come rifugiati ruandesi in seguito al genocidio del 1994) sono gli attori principali di questi crimini.
Le donne che subiscono le torture (sovente da parte di 10 o anche 20 uomini alla volta) spesso sono uccise nelle foreste, se riescono a scappare e a rientrare nei villaggi devono far fronte al rigetto da parte dei propri mariti, dei famigliari e della comunità intera perché «sporcate» da altri uomini e quindi incettabili. Inoltre, nel caso in cui riescano a recarsi nei centri medici in cui possono ricevere cure, devono affrontare un calvario di operazioni per ricostruire l’apparato genito/urinario/rettale che è stato totalmente distrutto durante le violenze. In effetti, parlare di violenze è riduttivo: si tratta di vere e proprie torture durante le quali oggetti di qualsiasi tipo taglienti e contundenti sono infilati nell’apparato genitale della donna, non raro uno sparo finale per distruggere interamente l’apparato genitale. La sistematicità con cui questi atti sono compiuti fa pensare a una tattica di guerra in cui l’obiettivo è quello di annientare le popolazioni e impedire loro di ricostituirsi e risollevarsi.
Il Dottor Mukwege, direttore dell’ospedale di Panzi a Bukavu (ospedale della Comunità delle Chiese Pentecostali in Africa Centrale, CEPAC), spiega che spesso non sa come operare: «Io sono solo un ginecologo, avrei bisogno di lavorare in un team di medici con dei chirurgi urologi ed esperti del colon/retto per poter insieme discutere e vedere come possiamo offrire a queste donne un futuro in dignità».
I dati della Commissione Provinciale della Lotta contro le Violenze Sessuali parlano di 26000 vittime accolte per un trattamento medico nel 2006, ma la stragrande maggioranza di donne vittime non riesce neanche a raggiungere le cliniche mediche. A Bukavu si parla di 40000 donne vittime l’anno. Dell’enorme numero di stupri registrati, solo 304 casi (dati Monuc, 2007) sono stati tradotti in giustizia tra il 2005 e il 2006, ma anche se il giudizio prevede la riparazione per la vittima, questa riparazione non si verifica mai.
Quello che sconcerta è l’impunità e l’insicurezza che regnano nella provincia del Sud-Kivu così come nel Nord-Kivu perché l’organizzazione delle istituzioni del Congo è a un livello embrionale e non ha potuto ancora creare quegli strumenti di stato di diritto quali una giustizia credibile e un sistema di pubblica sicurezza efficace.
Lo sfruttamento illegale delle risorse naturali da parte di una serie di attori congolesi, ruandesi e internazionali, è reso possibile grazie all’assenza totale di qualsiasi meccanismo di controllo nel contesto di un’economia essenzialmente informale. Le foreste e le colline sono piene di bande di giovani e meno giovani che vivono sulle spalle della popolazione perché non vedono alcuna alternativa per sfuggire alla povertà e all’esclusione. L’impunità, dato che nessuno paga per le illegalità che compie, aiuta il propagarsi degli atti di violenza.
La popolazione del Kivu chiede la pace e due trattati firmati recentemente offrono finalmente l’opportunità di cambiare la situazione. E’ indispensabile che l’Unione europea e i suoi Stati membri s’impegnino per incoraggiare e assicurare l’applicazione dell’Accordo di Nairobi del 9 novembre 2007 tra il Ruanda e il Congo, che prevede direttive comuni contro la minaccia che le ex-FAR/Interhamwe rappresentano, e l’Atto di impegno per la pace, firmato il 23 gennaio 2008 a Goma tra i vari gruppi armati, compreso l’esercito congolese. La sostanziale inosservanza di tali accordi è allarmante. Nel frattempo, la popolazione del Kivu aspetta la fine delle sue sofferenze.