Contro il neoliberismo

Costa Rica: referendum per dire `No` a trattato libero commercio

Luca Martinelli
  Il 7 ottobre prossimo la popolazione del Costa Rica sarà chiamata a decidere, con un referendum, se ratificare o meno dell`accordo di libero scambio tra il proprio Paese e gli Stati Uniti d`America.
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Firmato nel 2005, il Cafta, Central America Free Trade Agreement, è già in vigore in tutti i Paesi centroamericani a eccezione del Costa Rica. Con il sostegno dell`ambasciata degli Stati Uniti d`America, il governo del presidente Arias Sanchez e il Tribunale supremo elettorale (Tse) portano avanti una campagna a favore del “Sì”: tra le ultime decisioni del Tse, ad esempio, c`è quella di impedire alle università di divulgare informazioni sugli studi che evidenziano l`impatto economico e sociale negativo del Cafta. Intanto il movimento sindacale, contadino e studentesco si è fatto promotore di un`ampia piattaforma di opposizione al Trattato di libero commercio, il Movimiento Patriótico “NO AL TLC”, sviluppando a livello locale una struttura organizzativa di comitati patriottici formati da migliaia di volontari.

Il fronte del “Sì” sventola come una bandiera il “mito delle preferenze”: secondo il presidente, se non ratifica il Cafta il Costa Rica non potrà più commerciare con gli Usa. Ma l`unico settore che, con il Trattato di libero commercio, verrebbe favorito da una riduzione della tassazione è il tessile (meno 20 per cento), un vantaggio che si annulla in virtù delle regole di origine imposta dal Cafta (l`uso, cioè, di input provenienti dagli Usa o dagli altri Paese del Centro America, ridurrebbe in modo sostanziale questo vantaggio).

L`unica certezza è che, anche senza il Cafta, il Costa Rica è il maggiore esportatore dell`America Centrale. L`export è cresciuto del 17 per cento tra il 2005 e il 2006 (da 7 a 8,2 miliardi di dollari).

Il commercio con gli Stati Uniti, 3,4 miliardi di dollari nel 2006, rappresenta una fetta importante dell`export “tico” (il nomigonolo affibbiato ai costaricensi mentre i nicaraguensi sono “Nica” e gli honduregni “catrachos”), anche se negli ultimi sei anni l`Asia ha reigstrato una crescita del 370%, passando da 304,8 a 1.435,3 milioni di dollari).

L`89 per cento dei prodotti esportati dal Costa Rica verso gli Stati Uniti d`America già paga tariffe inferiori al 10% (ananas: 0,5 centesimi; succo: 7,8 centesimi per litro), e questo 89 per cento rappresenta il 94,4 per cento in termini di valore.

Nessun dato evidenzia, invece, le possibilità di sviluppo nell`ambito del Trattato di libero commercio “vendute” come certe da Arias Sanchez al Paese.

Nell`opposizione (l`ex candidato alla presidenza Otton Solis ha detto: “Dov`è scritto per questo ci aiuterà a svilupparci?”), ma anche nella sua maggioranza, si levano molte voci contrarie al Cafta. L`esempio delle altre repubbliche centroamericane a un anno dall`entrata in vigore del Trattato evidenzia bilance commerciali verso gli Usa in profondo rosso.

Il Messico, poi, a dodici anni dal Nafta (North America Free Trade Agreement) esporta per lo più manodopera a basso costo (500 mila migranti all`anno) e fonda la propria economia sulle rimesse che questi inviano ai proprio familiari (oltre 20 milioni di dollari l`anno). Il Costa Rica non ci sta.

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