«U Tistuni», se l’ha saputo, si sarà messo a ridere. Come Noè Vazzana, il valoroso sindacalista infilato nella Cgil dalla sua cosca di famiglia. E così Peppe Mancuso detto «Mbrogghija», e la traduzione non serve. Su al Nord il Governatore della Banca d’Italia dice che questo Sud è un «freno», ma per Nino Pesce, il Testone appunto, la contabilità degli affari non è mai andata così veloce. Strade statali e provinciali, l’autostrada A3 che sale a Salerno, i ponti, le gallerie, i viadotti, una manna di soldi. Per la verità il Governatore ha aggiunto che questo Sud «sta cambiando» e il Testone ha poco di ridere. E’ in galera, adesso.
Dovesse dipendere da loro, dai Signori della ’Ndrangheta e delle ’Ndrine, gente che in Calabria controlla il 90 per cento dell’edilizia, basterebbe aspettare qualche giorno, tanto quella frase passa agli archivi: il brutto è che hanno ottime probabilità di aver ragione. Se arrestano i boss degli appalti, se perfino le grandi imprese che stanno al Nord sono inguaiate, costrette a partecipare al malaffare, la notizia arriva sulle pagine dei quotidiani calabresi, forse sul Tg3 regionale e finisce lì. Anche se poi l’autostrada A3 costruita sulla sabbia, con cemento di scarto e pontili sballati, è una vicenda che non si ferma qui.
Cento milioni di euro per il tratto Serre-Rosarno, piatto ricco, vengano pure le imprese del Nord, le Coop, la Condotte, l’Impregilo, la Gepco Salc, Baldassini&Tognozzi. Sanno già cosa si trova, da quelle parti: a Serra San Bruno la famiglia Mancuso, tra Serre e Rosarno i Pesce, tra Rosarno e Gioia Tauro i Piromalli. Vengono e trattano, per cominciare un 3 per cento, che sarà l’assicurazione, detta anche «tassa per l’impatto ambientale». A seguire i subappalti e le stecche a chi non controllerà la qualità dei materiali. E il risultato si vedrà a lavori finiti, con le piogge o il caldo, quando l’asfalto andrà a squagliarsi.
Scandaloso? Un freno? No, normale in questa Calabria. Tanto normale che nessuno si scandalizza. Tra Rosarno e la Salerno-Reggio Calabria c’è il raccordo con la Statale Ionica 106, quella che arriva fino a Taranto. Sono 12 chilometri esemplari. Rispetto al progetto iniziale i pilastri sono più bassi di 7 metri alle fondamenta. La galleria è lunga 3 km e i solai sono più stretti di 12 centimetri. Non esistono canali di scolo per l’acqua, basta un poco di pioggia e tutto è fango. Il cemento utilizzato, invece del 400% previsto, è al 150%. Prima o poi quella strada franerà e la galleria è già a rischio, solo un miracolo la può tenere dov’è.
Forse quel 10% dell’edilizia non controllato dalla ’Ndrangheta ha costruito il nuovo Palazzo di Giustizia di Reggio, ma l’architetto progettista dev’essere piuttosto strambo. Al sesto piano, per arrivare all’ufficio del sostituto procuratore Nicola Gratteri, il corridoio attraversa i cessi. E pure questo sembra normale. Fuori dalla stanza, fuori da tutte le stanze dei pm, gli agenti in borghese con il borsello a tracolla, giusto per far capire che qui si combatte la normalità della Calabria che convive con le ’Ndrine. Ma sembra altrettanto normale che la guerra, «il cambiamento», siano speranze, le certezze sono lontane. Nicola Gratteri, di speranze, se n’è viste svanire troppe. Indaga, scopre, arresta e nulla, o proprio poco, cambia. «Per quel tratto di raccordo un chilometro di galleria è costato più di un chilometro del tunnel del Canale della Manica», dice. In Procura indagano ancora sull’Autostrada A3 e hanno già messo in conto le schifezze che troveranno. C’è una prova che si chiama «dinamometria», serve per controllare la qualità del cemento. Ai controlli dell’Anas risulta regolare, magari perché il funzionario si è preso i 25 mila euro del tariffario. Però non è dell’Italcementi, arriva da una società della ’Ndrangheta, e c’è più sabbia che cemento.
«Così va, da queste parti», dice Gratteri, uno che si è «abituato» a pagarsi le ricariche d’inchiostro per la fotocopiatrice, la benzina per l’auto della scorta, e viaggia su una blindata vecchia di 200 mila chilometri. Va così, normalmente così. «Ogni tanto si sentono voci lontane che parlano della Calabria e del Sud, di rinascita e cambiamento, di cittadini che devono stare vicini allo Stato. Ma da qui posso soltanto dire che chi ha il potere di amministrare lo dovrebbe esercitare con coerenza. E dopo, soltanto dopo i cittadini, quando vedranno l’esempio da seguire, si avvicineranno allo Stato».
Vale anche per strade e autostrade di Calabria. «Qui né le imprese né la politica hanno la forza di imporsi – spiega il magistrato – perché la ’Nrangheta ha un potere più asfissiante di Cosa Nostra». E’ normale che gli appalti scivolino alle ditte dei boss. «Controllano le loro zone come i cani quando fanno pipì, e da lì non si passa». O, se se vuol passare, si deve trattare, e proprio a partire da quel 3% da versare subito, come il giocatore di poker che comincia la partita. «Dal Nord – ha dichiarato il procuratore capo Scuderi – le grandi ditte inviano i loro emissari per mediare e contattare ditte gradite alle cosche».
Può capitare che i lavori si fermino, e succede quando le ’ndrine si litigano il territorio. «Qui c’è il coprifuoco», dice al telefono Giuseppe Talarico, geometra della Baldassini&Tognozzi. E racconta all’amico Antonio quel che gli è capitato mentre delimitava un cantiere: «Mi hanno fermato in due con il fucile e mi hanno puntato la pistola in testa. Che fai? Non volevano che mettevo i picchetti». Quando il boss, «don Mico», lo viene a sapere tornano i due: «E mi hanno aiutato a mettere i picchetti! E il giorno dopo mi facevano trovare le cassette di arance e kiwi. Il nome di quello? Non lo faccio. So chi è, mi devo far sparare?».
Solo se le Famiglie sono d’accordo possono continuare i lavori della A3 o sulla statale 106. Ma solo alle loro condizioni. I mezzi li trova «U Testuni» o Peppe Mancuso «Mbrogghjia» o gli altri piccoli e grandi boss della Calabria delle strade e dell’autostrada. I materiali vengono dai magazzini della ’Ndrangheta, e più sono scadenti e più aumenta il margine di guadagno. Normale, qui. «Come è normale – dice il pm Gratteri – che negli ipermercati delle cosche i prezzi siano più bassi. Per forza, mica debbono pagare il pizzo!». Gli incassi, come nell’edilizia, non hanno freno. E il cambiamento manco li sfiora.