L’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione clandestina, insieme all’associazione eritrea Habeshia, è riuscita a stabilire un contatto all’interno del centro di detenzione di Misratah, dove i 443 sono detenuti da un anno. La fonte ha chiesto l’anonimato per motivi di massima sicurezza. Le testimonianze raccolte sono confermate dai responsabili dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni unite (Acnur) di Tripoli, che a maggio hanno visitato i prigionieri e che in queste ore stanno trattando con le autorità libiche per impedire il rimpatrio dei rifugiati.
La bambina di tre mesi, detenuta con la madre, soffre di dermatite, non ha avuto nessun vaccino e non ha accesso a nessuna assistenza medica. Dorme per terra, come tutti gli altri detenuti. Non ci sono letti. La notte ci si incastra, la testa accanto ai piedi del vicino. Ammassati fino a settanta persone in stanze di sei metri per otto. Entro quattro settimane, dovrebbe nascere un secondo bambino, la madre è incinta all’ottavo mese. Nelle celle il caldo è insopportabile, non ci sono ventilatori, e l’aria è appesantita dalle fetide esalazioni che salgono dagli scarichi dei bagni, che quando si intasano riversano liquami sui pavimenti. I principali problemi di salute dei detenuti, oltre a scabbia e dermatiti, sono malattie polmonari, attacchi asmatici, problemi intestinali, e gastriti. Durante le prime settimane di detenzione alcune donne sono state struprate dagli agenti. Almeno sette persone sono state ricoverate per esaurimento nervoso.
Nel centro di detenzione di Misratah, 250 chilometri a est di Tripoli, ormai sono rimasti soltanto gli eritrei. Somali, etiopi, sudanesi, sono stati trasferiti, a Kufrah e a Sebha sostiene l’Acnur, nel deserto al confine con il Niger e il Sudan. Qui, dicono le testimonianze dei sopravvissuti sbarcati sulle coste siciliane – e raccolte nel libro “Mamadou va a morire”, Infinito edizioni – da anni continuano le espulsioni in pieno Sahara, dalle quali ci si salva soltanto acquistando, anche direttamente dalla polizia, un nuovo biglietto per Tripoli e poi per l’Italia.
Le testimonianze raccolte da Fortress Europe e Habeshia parlano di tre tipi di arresti. Nella maggior parte dei casi, intercettazioni in mare della Guardia costiera libica, sulle rotte per la Sicilia. Ma anche arresti in strada, in seguito a controllo dei documenti; e infine vere e proprie retate notturne, a Tripoli. Alcuni denunciano di essere stati trasportati in commissariato ancora in pigiama e di aver lasciato tutti i propri beni a casa. E i propri documenti. Sì perché molti degli eritrei sono in possesso dello status di rifugiati politici. I numeri ce li dà l’Acnur: 114 rifugiati, riconosciuti dalle rappresentanze Acnur in Etiopia e Sudan, e 3 persone sotto la diretta tutela della sede di Tripoli. Tutti gli altri sono comunque potenziali richiedenti asilo politico, poiché disertori dell’esercito eritreo.
“Ancora una volta – dichiara Gabriele Del Grande, fondatore di Fortress Europe e autore di “Mamadou va a morire”, Infinito edizioni – il diritto all’asilo politico è ostaggio delle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina”.
Il commissario Ue per Giustizia, sicurezza e Libertà, Franco Frattini, aveva inviato nei giorni scorsi una lettera ai ministri degli Interni di undici paesi africani e della sponda meridionale del Mediterraneo, chiedendo la loro disponibilita` a partecipare alle missioni di pattugliamento di Frontex, l`agenzia Ue per il controllo delle frontiere, per arginare il flusso dell`immigrazione clandestina. Una posizione condivisa anche dal ministro degli interni italiano, Giuliano Amato, che già nel gennaio 2007 dichiarava: “Vedo con soddisfazione che la collaborazione operativa tra le autorità libiche e il Dipartimento italiano di Pubblica sicurezza, sta dando buoni frutti”.
Altro che buoni frutti. Oltre 1.500 migranti irregolari sono stati arrestati in Libia nel mese di giugno 2007, e a maggio erano stati 2.137. La Libia ha già deportato eritrei, nel 2006 e prima ancora nel 2004, a più riprese, anche su un volo pagato dall’Italia. Il 27 agosto 2004 uno degli aerei venne dirottato dai deportati eritrei a Khartoum, in Sudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politici dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. In patria avrebbero fatto la fine dei 223 deportati da Malta tra settembre e ottobre del 2002. Tornati in Eritrea, furono detenuti e torturati. Lo hanno testimoniato ad Amnesty International i pochi riusciti a evadere, oggi rifugiati politici nel Nord America e nei Paesi scandinavi. Trattenuti prima nella prigione di Adi Abeito e poi, in seguito a un tentativo di fuga, nel carcere di massima sicurezza di Dahlak Kebir, molti di loro sono stati uccisi.
L’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione clandestina – Fortress Europe