Un paradiso naturale (di cui il governo di Managua ha rivendicato la sovranità al tribunale dell’Aja) che è ancora oggi una meta privilegiata dagli amanti delle immersioni e delle famiglie colombiane in cerca di relax, ma che negli ultimi anni è diventata anche una delle destinazioni preferite dei turisti occidentali dello sballo a basso costo.
“La mia idea – continua – era quella di farmi dieci giorni di mare, sole e immersioni. Che colpa ne ho se mi sono trovata in un’atmosfera da festino permanente, con ragazzi che circolavano per strada come zombie e sniffate a go-go a bordo di piscine in ville megagalattiche?”. Nessuna, per carità. Ma a scanso d’equivoci la chiameremo Pamela, per garantirle quella privacy che permette a lei di raccontarci la sua storia e a noi di presentare uno dei principali “paradisi artificiali” del turismo occidentale verso il quale viaggiano ogni anno migliaia di giovani e meno giovani, qualche volta in cerca di relax, più spesso di sballo a bassi prezzi. Tutti con a disposizione un budget superiore alla media, perché arrivare qui costa parecchio. Manager, colletti bianchi, imprenditori, questo il target, mentre i turisti inconsapevoli come Pamela sono la minoranza: la maggior parte di chi va San Andrés – un isola di fatto in mano ai narcos, che la utilizzano come primo scalo aereo per la coca proveniente dalla Colombia diretta agli Stati Uniti – lo fa per “fare il pieno” di purissima “bamba” a prezzi stracciati. E a dimostrazione della forza di questo vero e proprio “turismo della coca” ci sono i voli Milano-San Andrés della Lauda Air che, da dicembre ad aprile, collegano settimanalmente il capoluogo lombardo all’arcipelago caraibico mentre, paradossalmente, non esistono collegamenti diretti tra Italia e Città del Messico.
Un giorno imprecisato di settembre 2006. All’una e mezza del pomeriggio nelle strade di San Andrés non c’è anima viva. È l’ora della siesta per i locali che, da quando l’isola si è trasformata nel centro preferito dai turisti danarosi colombiani e occidentali, forniscono mano d’opera a basso costo nei resort, nei ristoranti e nelle discoteche dove si fa l’alba e dove la “rumba”, oltre al ballo, è ricercata da tutti coloro i quali vogliono tirarsi su. Il turismo qui è tutto nelle mani degli stranieri – italiani, statunitensi, tedeschi, gli ultimi arrivati sono i canadesi – e per i sanandresinos non resta che la povertà rappresentata dalla pesca, l’emigrazione “in continente” o tentare la fortuna con l’import-export via mare di droga. Proprio per questa mancanza di prospettive da qualche anno è cresciuto esponenzialmente un movimento indipendentista, l’Archipiélago Movement for Ethnic Native Self-Determination (Amen-SD). Obiettivo: staccarsi da quella Colombia che usa San Andrés come il suo parco divertimenti, un po’ come all’epoca di Fulgencio Batista facevano gli Stati Uniti con Cuba, e che “si ricorda di noi solo il giorno della festa d’indipendenza, per cantare l’inno e issare la bandiera”, accusano gli indipendentisti su uno dei tanti forum che, anche online, hanno sollevato il velo sul disagio degli isolani.
“L’immagine che mi sono portata a casa dai miei dieci giorni a San Andrés?”. Pamela ne ha più di una di immagini, quasi tutte forti. Di sicuro si ricorda molto bene di “una coppia di ragazzi sotto i trent’anni, del nord Italia, che avevano fatto un acquisto esagerato e che rimanevano quasi tutto il tempo chiusi in casa. Salvo uscire ogni tanto. Avevano la faccia di due zombie viventi”. All’una e mezza di quel giorno imprecisato di settembre 2006 i locali facevano la siesta mentre i turisti “da coca” erano intenti a recuperare le forze in attesa dello sballo della notte successiva. A un certo punto il rumore di un incidente e un camion che si ribalta in pieno centro fanno svegliare gli abitanti del quartiere. Alcuni si affacciano e non appena notano che il carico che ha “inondato” la carreggiata non è farina bensì cocaina, e per di più di purissima qualità, decidono di interrompere il pisolino e di scendere in strada. A questo punto le testimonianze dei protagonisti dell’insolito episodio raccolte dal quotidiano colombiano El Espectador si fanno divergenti ed è difficile dire chi ne abbia raccolta un chilo, chi due e chi tre, prima dell’arrivo della Polizia, un quarto d’ora dopo il ribaltamento del carico miliardario. Anche perché parlare può essere dannatamente pericoloso dal momento che i veri proprietari dell’Oro Bianco hanno cominciato da subito a minacciare i sospettati di avere rubato la loro coca con rappresaglie sanguinose e lasciando sul terreno una scia di morte. Non a caso proprio a San Andrés sono state sequestrate dalla polizia molte delle 322 proprietà appartenenti al narcotrafficante colombiano Juan Carlos Ramírez Abadía, alias “Chupeta”, arrestato a San Paolo, in Brasile, lo scorso 7 agosto.
Di sicuro Pamela ha ben impresso in mente anche il gruppetto di “6 o 7 nostri connazionali i quali avevano preso in affitto una villa enorme che, si mormorava, fosse di un vecchio narcotrafficante. Una delle ultime sere mi invitano assieme alle mie due amiche a cena e, a parte le bottiglie di vino d’ordinanza, il bordo della piscina sembrava davvero una sequenza di Scarface, con tubetti di vitamina C pieni di cocaina che all’improvviso si aprivano…”. Squallore in un paradiso i cui abitanti, ogni giorno che passa, si rendono conto che non è questo il futuro che si immaginavano qualche anno fa. Fermín, un sanandresino, spiega a Panorama.it lo stato d’animo di chi è nato da queste parti: “Abbiamo importato un turismo che sporca le nostre spiagge, che si ubriaca, che danneggia noi locali e chi viene a farci visita, che consuma vizi. Ecco cos’è oggi San Andrés: uno spaventapasseri della morale dove la cocaina e gli allucinogeni sono i veri sovrani della nostra economia, mentre la sicurezza e la tranquillità sono solo un ricordo del passato”. Una denuncia grave contro un modo di trascorrere le vacanze che è l’esatta antitesi di quel turismo sostenibile di cui molto si parla ma, purtroppo, poco si pratica.
Panorama, 4 settembre 2007